https://www.lantidiplomatico.it/
di Michele Blanco
In politica il termine sinistra era un tempo sinonimo di ricerca
della giustizia e della sicurezza sociale e di impegno a favore di
coloro che non erano nati in una famiglia agiata e dovevano mantenersi
con lavori duri e spesso poco stimolanti. Essere di sinistra voleva dire
perseguire l’obiettivo di proteggere queste persone dalla povertà,
dall’umiliazione e dallo sfruttamento, dischiudere loro possibilità di
formazione e di ascesa sociale.
Chi era di sinistra credeva nella capacità della politica di
cambiare la società all’interno di uno Stato nazionale democratico e che
questo Stato potesse e dovesse correggere gli esiti del mercato. Anche
di fronte alle grandi differenze anche tra i sostenitori della sinistra,
una cosa era chiara i partiti di sinistra, che fossero
socialdemocratici, socialisti o comunisti, non rappresentavano le élite,
ma i più svantaggiati. Invece la sinistra attuale è costituita dai ceti
colti e internazionalisti, perché fautori della globalizzazione
finanziaria allo stesso modo delle destre liberali, che sostengono cioè
le politiche antisociali, come molti partiti conservatori senza alcuna
differenza tangibile, esempi concreti di questa sinistra, o meglio
centrosinistra [1] più di centro che di sinistra, perché sono sempre più
partiti che propongono politiche centriste, sono stati Macron, in
Francia, e Renzi, in Italia. In entrambi i casi abbiamo avuto,
nell’azione di governo, politiche indiscutibilmente, dal punto di vista
fattuale, pro-ricchi, riuscendo ad indebolire le classi medie: In
Francia, ad esempio, l’abolizione dell’imposta sul patrimonio; In
Italia, con il governo Renzi, abbiamo avuto l’abolizione dell’articolo
18 dello Statuto dei Lavoratori, che garantiva i lavoratori dipendenti
dall’ingiusto licenziamento [2], con gravi conseguenze sulla fiducia
delle classi popolari nell’operato della sinistra politica.
Abbiamo avuto in questi ultimi decenni una presunta «Sinistra
intellettuale benestante» e una «destra mercantile» – scrive Piketty –
che incarnano valori ed esperienze in qualche modo complementari. E
condividono anche non pochi tratti comuni, a cominciare da una certa
dose di ‘conservatorismo’ di fronte all’odierna situazione di
disuguaglianza. Sono evidenti le ragioni che hanno portato una parte
crescente dei gruppi sociali svantaggiati a sentirsi scarsamente
rappresentati (o addirittura abbandonati) dalla sinistra che ha anche
governato, per molti anni, in molte nazioni europee favorendo, solo ed
esclusivamente, le elitarie classi sociali più benestanti. Della stessa
opinione registriamo il parere di Sahra Wagenknecht, esponente della
sinistra radicale tedesca, che ritiene i tipici rappresentante della
sinistra liberale come: «Spocchiosi Arroganti. Ossessionati dal
politically correct. Persuasi di stare sempre dalla parte del Bene, e di
ciò che fa bene al pianeta» [3].
Inoltre esattamente come osserva Piketty la sinistra di governo,
oltre ad essere neoliberale, è «Modaiola e arrogante, neoliberale e
lontana dai suoi temi classici: salari, diritti, welfare» [4]. La
Wagenknecht osservando la situazione tedesca dei nostri tempi, spiega
con grande precisione perché la sinistra neoliberale abbia perso i voti
della classe operaia, infatti rivela che: «nei quartieri più alla moda
di Berlino, i figli dei professionisti e dei nuovi ricchi non incontrano
più quelli del precariato; vanno a scuole diverse e i meno abbienti li
vedono solo quando gli portano la posta o la cena».
