La Svezia si presenta come paese più che all’avanguardia nella transizione a un’economia sostenibile dal punto di vista ambientale. Ma, dati alla mano, è solo l’ennesimo caso che conferma la tendenza dell’economia capitalista a inquinare e a distruggere l’ambiente. Una situazione che evidentemente non è superabile per via istituzionale.

Qui la versione in lingua svedese dell’articolo.


La Svezia è spesso dipinta sia all’interno che al di fuori dei suoi confini come un paese in cui la questione climatica è tenuta in seria considerazione dai suoi politici. Non è difficile imbattersi in articoli che lodano gli investimenti del Paese scandinavo in ambito climatico e che lo propongono come modello da seguire per “salvare il pianeta”. Se da un lato è vero che la società svedese, che sulla carta ha intenzione di diventare la prima economia libera dai combustibili fossili, si è posta obiettivi ambiziosi, dall’altro non è affatto scontato che stia mettendo in campo azioni concrete per raggiungerli.

Un capitalismo libero dai combustibili fossili entro il 2045?

Per gli svedesi e specialmente per le giovani generazioni, la questione climatica è generalmente percepita come rilevante e i movimenti dal basso, come Fridays for Future o Extinction Rebellion, sono cresciuti rapidamente nel corso degli scorsi anni. Il primo è stato fondato da Greta Thunberg, la giovanissima attivista che ha attirato l’attenzione mediatica mondiale, lanciando gli scioperi studenteschi del venerdì, diventati un fenomeno mondiale.

Persino nelle scuole del paese vengono compiuti degli sforzi affinché gli allievi crescano con la consapevolezza della propria impronta climatica. È da notare, tuttavia, che la responsabilità dell’impatto ambientale viene posta esclusivamente sull’individuo e su come egli possa privatamente contribuire alla diminuzione delle emissioni: in che modo la società nel suo insieme debba agire per raggiungere gli obiettivi climatici è una questione a cui non viene attribuita la stessa importanza.

La Svezia si è posta obiettivi climatici all’avanguardia che rispecchiano la volontà ampiamente diffusa tra la popolazione di preservare e proteggere la natura. Tra questi obiettivi c’è quello di liberarsi dall’economia fossile entro il 2045; questo secondo la legge nazionale di protezione sul clima. Degli otto partiti presenti in parlamento sette hanno sottoscritto la legge – tutti tranne SD, il partito di estrema destra. Ciò potrebbe apparire promettente, ma non basta affinché le emissioni diminuiscano a un ritmo sufficientemente veloce, perché una legge da sola non può garantire una transizione ecologica che evidentemente si scontra con la tendenza delle aziende a far prevalere la ricerca del profitto immediato sopra qualsiasi altra necessità legata all’economia nel senso più letterale del termine, cioè ordinamento del nostro rapporto con l’ambiente.
7 giovani su 10 si dicono insoddisfatti della politica climatica svedese e pensano che i politici non facciano abbastanza; al tempo stesso si dicono pronti a cambiare il proprio stile di vita se necessario per salvare il pianeta
: non si può dire, insomma, che una reale transizione ecologica troverebbe un limite invalicabile nella cultura di massa di oggi, nel consumismo o nell’edonismo delle generazioni che dovranno affrontarla.
I giovani svedesi, in questo senso, mandano un segnale netto ai politici e ciò rischia di sfociare in un conflitto tra generazioni dove i giovani mettono alla gogna la ”vecchia” classe dirigente per non avere agito a sufficienza.
Ma la questione riguarda appunto decisioni epocali da prendere per trasformare profondamente l’economia, e non l’incomprensione tra generazioni.

L’accordo di Parigi

Il piano d’azione del governo contiene perlopiù ”ambizioni generiche e priorità” così come “pianificazioni di ricerche e rispettivi obiettivi delle autorità”. Non è semplice sapere quali azioni concrete vengono messe in campo e quali risultati ci si aspetta di raggiungere, il governo infatti rimane silente in merito.
La Svezia è tra i firmatari dell’Accordo di Parigi, con cui molti dei leader mondiali hanno deciso nel 2015 di mettere in campo azioni congiunte per evitare che la temperatura globale, nel suo aumentare a causa dell’inquinamento generato dalla società umana, non superi il grado e mezzo.
Nonostante la clausola di cooperazione tra i Paesi stabilita con l’Accordo, la
Svezia ha concentrato i propri sforzi sul piano meramente nazionale. John Hassler, un ricercatore che ha studiato il rapporto tra economia e questioni climatiche, ritiene che questa impostazione “sovranista” ai problemi climatici sia non solo datata in quanto riconducibile a una tradizione tutta svedese di “pianificazione sociale nazionale”, ma irrealistica e insostenibile nel villaggio globale contemporaneo. Altrettanto irrealistica è l’idea, sostenuta da alcuni, secondo la quale non solo la Svezia sarebbe un caso esemplare di politica ambientale, ma il suo agire su scala meramente nazionale potrebbe ispirare i leader cinesi a adottare politiche simili.

