venerdì 3 maggio 2024

Il liberalismo anti-sommossa, dagli Usa alla Ue


CAMPUS LARGO. In gioco non c’è solo la libertà accademica, ma la stessa idea che una società libera si distingue da un regime autoritario per la tolleranza che mostra per i dissidenti. Se la faccia del liberalismo occidentale è coperta dal casco di un poliziotto, diventa molto difficile distinguerla da quella degli «aspiranti fascisti».

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La forza non è un surrogato della verità. In diverse università degli Stati uniti è in corso una repressione violenta delle proteste studentesche. E ciò avviene con la copertura di esponenti del partito democratico che, dalla Casa bianca in giù, usano il pretesto dell’antisemitismo per legittimare l’uso della forza, nonostante sia ben chiaro, a chiunque avesse voglia di accertare come stanno le cose, che tra  gli studenti che dimostrano contro la politica del governo Netanyahu ci sono anche molti ebrei, come testimoniano diversi organi di stampa, a partire dal quotidiano Haaretz.

Si fatica a comprendere quale sia il calcolo politico che ha spinto Joe Biden a dare di fatto «luce verde» a una repressione così massiccia e indiscriminata, a pochi mesi da un’elezione in cui i sondaggi lo vedono in calo dei consensi proprio tra gli elettori più giovani e tra quelli che appartengono alle minoranze che sono più sensibili alla questione palestinese (non solo i cittadini di origine araba, ma anche coloro che appartengono a altre minoranze, per le quali espressioni come «apartheid» o «colonialismo» non sono soltanto temi di interesse accademico).

BIDEN sembra disposto a perdere le elezioni pur di non far mancare il proprio sostegno al governo più screditato della storia di Israele e nonostante una vittoria di Trump sarebbe probabilmente un disastro per tutti, sia negli Stati uniti sia nel resto del mondo.

Non può essere solo l’età, che pure ha un peso, a giustificare una politica così ottusa (Bernie Sanders, per fare un esempio, non è certo un ragazzino, eppure sulla questione di Gaza ha una linea molto più equilibrata: inflessibile contro i rigurgiti di antisemitismo, che ci sono, in qualche caso anche tra gli studenti, ma ferma nella difesa dei diritti dei palestinesi e prima di tutto nella richiesta di iniziative più efficaci per arrivare rapidamente al cessate il fuoco e alla liberazione degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas).

Nei prossimi mesi ci saranno domande spiacevoli a cui dovremo sforzarci di trovare una risposta. Domande che hanno a che fare anche, lo dico con dolore, con l’insensibilità dei liberali nei confronti delle ragioni di chi ha subito, e in qualche caso ancora subisce, il dominio coloniale europeo nel Medio Oriente, in Africa, in Asia e anche nelle Americhe.

La forza non è un surrogato della ragione. Eppure, nell’attacco alle università che vede alleati i repubblicani e una parte dell’establishment democratico si trasmette proprio questo messaggio, con conseguenze che potrebbero essere devastanti per gli orientamenti politici di una generazione.

Nei luoghi che dovrebbero essere il polmone che consente all’opinione pubblica democratica di avere l’ossigeno che le serve per rimanere in buona salute si tenta di soffocare il dissenso invece di riportarlo all’interno di una sana dialettica e di un possibile compromesso (che qualche università si sia per ora sottratta al riflesso condizionato della repressione, lascia aperto uno spiraglio alla speranza, ma temo che sia troppo poco e troppo tardi per evitare il danno).

In gioco non c’è solo la libertà accademica, che i cultori dell’università corporate ritengono meno importante della tutela del diritto di proprietà, ma la stessa idea che una società libera si distingua da un regime autoritario per la tolleranza che mostra per i dissidenti, anche quando esercitano forme di disobbedienza civile che comportano la violazione della legge.

LE PAGINE di John Rawls e Hannah Arendt stanno ritornando di stringente attualità e denunciano il vuoto di legittimazione morale che c’è al cuore del neoliberalismo contemporaneo, che ha sostituito l’imperativo del profitto all’eguale rispetto per ciascuno.

