Diceva Einstein: “Follia è
fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi”.
(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
La miglior
definizione per le classi dirigenti occidentali, che da mille giorni
perdono in Ucraina con la Russia (tanto i morti ce li mettono gli
ucraini e i danni li pagano gli europei) e insistono nell’escalation
pensando di vincere. Una follia che nasce dal progetto “neoconservatore”
americano, trasversale a Repubblicani e Democratici, concepito 30 anni
fa da un trust di cervelli convinto che non bastasse aver vinto la
guerra fredda contro la Russia, ma bisognasse stravincerla. Come?
Provocando Mosca con progressivi allargamenti della Nato a Est, in barba
agli impegni assunti con Gorbaciov, e attaccando i suoi alleati in
Europa (Serbia, Ucraina, Georgia), Medio Oriente (Iraq e Siria) e Africa
(Libia), per attirarla in guerra, sconfiggerla, smembrarla, ridurla a
potenza regionale, indebolire e rimettere al guinzaglio l’Europa, poi
occuparsi della Cina.
Il primo a teorizzare la follia nel 1992 fu Paul
Wolfowitz, sottosegretario di Bush sr.. Fra i Dem la sviluppò nel ’97
Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la Sicurezza di Carter.
E fra i
Repubblicani il centro di ricerca “Progetto per un nuovo secolo
americano”, con Donald Rumsfeld, Dick Cheney e Bob Kagan. Temevano il
neoimperialismo di Putin? No, Putin non c’era: fino al ’99 a Mosca
regnava Eltsin, amicone di Usa e Ue, la cui Russia era financo partner
della Nato.
E lo rimase nei primi anni di Putin, presidente dal 2000.