lunedì 9 settembre 2024

Massimo Cacciari. Il futuro dell’Europa al bivio della storia.

Vi sono momenti in cui la paura è virtù e suscitare orrore per ciò che accade e ancor peggio potrebbe accadere può aiutare a affrontarlo.

Il futuro dell’Europa al bivio della storia

(Massimo Cacciari – lastampa.it)

Abolire la guerra è un astratto Fine da anime belle? Sarà – noi “buoni europei” dovremmo almeno ricordare che questo Fine ha nutrito le razionali speranze dei nostri spiriti migliori. Ma lasciamo perdere la “filosofia”, come dicono i nostri leader che con encomiabile concretezza ci chiamano alle armi. Se il nostro genere non può fare a meno della guerra, cerchiamo almeno che essa si dia soltanto quando necessaria. E quando è tale, e cioè assolutamente inevitabile, nel sistema-mondo contemporaneo? Soltanto quando uno “spazio imperiale” esplicitamente progetta la soppressione dello “spazio” nemico.

Uno Stato o staterello può venir fagocitato da uno “spazio imperiale” attraverso guerre locali, la lotta tra Imperi assume invece per forza un carattere globale. Ma un Impero che svolga una politica egemonica senza aver misurato le proprie forze si destina al suicidio. È ragionevolmente pensabile che uno dei “grandi spazi” oggi in conflitto possa davvero ritenere di annullare gli altri o ridurne drasticamente l’autonomia? La sua èlite politica sarebbe composta da folli e allora per la sua e nostra nave non vi sarebbe che dulce naufragium. Credo però che da nessuna parte vi siano Napoleoni (né Hitler) redivivi. E tantomeno “scontri di civiltà” tali da rendere necessaria la guerra, come fu in determinate epoche tra Islam e potenze europee o tra alcune di queste e Impero ottomano o ancora tra Russia e Tartari. Una cosa è la propaganda e l’ intellighentsia di complemento che strombetta in ogni conflitto, altra cosa, augurabilmente, l’azione politica delle leadership imperiali. Esse non possono non sapere che per incontestabili ragioni demografiche, economiche, sociali interne, nessuna di esse è nelle condizioni di rivendicare un primato globale.

Le guerre in atto non sono perciò necessarie; hanno cause determinate precisamente, non mettono a rischio “spazi imperiali”. Perciò è criminale non compiere ogni sforzo politico-diplomatico per farle cessare. Esse derivano da evidenti errori di valutazione, assenza di realismo, ignoranza dell’avversario, e soprattutto dal modo sciagurato in cui si è conclusa la “guerra fredda”, senza un autentico Trattato di pace che stabilisse i nuovi equilibri di potenza in base agli indiscutibili diritti del vincitore. Ciò ha creato infondate illusioni da una parte e nazionalismo revanscista, Illusionspolitik, dall’altra. Ma come non capire che qui ci troviamo di fronte al tragico lascito di un passato che l’Occidente tutto, orientale, atlantico, franco-carolingio e mediterraneo, non è riuscito appunto a risolvere, e comunque a un conflitto che non ha più in alcun modo i tratti di quel confronto globale che aveva caratterizzato il secondo dopoguerra? C’è la grande Cina, ora, ci sono i Paesi del Brics – ci sono soprattutto i drammatici e inconfutabili dati economici e demografici. Qualsiasi idea di egemonia di un “grande spazio” sull’altro può portare soltanto all’orrore globale.

È perciò necessario trattare, trattare e ancora trattare. L’Europa, gli Stati europei che ancora non comprendono di dover formare un’Unità politica per non cadere nell’assoluta impotenza, sono comunque chiamati a chiudere la loro ennesima “guerra civile”, se non vogliono che dal loro interno, ancora una volta, si scateni l’incendio. Di “guerra civile” si tratta, a tutti gli effetti – come quella nei Balcani trent’anni fa – ma con l’Europa, oggi, che assiste e basta peggio ancora di ieri, e con una drammatica “prossimità” nella guerra tra “spazi imperiali”. Occorre avere fiducia che gli Stati europei siano coscienti di questa loro storica responsabilità, avvertano l’orrore che dal loro interno esploda per la terza volta la catastrofe globale e approntino un loro concreto piano per la risoluzione del conflitto. Mentre il mondo guarda con angoscia a Ucraina e a Gaza le pagine dei nostri giornali rigurgitano dei miserabilia di Sangiuliano e del governo Meloni. Occorrerebbe tutto il feroce sarcasmo di un Karl Kraus per rendere questo contrasto di situazioni. Voluta operazione di “distrazione di massa”? Si darebbe troppo credito alle astuzie tattiche dei nostri attuali nocchieri.

Temo si tratti davvero semplicemente di un non sapere che pesci pigliare. Non tanto, per carità, sul piano internazionale, dove ben poco potremmo combinare comunque, bensì proprio su quello delle politiche finanziarie e sociali interne. Quale manovra riuscirà a approntare il governo? Quante bugie riuscirà ancora a far passare? Quali “moltiplicatori” inventerà per i progetti del Pnrr e per gli altri interventi in atto (di cui alcuni, tra i più sciagurati, come il 110%, non sono sua responsabilità – tutti interventi che comportano aumenti di spesa e di debito)? Che margini esistono per il sostegno ai redditi più bassi? Con 3000 miliardi di debito pubblico (180 più o meno all’anno di interessi da pagare) ogni intervento sarà gentile concessione dei mercati, i quali, di solito, non sono particolarmente sensibili a istanze di ordine sociale. La nostra autonomia è ridotta a chiacchiera e propaganda. Occorrerebbe metter mano a radicali riduzioni della spesa pubblica improduttiva, a una riforma fiscale coraggiosa (e chi ne parla? C’è una legge delega che non fornisce alcun indirizzo preciso). Ma no – noi discutiamo di autonomia differenziata (non di riforma dell’assetto regionalistico), e di pseudo-presidenzialismo (non di far funzionare un Parlamento trasformatosi ormai in un fantasma). E quando siamo particolarmente allegri, anche di Sangiuliano e dei suoi amori.

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