Gli eventi di questi giorni negli Usa ci riguardano. Le destre, sempre più forti e arroganti in Europa, guardano con compiacimento a quel che accade oltre oceano. Se la faccia del liberalismo occidentale è coperta dal casco di un poliziotto in tenuta antisommossa, diventa molto difficile distinguerla da quella degli «aspiranti fascisti» (come li chiama Federico Finchelstein) che tra qualche mese potrebbero avere un peso ancora maggiore anche qui da noi.

 

L’Europa fa la furba: riscopre Keynes per finanziare le armi

SOTTOSOPRA*    

Più sono alti in grado e più le sparano. Charles Michel, liberale, presidente del Consiglio europeo: “Se vogliamo la pace, dobbiamo prepararci alla guerra”. Donald Tusk, suo predecessore, liberale nonché liberatore della Polonia dal fanatismo, quantomeno nella vulgata: “La guerra è reale, siamo in epoca prebellica”. Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri dell’Ucraina che, bruciando le tappe, cerca l’ingresso nell’Unione europea: “L’era della pace è finita”. Tu chiamale, se vuoi, farneticazioni. Oppure ricorda che l’attuale presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è l’ex ministro della Difesa tedesca: e se in quel ruolo è improbabile non avere rapporti ambigui con le imprese fornitrici, in quello presente la presidente non ha mai attivamente cercato un ruolo negoziale per la risoluzione dei conflitti alle porte del continente, siano esse i confini terrestri o le sponde del Mediterraneo.

Diventa così forse più facile capire l’ultima classifica dell’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (Sipri) circa la spesa per armamenti nel mondo: il 2023 è stato l’anno record per gli acquisti a livello globale, per un importo totale pari a 2.400 miliardi di dollari. E nella graduatoria dei Paesi che hanno comprato di più, il secondo posto – dopo gli Stati Uniti sceriffi del pianeta – va all’Europa nel suo insieme, che ha speso complessivamente 314 miliardi. Più della Cina. Insomma, se la Ue nasce proprio per mostrare che superare conflitti terribili è sempre possibile, e spesso proprio con la creazione di strutture sovranazionali, quella missione originaria è stata manifestamente erosa dall’attuale classe dirigente, né si vede un cambio di rotta all’orizzonte: tanto che, nel momento in cui il nuovo Patto di Stabilità si accinge a stringere un cappio intorno alla spesa sociale, la Commissione propone come unico debito comune quello per la Difesa. La tardiva riscoperta di Keynes votata unicamente al riarmo: uno smarrimento drammatico, a cui si spera che le elezioni europee dell’8 e 9 giugno prossimo possano riparare fornendo una bussola con l’elezione di deputati consapevoli della posta in gioco.

Questo tradimento dello spirito fondativo è d’altronde profondo e innerva molti aspetti della vita europea: il libro Quale Europa (Donzelli), prodotto dal Forum Diversità e Disuguaglianze, segnala con preoccupazione il cambiamento delle università, nate nel Vecchio continente per favorire il libero scambio di idee e oggi quantomai lontane dall’obiettivo di produrre scienza aperta. La prassi è diventata infatti secretare le proprie scoperte finché non siano coperte da brevetto, in una tensione verso rendite monopolistiche o al servizio del dominio militare, tragicamente aggravata dal legame tra intelligenza artificiale e usi bellici. A Gaza, o in quel che ne rimane, l’esercito israeliano da mesi sceglie i bersagli da uccidere usando Lavander, un sistema basato sull’intelligenza artificiale, senza alcuna revisione umana, con l’assegnazione di un rango alle vittime predestinate che porta con sé un carico di errori e vittime “collaterali” accettabili, come se non si trattasse di vite umane. E un ruolo cruciale giocano in tutti i terreni di conflitto la rete di satelliti Starlink di Musk nonché i droni armati e automatizzati, prodotti anche dal campione nazionale Leonardo. Sono questi peraltro esempi delle tecnologie dual use contro cui protestano negli atenei molti studenti italiani, chiedendo un confronto: al posto dell’ascolto, però, ricevono biasimo e manganellate. La condivisione delle conoscenze e lo sforzo del dialogo sono i pilastri della convivenza pacifica e fruttuosa, nelle singole istituzioni e nel condominio europeo. Il tempo ora è finito: chi si candida alle prossime elezioni europee dovrà rispondere dell’idea di Europa che porta avanti, consapevole che il giudizio sarà severissimo.

Per il Mario Ricciardi  03/05/2024

Il Manifesto Mario Ricciardi  03/05/2024

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