martedì 12 gennaio 2021

Il giorno che comprai un pezzo di terra

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Con questo articolo di Papaconscio, prosegue il ciclo inaugurato da ” Il popolo dei lemminge proseguito con “Il mio Piano B“, pubblicati su Come Don Chisciotte rispettivamente il 19 dicembre ed il 4 gennaio scorsi.

E’ una breve autobiografia esistenziale carica di suggestioni e di spunti fecondi per chi volesse dare vita al suo “Piano B” per provare a smarcarsi dall’orrore postumano che si profila all’orizzonte.

Ricordo a tutti gli interessati che è stato costituito su Telegram, sulla scia del precedente intervento, il gruppo “Piano B” (t.me/PianoBBB) per conoscersi, scambiarsi informazioni, immaginare prima e realizzare poi quella necessaria “exit strategy” dalla postumanità.

Scritto da Papaconscio per Comedonchisciotte.org

Il giorno che comprai un pezzo di terra non lo dimenticherò mai finché vivo.

Mancava una manciata di settimane alla fine dell’anno, era un mercoledì nuvoloso, aveva piovuto per giorni, il cielo era nero e rosa verso ovest, un cielo che abbagliava gli occhi e nascondeva le insidie.

Quando uscii dallo studio del notaio vedevo davanti a me un tunnel, in fondo al quale una luce mi tirava irresistibilmente. Mi misi automaticamente al volante e mi ritrovai subito dopo in campagna, a quasi 12 km da casa.

La luce del crepuscolo urlava tra le nubi compatte. Percorsi il fondo passo dopo passo, senza fretta, annusando l’erba ancora bagnata che mi frustava i jeans, respirando l’odore della terra che mi faceva dimenticare chi ero: avevo le lacrime agli occhi. Mi misi a rotolare per terra e fare capriole come un bambino; chiamavo le erbe selvatiche col loro nome e cognome e le salutai decantando brevemente le loro virtù e ringraziandole della loro presenza.

Alla fine, ebbro di una gioia sconosciuta, mi sedetti su di una pietra piatta sui bordi di un piccolo solco erosivo, che attraversava il fondo come un torrente di ciottoli e chianche, e piansi tutto il dolore, la sofferenza, le umiliazioni, le fatiche da schiavo, la derisione di amici e parenti, tutti gli ostacoli di cui avevo dovuto fare esperienza prima di giungere a quella sera magica priva di tempo, perfettamente centrato, in uno stato di coscienza mai sperimentato prima.

Lì, seduto su quella chianca pugliese, fui testimone dell’infinito, un punto di indescrivibile potenza che intravedevo tra la fine di un pensiero e l’inizio di quello successivo e che parve crescere fino ad opccupare tutto lo spazio della mia coscienza: rimasi solo io, il pensatore senza il pensato, tutto il resto sparito.

Quando mi svegliai era ormai notte fonda, alle ombre buie faceva da contrasto una esplosione di stelle. Mi sentivo come ubriaco, ma una nuova e sottile sensazione, una elettrizzante carica di gioia mista a distacco informava i miei gesti.

Raggiunsi la mia auto, salutandola con fare cameratesco, guidai fino a casa, con la mente totalmente vuota. Ero proprio cotto: nemmeno con l’LSD ero stato così fuori. Rimasi quasi un’ora in cucina a guardare una televisione spenta, e solo perché avevo sete mi alzai e andai nel cucinino. Nel buio della veranda di anticorodal, col rumore sommesso dei veicoli sulla circonvallazione, mi sentii come la prima volta che avevo fatto l’amore. Avevo sviluppato un nuovo e stimolante gusto per l’esistenza.

