venerdì 15 gennaio 2021

La prevalenza del Ridicolo.

La prevalenza del ridicolo nella nostra società, che si esalta in tempi tragici, è allegoricamente rappresentato dall’apparizione della personalità distruttiva secondo Benjamin che risorge dalle rovine fiammeggiante di sdegno e rancore accanto alle due mutoline con bavaglio e gli occhi bassi come alunne ciuchine, a conferma che l’istituto delle dimissioni è di pertinenza delle quote rosa, dopo la Iden o la Guidi, in virtù del ruolo subalterno  delle donne come gregarie che recano umili e volonterose la borraccia d’acqua ai campioni.

 

ilsimplicissimus Anna Lombroso 

Che  pure la maglia rosa ha rivelato anche ai più recalcitranti la sua vena macchiettistica, a cominciare dalla evidente incomprensione, denunciata dai toni burbanzosi dell’inguaribile spacconcello, di avere avviato una lotta destinata alla sconfitta contro l’inamovibilità dell’avversario, attribuibile non certo alle sue qualità di leader ma all’abilità di approfittare di una crisi che mette in ombra l’emergenza che l’ha fatta deflagrare  e che deve essere pompata nella sua drammaticità per  mantenere lo status quo.

Senza nemmeno entrare nel politico di uno stato di eccezionalità che autorizza alla sospensione del dibattito democratico, sia pure condotto da figure irrilevanti, che ha spazzato via con disonore qualsiasi forma di critica alla gestione dell’incidente della storia prevedibile ma trattano come un incontrastabile fenomeno naturale,  che vieta “moralmente” il ricorso al voto e invece impone obbedienza ai comandi sovrani di una autorità esterna, c’è sempre comunque da interrogarsi sulla “statura” dei burattinai in questo Paese, sulla loro tracotanza   demoniaca che li fa ergere sulla massa anche se hanno le fattezze e l’eloquio di Gelli, Delle Chiaie, del birba di Rignano, che proprio come er Cecato possono ordire trame, promuovere golpe e cospirazioni, intrighi e crimini, malgrado facce e intelligenze poco plausibili per la funzione di maligni influencer.

Ma, per tornare alla vignetta del boss che, direbbe la Crusca, esce le sue ministre di serie C sperando di sostituirle con altre ministre di serie B, che pur sempre femmine sono, più contigue e conformi a lui, la plastica raffigurazione dell’umiliazione cui vengono sottoposte le donne, perfino quelle arruolate nell’establishment alle cui regole si uniformano entusiasticamente, era stata preceduta da altra   “cerimonia” di rito civile e concretizzatasi in una letterina aperta di filosofa e scrittrice, “femminista militante” secondo curriculum da Wikipedia, Luisa Muraro, indirizzata appunto alle due figuranti di opposizione e di governo, Elena Bonetti e Teresa Bellanova, rappresentanti rispettivamente per le Pari Opportunità e per l’Agricoltura in quota PD  poi, trasmigrate come rondinelle. in Italia Viva, perché si sottraessero, cito, “alle manovre” del capo contro un governo che di “errori e danni ne ha fatti, così come tanti altri governi alle prese con la pandemia”, ma nessuno dei  quali “è così grave come quello che potrebbe fare Matteo Renzi”.

In questi mesi menti attempate ma autorevoli, intelligenze mature ma agili, sembra che siano state possedute dalla paura, contenuto forte della comunicazione delle “autorità”, comprensibilmente eh, visto che l’epidemia ha rivelato da subito i suoi effetti nefasti combinato con la cancellazione del sistema di prevenzione e assistenza, sulla popolazione anziana, sicché hanno limitato l’esercizio della ragion critica per manifestare un sostegno cieco all’Esecutivo e alle sue misure, baluardo e trincee contro il nemico mortale e nel timore che ad esso possa sostituirsene uno peggiore, quello incarnato dal babau neofascista del quale prestigiosi membri del governo sono già stati fedeli alleati.

Ma duole dover dare sempre ragione a Flaiano, quando la tragedia sconfina nel ridicolo, se una intellettuale   attivamente impegnata per la liberazione della donna dai condizionamenti economici, sociali e morali del patriarcato, raccomanda alle due comparse: “Mirate alla libertà femminile e al bene comune”, e anche “siate ministre del governo in carica, che può e deve migliorare la sua politica: date il vostro contributo, lo sapete fare. Vi chiediamo, in sostanza una prova della vostra indipendenza dalla politica che mira al potere”.