Abbiamo di fronte una società globalizzata sempre più divisa a
compartimenti stagni, come avevano già descritto dai sociologi Ulrich
Beck e Zygmunt Bauman. Divisa da un lato fra chi la globalizzazione la
cavalca, come gli accademici e i loro pupilli, «che vivono agiati e
cullandosi nei loro stili di vita così verdi, ma vissuti come fossero
dei dogmi, dei precetti autoritari». E, dall’altra parte, la larga
fascia dei perdenti dell’era digitale, l’esercito del precariato e dei
pensionati che, dopo aver sgobbato una vita, si ritrova a frugare nei
cassonetti. Il resto, dalle crisi delle sinistre alla marea nera di
destra che monta in mezzo mondo, è storia quotidiana. Conclude la
Wagenknecht che «Non è vero dunque che nel 21° secolo la gente abbia
virato a destra. Dal punto di vista socio-economico le masse richiedono
più salario, diritti e welfare, i classici temi cioè di sinistra.
Peccato solo che i partiti di sinistra siano sempre più orientati a
politiche e atteggiamenti neoliberali», aggiunge: «È un fatto che le
garanzie del welfare, i sistemi sociali e sanitari funzionino solo
all’interno di uno Stato nazionale. E non possono essere estese,
ecumenicamente, a tutti senza pregiudicarne le prerogative». Come la
gestione statale nell’emergenza-virus ha drammaticamente mostrato [5].
Considerazioni simili le ha espresse il noto sociologo italiano
Domenico De Masi che, senza mezzi termini, afferma che la sinistra
liberale è responsabile dell’impoverimento delle classi sociali più
povere e del declino della classe media. Infatti, con grande lucidità di
analisi, sostiene che «nell’ultimo mezzo secolo i leader di sinistra
hanno fatto a gara per disorientare i cittadini. Si pensi, ad esempio,
agli esperimenti di “terze vie” alla Tony Blair o al Neue Mitte di
Gerhard Schroeder. Ma in Italia il disorientamento è iniziato subito
dopo la morte di Enrico Berlinguer, quando le sinistre caddero in un
insano innamoramento per il neoliberismo considerato come salvifica
modernizzazione.
Se si pensa che, negli anni 90, quando Mario Draghi fu Direttore
generale del Tesoro e presidente della Commissione per le
privatizzazioni, la furia privatizzatrice contro le industrie di Stato e
il settore pubblico non fu sferrata da leader neoliberisti come
Berlusconi o Dini, ma da socialisti e comunisti come Amato e D’Alema, ci
si rende conto del disorientamento in cui è stato via via trascinato il
popolo di sinistra. Il capolavoro perverso, allora compiuto sotto
l’accorta regia di Draghi, negli anni successivi si è ripetuto più
volte, sotto altre regie meno raffinate. E si pensi al Pd che, per fare
fede alla sua natura di sinistra, dovrebbe esibire con orgoglio un
programma socialdemocratico e che invece fa sua l’agenda di un liberista
come Draghi, dopo essere stato il massimo sostenitore del suo governo.
De Masi paventa che le politiche economiche, pandemia e guerra
legittimano l’ipotesi che almeno 12 milioni di italiani vivranno in
condizioni penose. A essi vanno aggiunte le centinaia di migliaia di
stranieri, clandestini e non, che subiscono uno sfruttamento
sistematico. Ma la questione non riguarda solo i poveri. Anche molti
giovani e meno giovani che superano la soglia della povertà vivono in
uno stato di precarietà perenne, imposta dalla politica economica
neo-liberista che della precarietà e del rischio diffusi ha fatto i suoi
principi fondamentali.
Dunque se i partiti di sinistra non intercettano i voti delle
classi popolari, dei precari e degli emarginati, che aumentano sempre di
più, vuol dire che non funzionano gli apparati e i rappresentanti dei
partiti che dicono di essere di sinistra ma hanno chiaramente perso di
vista il carattere distintivo della sinistra che è sempre stato
l’egualitarismo. Oggi la contrapposizione frontale dovrebbe essere tra
neoliberismo, che si risolve fatalmente in aumento delle disuguaglianze,
e socialdemocrazia che le riduce. Quindi tutto il fenomeno presentato
come populismo altro non è che il risultato delle difficoltà della
democrazia liberale, nelle sue svariate articolazioni, di affrontare il
problema centrale della nostra epoca, la fortissima sensazione di
insicurezza, non caratterizzante solamente nell’aspetto economico, delle
singole persone.