Si può neutralizzare il destino? Si può azzerare la somma algebrica delle proprie azioni?
In questo meraviglioso luogo ed in questo bellissimo tempo, con queste mani screpolate, con queste mani di corteccia d’albero mi costruirò una casa, con queste braccia doloranti di casse di acqua minerale e sacchi di olive ricostruirò quel castello, quella cittadella del mio cuore segreto, di quel mio cuore nascosto che mai ha smesso di pompare vita.
E per quelle strade me ne vado, per quei sentieri se ne va il mio crudo cuore, per quelle vie che scelsi nella pace dei pomeriggi confusi della mia adolescenza, e che percorrerò in tutta la loro infinita lunghezza, guardando e guardando, senza fiato, mentre il mio spirito ride e ride.

No, non darò ascolto ad altra voce che non sia quella della mia più intima predilezione, non mi farò più trasportare come foglia al vento del giudizio degli altri, mai più scorderò di essere stato un bambino, non scorderò più che una volta ero saggio e lieto, che non avevo confini, che vivevo la mia leggenda personale.

Pensavo di metter su un’azienda di produzione e prima trasformazione di piante officinali (malva, lavandino, ecc.), avevo fatto domanda di “prestito d’onore”, avevo fatto il corso e mi era stato approvato il progetto, mi restava di ottenere quei 6-7 milioni (c’era la lira) perché dovevo pagarmi l’IVA dei primi investimenti, per cui partii per quella che doveva essere la mia ultima stagione da cameriere in Trentino. Lì conobbi la donna che sarebbe diventata mia moglie, mia conterranea e stagionale come me. Tornato giù, mi accorsi che il tutor che seguiva il mio progetto, avendo già ricevuto il suo premio, mi aveva scaricato nelle mani di un patronato che, a sua volta, una volta avviato il tutto, mi avrebbe lasciato nelle mani di una banca. Rinunciai al progetto e, dopo altre due stagioni in Trentino con la mia compagna, mi sono sposato e ho cominciato a lavorare in una grossa azienda agricola, dapprima come tuttofare e poi come responsabile amministrativo (sono perito agrario esperto in tecnologie innovative in agricoltura con due anni di Scienze Agrarie). Ho imparato un sacco di cose, so smontare e rimontare un trattore, tarare una pompa irroratrice, programmare la manutenzione ordinaria e straordinaria di un parco macchine di 15 mezzi, tirare su un muretto a secco, e tante altre cose. Era un’attività che mi prendeva tutto il tempo, dato che interagivo direttamente con la proprietà e contemporaneamente con gli operai, fornitori, meccanici, patronati, Inps, banche. Mi rimaneva poco tempo da dedicare al fondo e pochi soldi, dato che il mio reddito bastava appena a dare un’esistenza decorosa a mia moglie e mia figlia. Alla fine l’azienda, già da tempo decotta e oggetto di operazioni di finanza e contabilità “creative”, si è riconvertita al fotovoltaico, lasciando me e altri a terra. Ho ripreso a fare il cameriere, ho comprato una motozappa Lombardini 14 cv diesel accensione a strappo ( e ho imparato i segreti per metterla in moto), motosega, carrello rimorchio, decespugliatore, ho piantato alberi (25 olivi, 10 mandorli, 4 fichi, 1 noce) e seminato legumi (piselli, fave, ceci, lenticchie, cicerchie), ho imparato a coltivare il grano (e lo raccolgo spiga per spiga, porto a casa le spighe e le schiaccio con un mattone sul pavimento del garage, poi le pulisco usando il vento in più cicli. Ora che, grazie alla falsa pandemia, non faccio più il cameriere, posso dedicarmi a tempo pieno alla coltivazione del fondo, grazie anche alla pensione della mia vecchia madre che vive con noi. Che dire, sono circondato da donne che mi adorano, e la mia vita è piena fino all’orlo.