Secondo una statistica europea, la Svezia si posiziona quarta tra i paesi più ambiziosi in termini di politica climatica. Tuttavia, la stessa UE riconosce che il Paese manca di piani adeguati che siano all’altezza di quelle ambizioni. Ad esempio non è chiaro come le sovvenzioni all’economia fossile debbano essere gradualmente eliminate. Un altro problema è che l’efficienza energetica viene attualmente misurata in termini di intensità energetica (numero di kilowatt per corona)
Per raggiungere gli obiettivi climatici è necessario ridurre complessivamente il consumo di energia ma, a causa di questo modo di calcolare l’efficienza energetica, il consumo di energia del paese viene lasciato aumentare dato che, in questo modo, aumenta anche il PIL. Al fine di raggiungere gli obiettivi climatici stabiliti (che, per quanto ambiziosi, rimangono
al di sotto di quelli previsti dall’accordo di Parigi), le emissioni dovrebbero essere ridotte di almeno il 6% all’anno. Attualmente, le emissioni sono ridotte di appena mezzo punto percentuale all’anno.

L’impatto ambientale ”fantasma”

Uno dei problemi principali della politica climatica perseguita è il modo in cui si continua a nascondere gran parte dell’impatto sul clima nelle statistiche ufficiali, ad esempio, escludendo le emissioni basate sul “consumo” (che include i voli verso altri paesi o l’impatto ambientale delle importazioni delle merci). Ciò è paradossale perché implica che all’interno del calcolo verrà considerato l’impatto di un operaio che si reca regolarmente a lavoro prendendo i mezzi pubblici, ma non quello di un uomo d’affari in volo da Stoccolma a Los Angeles. E questo avviene poiché, stando alle faziose statistiche del governo svedese, due terzi delle emissioni basate sul consumo si verificano in paesi diversi dalla Svezia e pertanto non sono coperti dalla politica climatica né sono riportati nelle statistiche. Ciò contribuisce a un’immagine fortemente distorta della politica climatica svedese.

Tra gli obiettivi intermedi stabiliti per una società a emissioni zero c’è quello secondo cui un paese avrebbe dovuto ridurre le proprie emissioni del 30% dal 1990 al 2020. Le statistiche dell’Agenzia svedese per la protezione ambientale, in effetti, mostrano che le emissioni nazionali sarebbero diminuite del 25 % (dato del 2016). In realtà, mentre le emissioni di anidride carbonica all’interno del paese sono diminuite di ben 18 milioni di tonnellate, in realtà le emissioni non sono state ridotte, ma solo trasferite all’estero, come riportato sopra. Le aziende svedesi altamente inquinanti possono così ottenere così un doppio vantaggio: usufruire di un costo inferiore della manodopera e al contempo evitare che il loro impatto ambientale venga tracciato dalle autorità nazionali – si pensi a IKEA e H&M e alle loro fabbriche inquinanti in Turchia.
Così facendo la Svezia può, sulla carta, raggiungere i suoi obiettivi climatici molto velocemente e, al tempo stesso, mantenere il suo status di Paese modello
mentre in verità “trasferisce” le sue emissioni al resto del mondo.
Su Dagens Nyheter, il principale quotidiano del Paese, è stato recentemente pubblicato
un articolo che rivela che l’impatto dei biocarburanti è assente dalle statistiche sulle emissioni.

L’anidride carbonica biogenica, dunque, è un altro tipo di emissione che non compare nelle statistiche delle emissioni. L’articolo mostra che un sesto di tutte le emissioni di anidride carbonica svedesi non sono mai state segnalate alle Nazioni Unite. Grazie all’esclusione di queste emissioni, la Svezia può fregiarsi con orgoglio di aver quasi raggiunto l’obiettivo di diminuzione delle emissioni del 30% in trent’anni.

Quando gli alberi vengono bruciati, il livello di anidride carbonica emesso ha un impatto sull’atmosfera analogo a quello della combustione di petrolio (ad es. attraverso gli scarichi di un auto). Nonostante ciò, la combustione degli alberi e l’anidride carbonica biogenica che ne deriva sono classificate come neutrali, poiché si prevede che venga “riassorbita” entro 60-120 anni. Escludere queste emissioni, che invece dovrebbero essere calcolate, serve solo a vendere alla popolazione un senso di sicurezza. Se queste vengono sommate alle emissioni fossili, ci si accorge che le emissioni della Svezia non sono in realtà diminuite dal 1990. Un ulteriore tipo di emissione escluso dalle statistiche è quello dell’industria della cellulosa: questo è il tipo di emissione dei biocarburanti, ad esempio l’incenerimento del prodotto residuo delle acque nere, che genera tra i 15 e i 18 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica all’anno. Tutte le emissioni di anidride carbonica biogenica sommate sono all’incirca le stesse delle emissioni fossili, il che significa che un totale di quasi 100 milioni di tonnellate di gas serra vengono emesse ogni anno entro i confini della Svezia. Se poi si fa una somma di tutte le emissioni dell’intera economia svedese (il che significa che si aggiungono le emissioni basate sul consumo) il risultato diventa oltre 150 milioni di tonnellate (rispetto alle 51 tonnellate dichiarate), ciò significa che la Svezia reale inquina tre volte di più di quella immaginaria dipinta da qualche ambientalista entusiasta che se va bene è ingenuo, se va male è un cinico riformista.

