mercoledì 9 giugno 2021

Salari da fame, l’ultima idea per la “crescita”

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Non se ne può sinceramente più. Siamo abituati alla menzogna sistematica da parte degli organi di informazione di regime, ma sta diventando tutto molto ridicolo.

L’effetto “Grande Fratello”, romanzo orwelliano in cui il ministero della Difesa veniva per esempio chiamato “della Pace”, è quasi raggiunto. In qualche caso superato.

I sedicenti “democratici” di Repubblica dimostrano di essere autentici monarchici, a busta paga della famiglia Agnelli. Oggi per esempio titolano a tutta prima pagina: “Alla ripresa servono cinquecentomila lavoratori”.

Come se tra i milioni di disoccupati mancassero “le competenze” giuste per coprire posti da “addetti al turismo, informatici, ingegneri, saldatori”.

Ma quando devono provare a spiegare perché i disoccupati non si presentano ai cancelli delle aziende, il velo cade immediatamente: “I posti ci sono, mancano i lavoratori. Chi si sente sfruttato rinuncia. Gli imprenditori: troppi assistiti”.

E giù con “l’analisi comportamentale”, ovviamente criminalizzante: “Tanti lavoratori preferiscono incassare reddito di cittadinanza o cassa integrazione, e intanto lavorare in nero”.

Neanche si accorgono di dire una cazzata mostruosa o di “svelare” un piccolo segreto indicibile: se milioni di lavoratori si prestano a lavorare in nero – avendo, oppure no, un altro reddito “assistenziale” – è perché ci sono centinaia di miglia di “imprenditori” che offrono soltanto posti in nero e/o salari da fame.

In quel caso “la domanda si incrocia con l’offerta”, mentre le aziende che offrono un salario da fame “in chiaro” fanno ovviamente più fatica (il lavoratore dovrebbe rinunciare a mezzo reddito e lavorare a tempo pieno per avere l’altro mezzo).

Comunque la si rigiri, insomma, il vero problema dell’occupazione in questo paese è che abbiamo una classe imprenditoriale stracciona, che punta a ricavare un guadagno anche minimo lucrando solo sui salari (l’unica “merce”, in fondo, che ha un prezzo diverso da paese a paese).

Ed è una classe di “prenditori” più che di imprenditori, che controlla pienamente sia il sistema dei media, i singoli “giornalisti”, il governo del paese.

Le grandi imprese, che pure potrebbero tranquillamente prosperare anche pagando salari decenti (sufficienti per vivere, almeno), lasciano fare perché – come dicono – del “lavoratore trattato come un maiale non si butta via niente”. Anche quei pochi euro risparmiati sul salario fanno cassa…

Il sistema dei partiti politici è stato completamente arruolato a questo schema e a quegli interessi. Impossibile distinguere, su questo, il Pd e la Lega. Persino la finta opposizione della Meloni pretende di “destinare le risorse del reddito di cittadinanza a favore delle imprese”!

Inutile attendersi qualcosa dai sindacati complici. Cisl e Uil hanno già fatto sapere di accettare la fine del blocco dei licenziamenti. E Landini, della Cgil, ha incontrato Draghi senza ricavarne nulla. Ma la parola “sciopero” non gli esce lo stesso di bocca…

In cima alla catena del meccanismo che strangola i lavoratori dipendenti (e anche le false partite Iva “monocommittente”) stanno ovviamente Mario Draghi e l’Unione Europea, che non perde occasione per dare una mano alle imprese di ogni livello e dimensione. Oggi ordinando di cancellare subito il blocco dei licenziamenti, tutti i giorni tuonando contro il “debito cattivo” (i vari ammortizzatori sociali da fame messi su per limitare i danni e la rabbia sociale).

E’ lì, sui grandi numeri, il vero cancro del nostro paese. Mentre i grandi competitori internazionali – Cina e Stati Uniti – hanno reagito allo shock economico della pandemia investendo valanghe di soldi pubblici (6.000 miliardi di dollari soltanto l’amministrazione Biden), puntando ad incrementare la domanda interna con aumenti salariali (Usa) e/o costruendo la sanità pubblica (Cina), gli strozzini alla guida dell’Unione Europea hanno scelto una via praticamente opposta.

Il Recovery Fund è dimensionalmente penoso – 750 miliardi in sei anni – e gravato di “condizionalità” che ne limitano grandemente la portata. Non paghi, stanno già premendo per il “ritorno all’austerità”. Ovvero a tagliare la spesa pubblica “cattiva”, quella che porta qualcosa in tasca – in termini di servizi o sussidi – a chi ha ben poco.

Questa è la situazione. Davvero qualcuno può credere che se ne uscirà trovando chi è disposto a lavorare 10 ore per un salario da 500 euro?

 

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