Sono convinto che oggi la pratica dell’agricoltura sia ossessivamente orientata al mercato, invece di essere orientata alla conservazione del suolo e dell’ecosistema. Mentre si tiene conto delle materie prime impiegate per la produzione – sementi, combustibili, materiali, attrezzature, ecc. – nessuna attenzione – nè tanto meno cifra in bilancio – è rivolta a quanto è variata la qualità del terreno, dell’aria, dell’acqua, insomma dell’agroecosistema nel suo complesso. Dire che le condizioni del terreno e dell’aria  siano beni difficilmente quantificabili, sempre ammesso che si possa considerarli beni, è inutile se pensiamo che la scienza dell’economia, quando conviene, è in grado di quantificare entità ben più difficilmente identificabili e addirittura definibili.
Mi considero un miscuglio tra un prepper, un capofamiglia tantrico, un guerriero tolteco, un povero derelitto.
Quando ho aperto il sito Suryanamaskara su Altervista il mio obiettivo era di divulgare informazioni sullo yoga: avevo scoperto la pratica del Saluto al Sole (Surya Namaskar) e il suo effetto su di me era stato dirompente, a tutti i livelli, tanto che per alcuni anni ho praticato yoga regolarmente sotto la supervisione di un sannyasin. Più avanti ho approfondito la conoscenza del sanscrito e di una minima parte della sterminata letteratura vedica e nello stesso tempo mi sono immerso nella lettura di Castaneda. Quattro anni fa ho avuto un’esperienza con i funghi psilocibinici che ha avuto su di me un impatto devastante. Sono proprio morto e risorto. Non è stata una esperienza, è stata l’Esperienza. È stato come 10 anni di meditazione full immersion in 5 ore. Credo che questo abbia cambiato in meglio la mia vita: ho scoperto il valore del silenzio, dell’ascolto dell’altro (principalmente dei miei familiari, ma non solo), della devozione nel fare le cose, del senso di gratitudine per la vita.
Mia figlia ha tredici anni, fa la terza media ed è in “DAD”. È una ragazzina intelligente, riflessiva, e apprende velocemente.
Sta deperendo a vista d’occhio, non fisicamente, ma psicologicamente. Ha spesso lo sguardo perso se non è allo smartphone, risponde appena e sta perdendo la capacità di studiare.
Studia senza prospettiva. Sta arrivando a lasciarsi andare, sta a casa per ore, senza compagnia.
Meno male che non è sola, c’è mia moglie con lei e, quando sono a casa, ci sono io che le parlo, le spiego, cerco di consolarla, la porto in giro con me in macchina e parliamo, le insegno a suonare la chitarra e a riconoscere le piante selvatiche.
Posso accettare questa assurda situazione, sono abbastanza resiliente e capace di trasmettere fiducia e positività, ma come padre non posso accettare il male che viene fatto a mia figlia. Siamo cavie di un gigantesco esperimento di ingegneria sociale preparato da tempo, siamo in pieno 9/11 su scala mondiale, dobbiamo letteralmente allontanarci il più possibile dalle assurde torri della società occidentale che stanno implodendo.
Io non permetterò che mia figlia si spenga nell’età formativa, nel tempo delle grandi amicizie e dei grandi ideali eroici.
Sono disposto a uccidere per impedirlo.
Mi dispiace per quelle persone che sono allineate, terrorizzate, igienizzate, mascherate… zombificate.
Per paura di morire hanno rinunciato a vivere. La morte li troverà già morti dentro.
Quando la morte mi chiamerà, mi troverà vivo.
Ultime considerazioni:
1. La lotta sarà globale, quindi ci saranno molti alleati, molto più aggressivi ed esperti di noi.
2. Contrariamente all’opinione popolare, l’élite globalista è debole e stupida. Sono come coccodrilli o squali, mostri del passato, molto pericolosi quando la lotta segue le loro regole ma non intelligenti e assolutamente incapaci di fare qualcosa al di fuori della loro zona di comfort.
3. Queste persone hanno un carattere così terribile che persino i loro stessi servi le odiano, e questo in situazione di crisi è rilevante.

Papaconscio

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