C’è poi un ulteriore fattore da considerare. La principale fonte energetica della Svezia è attualmente la bioenergia (corrispondente al 38% del consumo totale) e la maggior parte di essa proviene dalla combustione di prodotti forestali. L’Agenzia svedese per la protezione dell’ambiente (Naturvårdsverket) e il centro ufficiale di statistica (SCB) hanno pubblicato una statistica nel 2020 la quale, in conformità con l’articolo di DN, mostra come le emissioni di gas serra biogenici del paese continuino a aumentare a tal punto da aver “superato” tutte le riduzioni delle emissioni fossili attuate dal 1990. L’anidride carbonica proveniente dalle fonti fossili è semplicemente stata sostituita da quella proveniente dalla bioenergia.

Dietro la retorica del paese-modello, l’impossibilità di un capitalismo verde

In sintesi, gli obiettivi climatici della Svezia non sono realistici, data l’azione, o meglio l’inazione e il laissez-faire, del governo. A fronte di ciò, gli elettori così come l’opinione pubblica nazionale e globale sono indotti a credere che la politica climatica svedese sia una storia di successo. Mentre i politici chiudono gli occhi, agli elettori viene detto di credere a un futuro che non diventerà mai realtà. La realtà, infatti, è che per far fronte alla crisi climatica, abbiamo bisogno di un’economia scollegata dai combustibili fossili. I paesi ricchi come la Svezia potrebbero permettersi di abolire l’uso di questi e raggiungere l’obiettivo di zero emissioni in tempi relativamente brevi. Ma è necessaria la volontà politica di infrangere gli interessi economici che alimentano e sostengono l’attuale capitalismo fossile. Oggi c’è una grande pressione da parte dei giovani e da diverse organizzazioni affinché i politici del paese prendano posizione imponendo misure più rigorose per la riduzione delle emissioni. Molti di loro ritengono che la politica nazionale possa e debba dichiarare uno stato di emergenza climatica, mostrando così i denti e diventando il paese modello che dice di essere.

È quasi impossibile sopravvalutare la minaccia climatica ma, nonostante ciò, vengono attuate solo misure insufficienti e incapaci, nel lungo periodo, di raggiungere gli obiettivi climatici prefissati. Molti svedesi sono indignati dal silenzio del governo relativo alle emissioni che continuano a essere spostate fuori dal paese così che l’immagine della Svezia possa continuare a brillare di false speranze.

La verità è che i politici in questione (di tutti i partiti in parlamento, incluso il “Partito di Sinistra”, Vänsterpartiet) sono costretti a difendere gli interessi dei capitalisti, dal momento che non vogliono schierarsi nettamente dalla parte della classe lavoratrice. Pertanto, al fine di garantire che la politica non si limiti a misure simboliche e prenda sul serio l’emergenza climatica, dobbiamo liberare le nostre vite e le nostre società dagli interessi privati delle aziende capitaliste. Non solo la Svezia non è quel paese modello che crede di essere, ma essa non potrà mai diventare un modello di politica climatica perché in generale il capitalismo, sia che agisca su scala nazionale come è stato fatto su questo fronte sino ad ora, sia su scala internazionale come suggerito da Hassler, non sarà mai in grado di salvare il mondo da un’apocalisse climatica, ma si limiterà sempre solo a scaricare le conseguenze di questa sulla classe lavoratrice, sulle masse di oppressi e sfruttati del globo. Pertanto, i lavoratori svedesi, autoctoni e migranti, così come i giovani e gli studenti devono, assieme ai lavoratori dei paesi succubi della delocalizzazione svedese e ai lavoratori degli altri paesi occidentali responsabili delle emissioni, cessare di riporre le loro speranze nella politica borghese nazionale.

Proponiamo invece che si riformulino le rivendicazioni sul tema ambientale prendendo atto dell’inconcludenza di piani d’azione riformisti e filo-istituzionali.

Parole d’ordine da lanciare nei momenti di lotta, nazionali e internazionali, al fine di denunciare ogni contraddizione del capitalismo anche in ambito climatico, affinché diventi chiaro a tutti che è impossibile risolvere la crisi climatica senza superare il capitalismo stesso, che ne è il vero artefice.

Matteo Iammarrone, Guglielmina