domenica 22 novembre 2020

’ndrangheta e clientele: la pandemia calabrese.


MACERIE – GLI OSPEDALI AL COLLASSO E L’IPOCRISIA SU TALLINI E SANTELLI. VIAGGIO TRA CHI LOTTA E RESISTE.

infosannio.com (di Antonello Caporale – Il Fatto Quotidiano)

 “Se posso, con il brivido di questo paradosso e la pena che queste parole mi fanno, io dico: sia benedetto il Covid. Tra le disgrazie della pandemia almeno una cosa buona: sta illuminando da qualche giorno la Calabria, quel che resta di noi. Dalla finestra della mia casa vedo, nell’ordine: la frana di Maierato, il paese inghiottito anni fa da una montagna collassata, due tetti bucati e le mura sbrecciate di un’abitazione senza inquilino, e poi tanta erba selvatica”. In Vito Teti resiste, insieme all’amore per l’antropologia di cui è scienziato riconosciuto, la parola che più piace, in questi tempi cupi, a Giuseppe Conte: la resilienza. Teti – se fosse possibile una classifica – sarebbe al primo posto dei resilienti, coloro che resistono malgrado tutto, che non disperano di farcela malgrado la realtà sia disperante. Si ostina a vivere, a lavorare, a insegnare da San Nicola da Crissa, nel vibonese, lungo l’istmo che restringe la Calabria fino a farne il nodo che lega il Tirreno allo Ionio.

E sul mare d’Oriente risalendo verso Crotone, oggi supina sotto una tempesta di pioggia e vento, spuntano i semi dell’ecosistema criminale: le pale eoliche. Risalendo il golfo di Squillace, tra Isola di Capo Rizzuto e le alture dove vi è l’abitato di Girifalco, l’energia verde, green, pulita qui si trasforma in uno sfiato nero e puzzolente. È l’odore di ‘ndrangheta. Ogni palo una inchiesta o solo un sospetto. Ma la criminalità che in Calabria pervade ogni angolo della società si trasforma – nelle parole di chi la denuncia – spesso nel rito comodo del limite invalicabile, del capro espiatorio, dell’altro che inibisce, ferma, sotterra, ostruisce. Invece esiste per fortuna chi combatte. Il capo dell’armata rivoluzionaria è un prete bresciano di 72 anni: don Giacomo Panizza. Ha messo le tende decenni fa a Lamezia Terme, il botteghino quotidiano della grande criminalità, e lì ha le sue truppe: disabili, drogati, giovani e adulti dalla vita difficile. Una comunità di forze vive che hanno patito l’emarginazione. Si chiama Progetto Sud: “Ci siamo presi un edificio confiscato e l’abbiamo fatto vivere. La comunità è un’azienda, ho duecento dipendenti e centinaia sono quelli che da noi trovano speranza e anche l’educazione permanente alla rivoluzione. Io dico: i tuoi bisogni sono diritti. Sei disabile? Dunque hai diritto a chiedere alla Asl la carrozzella, non al deputato o al suo spicciafaccende. Sei disoccupato? Hai diritto al lavoro, e io ti istruisco nella battaglia campale con le istituzioni. Esercitare i diritti, scartare l’elemosina, abolire le richieste di favore, conoscere e adempiere ai doveri. Li abituo a tenere alta la testa, guardare in faccia, negli occhi, quelli là. Perché la ‘ndrangheta capisce chi sei da come la guardi, se stai dritto o curvo”. La missione di don Panizza è di costruire una rete di resistenza prima che di assistenza: “Non credo alla piramide gerarchica. I miei ragazzi sono divisi in tanti piccoli gruppi affinché il controllo divenga orizzontale e istantaneo. Una mela marcia è più facile scovarla in questo modo”.

Il marcio, cioè il sistema opaco delle relazioni, la clientela inossidabile, la collusione e la riverenza, sono le stimmate della politica. Non esistono i partiti ma le persone: ciascuna ha un proprio simbolo. E l’ultimo arrestato, il sempreverde Mimmo Tallini, era notoriamente impresentabile, ed infatti è stato il più votato al Consiglio regionale. Sergio Abramo, il sindaco di Catanzaro, si è stupito dell’arresto: “Gli sono vicino come amico ma distante per i suoi comportamenti”. È stata la figlia di Tallini, Rita, a replicargli: “Abramo si sente distante dai comportamenti di papà? Ma si vedevano ogni giorno, insieme sempre da mattina a sera…”.Il vizio endemico dell’ipocrisia, l’offesa quotidiana alla verità. Come il polverone che ha coperto di cenere Nicola Morra, il parlamentare dei cinquestelle che ha detto, seppure con parole sgraziate, una verità: la malattia di Jole Santelli, la defunta governatrice, correva di bocca in bocca. E si sapeva che con ogni probabilità la malattia non le avrebbe permesso di portare a termine l’ufficio a cui si era candidata. Una moltitudine di prefiche ad accusare lo “svergognato”.

La Regione Calabria inghiottita da debiti che tra un po’ raggiungeranno i due miliardi di euro, oggi è guidata da un “facente funzione”: il pirotecnico Spirlì. “Sa che i miei primari, circa cento, erano tutti facenti funzione? Nessun vincitore di concorso, ma nominati in deroga e provvisoriamente dal direttore generale dell’Asl che era la mano estesa del presidente della Regione. Io revocai a tutti la nomina”. Così parla Massimo Scura, commissario straordinario alla Sanità voluto nel 2015 dal governo Renzi. “Nel 2018 mi ha cacciato la ministra pentastellata Giulia Grillo senza un perché. Io non avevo demeritato”. Scura, carriera tutta nel Pd prima come manager di una asl livornese e poi pisana, non aveva però ripianato i conti, che anzi erano lievitati di una cinquantina di milioni di euro. “Le perdite di esercizio si infittivano mese dopo mese senza possibilità di tenergli testa, però io ho l’orgoglio di aver aperto la cardiochirurgia a Reggio Calabria, rinforzato l’emodinamica a Cosenza e Castrovillari, dotato di stroke unit Catanzaro, aperte le terapie neonatali”. E poi? “E poi fatto la più grande rivoluzione: assunto mille tra infermieri e medici fregandomene dei rilievi e delle revoche del presidente della Giunta Mario Oliviero. E ho anche ridotto l’enorme falange degli amministrativi, non sostituendoli più quando andavano in pensione”. Scura conclude temerario: “Non ho capito perché mi hanno cacciato, tornerei di corsa”.L’emergenza nell’emergenza, la pandemia raddoppia e trova in Calabria un battaglione di politici esausti, volti incartapecoriti che dovranno affrontare nella prossima primavera nuove elezioni. Nessuna idea, nessun progetto. “In Calabria solo il presente conta”, dice don Panizza.

Nel nero, nel buio perso di una crisi insieme civile, sanitaria ed economica, poche luci all’orizzonte. A Reggio Calabria una lista dell’orgoglio e della lotta, formata da giovani, ha ottenuto alle recenti comunali il 7 per cento. “Sembra poco ma è tanto. Chiediamo diritti, rifiutiamo poltrone, abbiamo detto no ad entrare nella giunta di Falcomatà. Acqua pubblica, beni comuni, diritti universali. Questa è la nostra strada e incrociamo le dita”, dice Saverio Pazzano, il leader di questi avanguardisti della legalità.

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