Che dire? Santa ingenuità? Beata innocenza, di chi chiede autonomia di pensiero e azione dal “potere”, quello della “bottega”,  da una ministra che sapeva fare così bene il suo mestiere di sindacalista e ministra  da gridare ai quattro venti le sue convinzioni sui danni di un ritorno a quell’Articolo 18, dal magnificare gli effetti progressivi del Jons Act, da ipotizzare un volontariato punitivo nei campi per i percettori di aiuti statali, o da un’altra esponente della coalizione che ha avuto una certa visibilità per aver rivendicato la presenza di quote rosa nelle 45 task force messe in piedi per gestire i brand pandemici fino a  farsene una tutta sua.

Mentre nessuna delle due vestali del focolare progressista si è espressa in merito alla notizia che non ha avuto gran risonanza, che sull’intero territorio nazionale, circa l’80% dell’occupazione femminile creata tra il 2008 e il 2019 è stata cancellata in tre mesi, tra aprile e giugno del 2020, quando è stato possibile cancellare quasi 200.000 posti di lavoro (guardando solo al Sud Italia) in novanta giorni, non per colpa del Covid, ma perché la diffusione di forme contrattuali  precarie e prive di garanzie, non suscettibili di essere protette neanche dal blocco dei licenziamenti messo in atto in questi mesi, è ormai costume generalizzato nel nostro Paese, che colpisce in maniera superiore le donne, come testimoniato anche dal Rapporto SVIMEZ. 

E difatti a dimostrazione della inanità di qualsiasi persona comune, sia pure con un curriculum stimabile e rinomato, rispetto alla strabordante sfrontatezza del ceto di regime, le due, poco prima di essere trascinate via per i capelli, come Wilma degli Antenati, dai posti conferiti loro, hanno risposto piccate a “ una donna di pensiero”  che avrebbe escluso aprioristicamente  “che la scelta condivisa da due donne possa essere liberamente ordinata a null’altro che alla ricerca di un bene comune possibile per il Paese”, reclamando il riconoscimento della  “libertà decisionale e autonomia femminile” delle loro decisioni in modo da “contare” in occasione della distribuzione oculata delle risorse del Recovery.

Si manifesta così la rivendicazione della funzione di marionette dell’intendente in braghe bianche al servizio del disegno totalitario che si realizza con rinnovate forme di  condizionamento e controllo totale su quel che resta delle democrazie in Grecia o da noi.  Alla faccia delle virtù di genere, delle leggiadre specificità, della superiore sensibilità e accortezza nel guardare ai bisogni reali, anche loro hanno diritto a partecipare dell’ “occasione storica per il Paese e le nuove generazioni” costituita dal banchetto di nozze coi fichi secchi dei nostri quattrini.

Ormai senza memoria e senza storia, uomini e donne vengono persuasi della bontà collettiva di sottomettersi in modo da conservare quel poco che si può grattare dal fondo del barile, per dimostrare la superiorità rispetto alla marmaglia ignorante, ribellista, infantile e irresponsabile cui bisogna imporre una guida forte o la repressione.  

E come all’interno delle società e dei Paesi di ripropongono le forme e i modi del colonialismo, lo stesso processo di riverbera e ripete nel contesto di genere quando le “affermate”, le “arrivate” usano l’immeritato status, l’impunità e l’immunità, l’arroganza che ne deriva per contribuire a intimidire ed emarginare quelle che anche tirando il collo non arrivano nemmeno a vedere il cielo sopra il soffitto di cristallo, arrivando a disonorare e manipolare anni di pensiero e rivendicazioni di genere e di classe, elargendo mancette etiche in forma di fondi  a disposizione di una scrematura di gruppi e associazioni in grazia dell’emancipazionismo neoliberista, propalando la lieta novella di confortevoli part time che permettono la desiderabile combinazione di lavoro e di cura, genitorialità assistenza.  

Al gioco delle parti che esalta la propaganda sul contrasto alla cultura patriarcale, alla violenza sessuale, al maschilismo semantico,  partecipano non sorprendentemente  quelle che dalle poltrone di Lagarde, von der Leyen, Harris, Clinton Merkel, dalle direzioni dei giornali, dalle fondazioni bancarie, dai consigli di amministrazione, dalle agenzie pubblicitarie esercitano discriminazione, oppressione, sfruttamento.  

Lo sanno bene quelle che grazie al mito della sorellanza universale sono state vittime della supremazia delle   bianche sulle nere, delle laureate sulle contadine, delle manager sulle operaie.

E lo sanno anche le “eretiche” quelle che si sono permesse e si permettono di non coltivare un altro frutto della prevalenza del ridicolo, quel pregiudizio favorevole di genere che legittima qualsiasi parola, purchè di voce di donna, che celebra arrivismo e sopraffazione autorizzati, ma solo per una èlite autoselezionata secondo i criteri mainstream, al fine di realizzare vocazioni e aggiudicarsi privilegi, alla pari e più dei maschi. Bella soddisfazione. 

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