martedì 7 maggio 2024

Quelli bravi. Destre e dem: tutti pacifinti con vista urne

AUTOCRITICHE E OPPORTUNISMI – La campagna elettorale impone la svolta arcobaleno: i guerrafondai di ieri adesso scoprono la via diplomatica

 

 (LORENZO GIARELLI – ilfattoquotidiano.it)

Todos pacifistas. La campagna elettorale risveglia all’improvviso la voglia di pace in quasi tutti i partiti, ribaltando il tenore dei commenti sulla guerra in Ucraina. Gli estremismi di Emmanuel Macron aiutano a rifarsi una verginità, ma appare comunque bizzarra la corsa a dire che con la Russia si debba trattare e non possa continuare la strategia delle armi in eterno. Ancor meglio se parole di equilibrio arrivano pure da Sergio Mattarella, che ieri ha indicato la via del “multilateralismo” e criticato “la corsa agli armamenti” che “sottrae risorse” allo sviluppo.

In principio fu la “redenzione” di Giorgia Meloni, nota grazie allo scherzo telefonico di due comici russi che nell’autunno scorso si finsero diplomatici africani. Abbandonati i gridi di battaglia (bisogna arrivare “all’equilibrio delle forze in campo”, dobbiamo “scommettere sulla vittoria dell’Ucraina”), Meloni confidò di “avere un paio di idee” sulla soluzione diplomatica: “È vicino il momento in cui tutti capiranno che c’è bisogno di una via d’uscita accettabile per entrambi”. Non a caso, nel programma di FdI per le Europee, i riferimenti agli aiuti militari saranno tiepidi. Sullo stesso solco, da un po’ il ministro della Difesa Guido Crosetto ondeggia tra il puro atlantismo e un più amaro bagno di realtà. Il Fatto a gennaio ha raccontato – e confermato nonostante la smentita del ministro – un intervento “riservato” di Crosetto a un evento promosso da Ernst&Young in cui anticipava foschi scenari in Ucraina (con la vittoria di Putin certa). Ieri, parlando col Messaggero, il titolare della Difesa ha ribadito il sì agli aiuti a Kiev, ma senza che l’obiettivo finale sia la riconquista dei territori: “Non dobbiamo mollare su ogni pertugio di diplomazia. Avevo avvisato Zelensky che la controffensiva non avrebbe avuto successo”.

Con l’avvicinarsi delle Europee, in molti hanno mollato ogni remora. Dopo aver sostenuto per anni l’invio di armi, aver votato senza distinguo gli aiuti militari e in qualche caso aver criticato i pacifisti (i “pacifinti”), ora firmano appelli e rilasciano dichiarazioni in favore della pace. Senza rinnegare il passato – si intende – ma con la frenesia di intestarsi un tema sempre più sentito e su cui gli italiani hanno le idee chiare dall’inizio del conflitto.

La Lega non è nuova a certe uscite. Nei giorni scorsi però è arrivato un preciso input da via Bellerio, allora i colonnelli salviniani stanno alzando i toni (come spiega il pezzo accanto). Le parole di ieri di Andrea Crippa (“bisogna dialogare con la Russia”) seguono quelle di Massimiliano Romeo: “Si sente solo parlare di armi, ma serve diplomazia”. Concetti spesso ripetuti dalla Lega, che poi però si è sempre allineata agli alleati quando si è trattato di votare sugli aiuti militari.

Diverso il discorso per FI. Se si escludono le uscite di Silvio Berlusconi, mai tenere nei confronti di Zelensky, il partito ha sempre dovuto adeguarsi alla linea di Antonio Tajani, ministro degli Esteri e quindi estraneo a ogni deragliamento rispetto alle indicazioni di Washington. Negli ultimi giorni però i forzisti hanno riscoperto l’animo pacifista.

Se Tajani dice quel che può e minimizza il contributo italiano (“Non manderemo mai soldati in Russia e invieremo solo armi non offensive, spero prevalga il buon senso”), i suoi prendono la bandiera arcobaleno. Matteo Gazzini, europarlamentare uscente ricandidato nel Nord-Est, ha addirittura azzardato uno strano sillogismo sul proprio santino elettorale: “Vota per la pace”. Sotto, il simbolo di FI barrato e la preferenza per Gazzini; sopra, la foto di Berlusconi che fa stringere la mano a Vladimir Putin e George Bush. Nel Nord-Est corre anche Flavio Tosi, un altro che punta sulla pace: “L’Europa oggi è spettatrice, saranno gli Usa a decidere se e quando ci si siede al tavolo di pace e a quali condizioni. È singolare prendere ordini dall’esterno”. Massimiliano Salini, ricandidato nel Nord-Ovest, è d’accordo: “L’Europa ha la pace nei suoi cromosomi. Il tema sarà assicurarsi che si diffonda”.

Più complicato è fare un discorso organico sul Pd, mai parco di sfumature sul tema. La posizione del partito resta quella di sempre, ribadita ieri da Elly Schlein: “È giusto supportare un popolo invaso criminalmente da Putin e al contempo chiedere all’Ue uno sforzo diplomatico più forte e costruire condizioni per la pace”. Qualcosa però si muove. Il presidente Stefano Bonaccini, tra i più intransigenti sul sì agli aiuti militari, ci tiene a ricordare che nell’armadio ha ancora la bandiera colorata: “Ho iniziato a far politica nei movimenti pacifisti, non so dove fosse Conte allora…”. Tra i più propositivi c’è Dario Nardella, il primo, nel marzo 2022, a organizzare una manifestazione in sostegno dell’Ucraina, una piazza che si smarcava da quella, parallela, promossa dalla rete pacifista (la quale, pur condannando l’invasione, chiedeva all’Occidente di non rispondere con le armi). Nardella ha poi partecipato a diverse iniziative umanitarie (senza scostarsi dalla linea del partito) e ora annuncia: “Aderisco convintamente all’appello lanciato dall’associazione Rondine per una formazione continua dei leader sul dialogo, la pace e la riduzione dei conflitti. La promozione della pace deve essere una priorità oggi, negli scenari internazionali e nella vita quotidiana”. Non avrà cambiato idea sull’Ucraina, ma è meglio mandare un messaggio distensivo.

 

Lo stesso avranno pensato al Nazareno, perché se è vero che la linea al momento non cambia è altrettanto assodato che in lista per le Europee ci sono personalità di cui è chiaro l’orientamento contrario agli aiuti militari a Kiev, come Marco Tarquinio e Cecilia Strada. E per le strade, tra i suoi vari cartelloni elettorali, il Pd ne ha stampato anche uno sufficientemente generico per star bene a tutti, ma con dentro la parola magica: “Un’Europa per la pace, non di guerra”.

A procedere per paradossi, viene allora in mente quando, qualche settimana fa, a Piazzapulita Corrado Formigli ha chiesto a Federico Rampini: “Ma allora aveva ragione Orsini?”. “Non arrivo a tanto”, era la replica dell’editorialista del Corriere, che però ammetteva: “Un po’ di autocritica la devo fare, non solo elencando gli errori dell’Occidente. Ho sottovalutato la forza di Putin, ho sbagliato nel vederlo isolato, l’applicazione delle sanzioni è stata un colabrodo”. Piccoli passi.

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