Questa è la grande questione che lascia una grave eredità di
delusione, disillusione e di fallimento, e che trascina l’intera società
ad una disperata ricerca di nuove forme di rappresentanza, vista la
poca differenza negli effetti pratici dell’alternanza nei governi di
destra e sinistra. Per questo, abbiamo visto, l’affermarsi di governi e
relativi leader che sembravano, o si atteggiavano, a possibili
demiurghi, o di nuova possibilità di mobilitazione e protesta, Il
movimento dei gilet gialli o giubbotti gialli in Francia, per cercare un
orizzonte diverso da questo attuale, ma con rischi e pericoli ancora
sconosciuti per la tenuta democratica [6] anche con la sempre più
“discesa in campo” di grandi capitalisti in politica, come Belusconi e
Trump.
Stefano Rodotà nel 2013 ne aveva tracciato un principio
importante, almeno per chi si definisce di sinistra: «Un principio
inaccettabile per la sinistra è la riduzione della persona a homo
oeconomicus, che si accompagna all’idea di mercato naturalizzato: è il
mercato che vota, decide, governa le nostre vite. Ne discende lo
svuotamento di alcuni diritti fondamentali come istruzione e salute, i
quali non possono essere vincolati alle risorse economiche. Allora
occorre tornare alle parole della triade rivoluzionaria, eguaglianza,
libertà e fraternità, che noi traduciamo in solidarietà: e questa non ha
a che fare con i buoni sentimenti ma con una pratica sociale che
favorisce i legami tra le persone. Non si tratta di ferri vecchi di una
cultura politica defunta, ma di bussole imprescindibili. Alle quali
aggiungerei un’altra parola-chiave fondamentale che è dignità» [7].
Questo è il punto focale anche nelle nazioni più ricche.
Per esempio in Italia abbiamo 5 milioni 770 mila poveri assoluti
che dispongono di meno di 2 dollari al giorno. A questi vanno aggiunti
circa 7 milioni di poveri relativi. Siamo a oltre dodici milioni di
poveri in un paese che ha 60 milioni di abitanti e che è l’ottavo al
mondo per ricchezza su 196. Ciò accade nonostante 3 milioni e 700 mila
persone prendano quel minimo reddito di cittadinanza [8]. Non si vede un
partito che si faccia carico di queste persone e dei loro bisogni e
diritti.
______________________________ _______________________
1 Lo stesso partito socialdemocratico tedesco, si distinse per
politiche moderate e di austerità, che nel 1998 riuscì a riprendere la
guida del governo, alla testa di una coalizione con i Verdi e
presentando come candidato alla cancelleria il moderato Gerhard
Schröder, fautore di una politica di “nuovo centro” (Neue Mitte), che
non si distinse affatto dalle politiche sostenute dai governi precedenti
e successivi guidati dai democristiani tedeschi.
2 «Le politiche condotte dal PD – in particolare la facilitazione
delle procedure di licenziamento (il cosiddetto “Jobs Act”) decisa dal
governo Renzi poco dopo l’arrivo al potere, che ha provocato una forte
opposizione dei sindacati e grandi manifestazioni (1 milione di persone a
Roma nell’ottobre 2014) – hanno contribuito ad aumentare l’impopolarità
del partito presso i ceti popolari e i lavoratori delle classi più
povere. Il forte sostegno a queste riforme manifestato pubblicamente
dalla cancelliera tedesca, la cristiano-democratica Angela Merkel, e la
certezza che la loro approvazione in Parlamento sarebbe stata garantita
da un accordo implicito tra PD e Forza Italia hanno contribuito a
consolidare l’opinione che il partito non avesse più nulla a che fare
con le sue origini socialiste-comuniste del dopoguerra», in T. Piketty,
Capitale e ideologia, Milano, La nave di Teseo, 2020, p. 993.
