lunedì 15 novembre 2021

Sbandati & Banditi

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Anche se dobbiamo avergli messa un po’ di paura, a vedere la stretta repressiva del terzetto Mattarella, Draghi, Lamorgese con dichiarazione ufficiale dello stato di eccezione, ancora  una volta abbiamo lasciato passare ottobre senza fare la rivoluzione. Così, per giunta, ci sfottono, con le loro riforme, le condizioni doveroso per accedere ai prestiti degli strozzini, la obbligatorietà della nuova austerità come se non ne avessimo avuta già abbastanza.

Non bastasse, ci propinano dalle colonne infami dei loro giornali i dogmi della teocrazia del mercato che ormai occupa le teste rinunciatarie di pensatori e opinionisti in concorso con la narcosi volontaria cui si sono sottoposti come atto di fede nella religione totalitaria anche in forma di vaccino.

Ogni tanto sembra che si abbandonino a un rito inconsueto in questo Paese, quello dell’autocritica e magari qualche innocente sprovveduto è portato a immaginare che il panorama delle rovine prodotte dall’assolutismo economico-finanziario abbia insinuato in loro qualche dubbio sulla bontà della loro ideologia dominante e delle loro azioni. Ma si sbaglia, sono preoccupati unicamente che un certo ottobre in un porto (Odessa o Trieste?) di una qualche latitudine dei fermenti imprevedibili che non hanno saputo sedare con la miseria o la repressione accendano gli animi e circoli quel contagio di collera e ribellione.

A questo proposito chi ancora va in edicola avrebbe potuto godere ieri della ghiotta offerta del Sole 24 Ore che proponeva a modico prezzo agli affezionati lettori un agile volumetto dal titolo “Gli Sbandati” di Antonio Galdo, giornalista e direttore del sito Nonsprecare, in ragione di ciò generoso di critiche nei confronti della classe dirigente italiana, cito dal soffietto di presentazione “così liquida e poco preparata”, tanto da essere costretta ad affidarsi continuamente a una supplenza esterna, e dove linee guida e personale si  cercano nell’opaco universo delle società di consulenza. Carriere facilitate da meccanismi di selezione casuali  “attraverso l’ascensore di Internet o in sinergia con la televisione” o grazie alla fidelizzazione in partiti ad personam avrebbero prodotto una classe dirigente di sbandati, che, è il timore dell’illuminato autore, potrebbe non essere in grado  di spendere virtuosamente le  risorse che stanno per arrivare e che valgono sette volte quelle del piano Marshall alla fine della Seconda guerra mondiale.

Non c’è da essere maliziosi a immaginare che il corollario sia sicuramente: per fortuna che c’è Lui, il grande timoniere addestrato sul Britannia, che guarda al futuro con fermezza severa ma anche con ottimistica determinazione e che ci guiderà verso un nuovo benessere.

Certo non depone a favore di questa radiosa visione la selezione del personale, in prestito dalle professioni, dalle università e dai rottami partitici, su cui si regge il suo incontrastato imperio. E nemmeno il suo curriculum giustifica un cursus honorum costellato di successi in mansioni meramente esecutive, non un banchiere ma un puntiglioso funzionario, non un manager, ma un impiegato del settore delle risorse umane addetto a ristrutturazioni  e liquidazioni, non un imprenditore, ma un intendente, di quelli di una volta, che giravano fucile in spalla in giro per il contado a riscuotere tasse e balzelli dai villici.

D’altra parte sarebbe troppo pretendere che l’edificio di principi e valori neoliberale nutra una élite intellettuale e operativa in grado di costruire un sistema ideologico e morale alternativo alle utopie socialiste e che non consista solo nel disegnare un ordine mondiale inteso a contrastare gli “abusi” sociali e civili  esorbitanti delle democrazie, anche attraverso la condanna degli stati a una funzione di tipo assistenziale e di garanzia e tutela  del mercato, a beneficio di uno spazio politico- decisionale sovranazionale, che non a caso evoca l’immagine di un impero.

Siccome siamo andati peggiorando Alesina, Giavazzi, Deaglio principe consorte, Reichlin figlia degenere, non sono certo von Hayek e neanche Milton Friedman, nemmeno si interrogano se sia compito di una élite immaginare una svolta teorica e politica in grado di riscattare il mercato e le sue regole promosse a leggi naturali di vincoli sociali realizzando l’utopia di un mercato che si regolamenta da solo o se invece promuoverlo a sistema che deve necessariamente fare affidamento sulle reti istituzionali, tanto sono posseduti dalla convinzione  che l’obiettivo prioritario consista nel creare un ordine internazionale in grado di salvaguardare il casinò finanziario e la proprietà privata dalle ingerenze dei parlamenti e degli stati, dove devono contare solo quelli che possiedono e gli addetti al loro servizio.

E difatti il disegno che perseguono è quello di riempire le tasche di chi ha, svuotando quelle statali e le nostre, grazie alla chiara fama usurpata di personaggi scadenti che in forma autoreferenziale decidono arbitrariamente dove e come allocare le risorse, operano una selezione di comparti e soggetti meritevoli di godere di benefici, aiuti e promozione sociale, impongono un modello di sicurezza basato su schemi autoritari e repressivi, proponendo lo stesso format che ispira i governi occidentali in carica, quello delle  privatizzazioni delle imprese pubbliche e dei servizi,  della cancellazione dei confini e delle barriere  che ostacolano la libera circolazione di capitali e degli eserciti di forza lavoro, della riduzione degli spazi di libertà di espressione per favorire l’accesso a un diritto per volta- oggi quello alla profilassi – persuadendo che la rinuncia agli altri lo esalti e tuteli, perché la democrazia va bene sì, ma senza eccessi, è utile che resti in funzione finchè serve al capitalismo, per poi sospenderla quando costa troppo mantenerla a beneficio del popolo.

Più che di sbandati la cerchia del dominio sembra composta di drogati strafatti dei loro privilegi e di ubriachi ebbri della possibilità di partecipare, sia pure in veste di lustrascarpe, alla sopraffazione, allo sfruttamento, all’umiliazione in modo da cementare la folle cognizione di una loro superiorità.

Che dimostrano applicando su scala interna e locale i capisaldi del colonialismo  e dell’imperialismo, tanto da utilizzare allo scopo i “valori” umanitari, trasformati in campagne belliche, o le “sanzioni” discrezionali per penalizzare e punire i sospetti nemici in casa, realizzando una selezione xenofoba e razzista per valorizzare territori, segmenti di popolazione e categorie discriminando gli altri, alimentando risentimento e rancore  in modo da coagulare una maggioranza, grazie alla paura, alla diffidenza e al sospetto, che sia preparata al contrasto di chi ha l’audacia di non uniformarsi e assoggettarsi.

E allora sarebbe proprio un disonore se vincessero la partita.

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