domenica 16 gennaio 2022

Coniglie mannare all’ombra del Colle

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Quando agli americani venne offerta la scelta tra Trump e Clinton, nessun animale metropolitano, nessun illuminato, non a caso abbeveratosi alla fonte della narrativa minimalista che predica di accontentarsi, ebbe dubbi che la meritevole di fiducia e di speranza fosse lei, una donna volitiva che aveva riconquistato la dignità ferita dalle corna, che dimostrava che era possibile rompere il soffitto di cristallo mettendo a frutto qualità e caratteri maschili, esasperandoli perché si sa, le femmine sono destinate a fare il doppio di qualsiasi maschio per ottenere pari risultati.

La sua sconfitta diede spazio a valanghe di luoghi comuni sull’indole delle etnie periferiche e dell’american farmer, contaminati dal populismo, ma soprattutto sull’incapacità antropologica delle donne di premiare col voto e il consenso il loro genere, avvelenate come sono da invidie e frustrazioni.

Nessuno si soffermò sul fatto che la candidata era l’espressione più feroce, muscolare e virilista dei codici genetici che hanno caratterizzato colonialismo e imperialismo americano, con la pretesa di una superiorità etica che ha autorizzato sangue, guerre di classe esterne e interne per permettere l’imposizione e l’esportazione di uno stile di vita basato sul profitto, lo sfruttamento, le disuguaglianze.

Fu evidente a chi voleva vedere che ragione e sentimento premessero per dare un tardivo ma doveroso riconoscimento a Lady Macbeth, finalmente scesa in campo dopo aver brigato tutta la vita per la scalata al successo e al potere del consorte, più esposto a fermenti della mente e del corpo, meno determinato a soddisfare la sua ambizione e le aspettative dei nobili finanziatori.

Non stupisce che anche qui in attesa dell’ascesa al Colle, si  confidi sul poderoso potenziale di rottura degli schemi e degli stereotipi della cultura patriarcale che continua a costituire un caposaldo di ogni regime.   rappresentato da una candidatura “gentile” che esibirebbe le credenziali di genere, sensibilità, indole alla cura e all’ascolto, istinto materno che si dispiega nell’inclinazione a esercitare solidarietà disinteressata.

Così non c’è giorno che non spunti fuori qualche nome nella rosa che più rosa di così non si può degli aspiranti all’alta carica Cartabia, Bonino, Bindi, e poi qualche premio Bellisario e qualche avanzi di quota rosa partitica, Casellati o Finocchiaro, Moratti o Pinotti, concessi come un trastullo per  noi che siamo spettatori in una remota piccionaia, esclusi dai giochi e dalla lotteria, a illuderci che esista un terreno di confronto più dignitoso  del suk, del mercato dei quarti di bue nobilitato da qualche vacca, con tutto il rispetto.

A margine della scelta, se sia meno peggio il golpista inverecondo, grossolano e burbanzoso impegnato a difendere le sue trastole criminali o il golpista a norma di legge e di direttiva europea, addetto a tutelare interessi imperiali, ambedue comunque invischiati e partecipi dello stesso corto circuito che tante volte li ha resi funzionali l’uno all’altro, possiamo dilettarci con le pagelle e i curricula che ovviamente non possono che basarsi su prestazioni e esperienze trascorse.

Macinano consenso tra grandi elettori virtuali e reali,  soggetti che non hanno mai corso alcun rischio se non quello di perdere un tacco 10 durante la corsa alla poltroncina ingiustamente negata da sultani e pascià,  quelle costrette a qualche rinuncia per far posto a collega maschio secondo le tempistiche dell’avvicendamento nei ruoli chiave, altre che ricordano i dogmi dell’emancipazionismo a intermittenza, ora volontariamente asessuate e pronte a tradire il loro genere con maggiore protervia per far dimenticare il peccato d’origine, donne a pieno titolo quando serve incarnare il ruolo di vittima esposta agli attacchi sessisti a copertura di comportamenti indegni, personali e politici.

Non ne vedo una che possa dare qualche speranza ai dannati della terra: non fanno nemmeno lo sforzo di recuperare certi miti fondativi della cultura delle quote rosa, la Pinotti che dichiara che la pace si conquista attrezzandosi per la guerra. O la Moratti che dopo aver brigato per imporre l’approccio aziendalistico al servizio pubblico e alla scuola, dopo aver messo le basi per la concessione della sua città a cordate corrotte e corruttrici, al monopolio della speculazione applica gli stessi paradigmi per demolire lo stato sociale. O la Bonino, spavalda sacerdotessa della rinuncia di sovranità espropriata, ferina interprete di una cultura dei diritti divisi per gerarchie e graduatorie secondo la quale la conquista di uno compensa la perdita di quelli fondamentali violati e alienati o erogati a pagamento, sicché se si esige quello al lavoro è obbligatorio abiurare a quello alla salute, se si reclama quello alla morte con dignità si deve ragionevolmente abdicare  a quello alla cura, così intrisa di una sua personale laicità da accreditarsi in ogni occasione come papessa.

Per non parlare delle vestali del neoliberismo nella notte della democrazia, a cominciare dall’esangue Cartabia, che sparge intorno incenso a mimosa appassita, la cui concezione della giustizia  colloca le disuguaglianze nel contesto dei problemi di ordine pubblico, si tratti  delle differenze di trattamento tra chi ruba la mela o ha gestito la manutenzione di un ponte,  della violenza sulle donne o la loro esclusione dal lavoro.

Anche in questo caso va a sapere se sono peggio le maitresse berlusconiane o rivendicato quelle che hanno conquistato con la fidelizzazione al pensiero dominante e alla sua tirannia, pari opportunità di carriera, mobilità e status sociali e le postulano ma limitatamente alle loro pari, a sancire il collaborazionismo  fra liberismo e femminismo emancipazionista”, un vincolo ben concimato  dall’ideologia del politicamente corretto”.

L’unica candidata alla quale guarderei con fiducia e speranza non è presente in nessuna lista, dal 15 gennaio del 1919, quando Rosa Luxemburg veniva arrestata e poi assassinata. (2. Fine)

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