3 In S. Vastano, La sinistra? È un Lifestyle, in “L’Espresso”, del 29/05/2022, p. 76.
4 Ibidem.
5 Le tesi dell’autrice sono rafforzate dal suo bel saggio di oltre
400 pagine, S. Wagenknecht, Contro la sinistra neoliberale, Roma, Fazi,
2022, l’autrice mette bene in evidenza come la sempre citata
espressione liberalismo di sinistra è fuorviante. A guardar bene la
corrente che designa non è né di sinistra né liberale, ma contraddice
nella pratica l’orientamento di entrambi gli schieramenti; è una
sinistra ipocrita, saccente, imborghesita, che si crede detentrice della
verità e non ascolta gli elettori che chiedono «equilibrio sociale,
regolamentazione dei mercati, maggiori diritti per i lavoratori, welfare
state». Temi di cui la sinistra alla moda – come la definisce
Wagenknecht – non si occupa più, perché la questione del lavoro è
scomparsa dai suoi radar, e la lotta di casse è roba ottocentesca.
Insomma questa ristretta élite autodefinitasi di sinistra, che spopola
sui media, orienta la sua attenzione su globalismo, europeismo,
ambientalismo, temi importanti, per carità. Ma, nella realtà fattuale,
se difendi ciecamente la natura, senza curarti dei posti di lavoro di
una moltitudine di persone penalizzate dall’ambientalismo radicale, il
risultato è che mette la classe operaia in fuga verso destra. È
purtroppo un dato di fatto. L’intero pacchetto legislativo sul clima
scrive Wagenknecht come «formulato dal governo tedesco… colpisce in
maniera sproporzionata i poveri e chi vive nelle regioni rurali»,
dunque: «Tale maggioranza ritiene… che non valga la pena sostenere
l’impegno di Greta Thunberg” (Ivi, pp. 261-262). È solo un esempio di
come questa sinistra – ambientalista e attenta solo ai diritti civili –
abbia perso di vista i problemi più urgenti dei cittadini (economia,
lavoro, occupazione). Perdendo anche i loro voti. Perché questo è il
punto: i neoliberali di sinistra non pongono al centro della loro azione
problemi sociali ed economici, bensì domande riguardanti lo stile di
vita alla moda tra l’élite borghese. Ecco spiegata la crisi elettorale
in Germania di una sinistra che non fa più la sinistra e non capisce
quanto e fino a che punto l’esperienza di milioni di persone, oggi, “non
sia più l’ascesa professionale, ma la caduta sociale o la paura che ciò
accada” (Ivi,p. 93). Ecco perché i presunti leader riformisti italiani
(da Letta a Renzi a Calenda), non godono del consenso della classe
operaiae del ceto più umile: semplicemente perché non lo rappresentano
più. Si occupano d’altro. Il libro demolire l’ipocrisia e “la malafede –
per dirla con Sartre – di certa borghesia piena di sé” e demistificare
la demagogia della loro narrazione: quel parlare di “società aperta”,
mentre costruiscono muri tra le classi (si vedano le pp. 163-177); quel
parlare di democrazia mentre creano un’oligarchia (Ivi, pp. 322-352);
quel predicare la giustizia, mentre negano l’equità sociale e sono
subalterni alla finanza.
6 I pericoli per la democrazia sono sempre più evidenti,
soprattutto se consideriamo il grande potere degli ultramiliardari, la
filosofa Giorgia Serughetti lo ha messo molto bene in evidenza, in
questo suo articolo: «Di chi vi fidate di meno? Dei politici o dei
miliardari?. Con un sondaggio su Twitter, Elon Musk pone quella che
chiama una “vera domanda”, che ha però fin dal principio un suono
retorico. Il risultato infatti appare scontato, considerato l’emittente
del messaggio: il 76 per cento dei 3,4 milioni di utenti che hanno
votato indica i politici come meno degni di fiducia. Se l’eccentrico
patron di Tesla non è nuovo a provocazioni via social, l’episodio merita
tuttavia qualche attenzione, sia per ciò che rivela del rapporto tra i
super miliardari, il potere politico e la moltitudine dei senza-potere,
sia per la dimensione massiccia della partecipazione al sondaggio che,
anche al netto di possibili profili fake, segnala un pericolo nuovo,
persino visto da un’Italia che di uomini ricchi pronti ad aizzare il
pubblico contro politici di professione ne ha conosciuti più d’uno. Il
tweet esprime la quintessenza dell’antipolitica di una classe
proprietaria che dipinge il lavoro di parlamenti e governi come inutile,
dannoso e fondamentalmente avverso non solo al proprio interesse ma
all’interesse del “popolo” che, sgravato da oneri e imposizioni, sarebbe
più libero di perseguire la propria felicità. “La politica è un
generatore di tristezza”, scrive Musk in un altro post. Fino a qui,
siamo su un terreno che conosciamo. In Italia, Silvio Berlusconi ha
lungamente contrapposto la propria abilità di uomo d’impresa all’inerzia
dei politici di professione. Però il suo caso, come quello di altri
imprenditori milionari che “scendono in campo”, implica ancora il
desiderio di partecipare al gioco della politica, conquistare il
governo, fino magari a impadronirsi della macchina dello stato; non
quello di fare a meno dello stato, o di sostituirsi al suo potere.
L’aspetto storicamente inedito dei super ricchi con patrimoni a dodici
cifre, quelli di cui parla Riccardo Staglianò nel suo libro
Gigacapitalisti (Einaudi), è che “si tratta di privati cittadini in
grado di fare cose prima appannaggio solo degli stati”: dalla gestione
di scambi a livello planetario alla sorveglianza di massa, fino ai
viaggi spaziali. Privati che fanno tutto ciò come privati, senza
l’ambizione di conquistare il potere politico. Cosa significa allora
«fidarsi» dei miliardari, che non rendono conto a nessuno, più che dei
politici che rispondono all’elettorato? Significa vedere nei primi una
promessa di felicità, anche se le loro innovazioni paiono lontane anni
luce dalla vita e i problemi quotidiani delle persone comuni? E pur
sapendo che nella crisi pandemica questi hanno moltiplicato i propri
guadagni, mentre milioni di persone regredivano sotto la soglia minima
di benessere? Sono domande che trovano risposta solo guardando il
rovescio della medaglia, osservando la perdita generale di fiducia in
partiti politici che faticano a rappresentare componenti sempre più
ampie del demos, e la distruzione del credo nell’uguaglianza che tiene
in vita la democrazia. Solo che di queste dinamiche i “gigacapitalisti”
come Musk, Jeff Bezos o Mark Zuckerberg non sono spettatori interessati,
sono attori. L’informazione tossica delle piattaforme social,
l’attentato ai diritti dei lavoratori, il ricatto esercitato verso gli
stati, sono solo alcuni dei modi con cui favoriscono la crescita del
malessere individuale, insieme alla sfiducia nel collettivo e nella
politica. Per questo, come scrive Staglianò, dire che rappresentano una
minaccia per la democrazia “non è un’iperbole”. E poiché la loro
ambizione è globale, nessuna democrazia può dirsi al sicuro», in G.
Serughetti, Il caso Elon Musk. L’antipolitica dei miliardari minaccia la
democrazia, in “Domani”, del 30/05/2022, p. 5.
7 Dall’intervista di Simonetta Fiori, Stefano Rodotà: “Dignità, la parola chiave”, in “la Repubblica”, 23 luglio 2013, in https://www.repubblica.it/la- repubblica-delle-idee/2013/07/ 23/news/stefano_r
Nessun commento:
Posta un commento