lunedì 23 novembre 2020

Libro. Dopo il Covid, non ci resterà che tornare a Marx.

La fine del quarantennio liberista. La grande crisi di sistema, iniziata ancor prima dell'epidemia. E l'esigenza di una nuova forma di pianificazione economica. Nel saggio dell'economista "eretico" Emiliano Brancaccio.

Dopo i quaranta anni della lotta di classe dall'alto verso il basso cominciata negli anni '80, una riscossa vincente contro le conquiste del mondo del lavoro avvenute dal Dopoguerra, il coronavirus rende plastica, evidente, la seconda fase: una lotta tutta interna al capitale che avvicina il sistema alla "catastrofe", e non è detto che sia una cattiva notizia.



 

"Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione" di Emiliano Brancaccio (Meltemi) e a cura del giornalista Giacomo Russo Spena è un saggio illuminante scritto da un economista cosiddetto "eretico" e che fa già i conti con la crisi delle crisi che sta vivendo il sistema capitalistico, quella del covid. Non solo con quella però, perché Brancaccio ci arriva punto dopo punto, riprendendo le proprie analisi in riferimento a quella del 2008. Premessa: Brancaccio è uno studioso marxista, da sempre critico verso la moneta unica ma con una propria coerenza che non l'ha mai fatto sconfinare né flirtare con il sovranismo (il più puro dei puri economisti no-euro, Alberto Bagnai, è passato dal contestare da sinistra il Pd ad essere eletto senatore della Lega). Una coerenza e anche una capacità di analisi che gli è stata riconosciuta da illustri colleghi di estrazione neoliberale o comunque moderata, e infatti il saggio ospita i suoi dialoghi con Romano Prodi, Mario Monti, Olivier Blanchard e Lorenzo Bini Smaghi.



E Monti a un certo punto si trova concorde con Brancaccio: "E' difficile immaginare una sintesi keynesiana senza il pungolo della minaccia socialista. Il sistema capitalistico ha dato il peggio di sé da quando è caduto il muro di Berlino".

Sì perché ancor prima dell'uragano covid l'austerità neoliberista stava cominciando a perdere colpi, perlomeno nel dibattito tra economisti; troppi e dannosi gli effetti politici e sistemici dell'assenza di cura sociale, nella convinzione - questa sì, ideologica - che il mercato potesse sempre e comunque garantire a tutti un piccolo posto al sole.

Secondo Brancaccio, la deregolamentazione dei mercati erode il tessuto sociale. E soprattutto, come ricorda Russo Spena nella sua introduzione, "mette in crisi le istituzioni liberaldemocratiche e lentamente crea un contesto favorevole per la diffusione di una cultura politica retrograda, spesso ispirata da propositi di riabilitazione delle peggiori ideologie xenofobe, autoritarie, al limite fasciste". 

E adesso? Cosa cambia con il covid?

Qui Brancaccio fa notare che "il capitale non solo tende a crescere rispetto al reddito, come sostiene Piketty, ma tende anche, e soprattutto, a centralizzarsi in sempre meno mani. Come nell’allegoria di Bruegel, i grandi mangiano i piccoli (...)  Nasce così una lotta, tutta interna alla classe capitalista, tra aggressione dei grandi e resistenza dei piccoli".

La crescita del capitale in rapporto al reddito e la centralizzazione del suo controllo "sono tendenze che, in quanto tali, annunciano una progressiva concentrazione di potere, economico e di conseguenza politico. Come gli stessi Blanchard e Piketty pur di sfuggita rilevano, una tale dinamica del capitale non sconvolge soltanto l’assetto economico ma può avere enormi ricadute sul quadro politico e istituzionale, e più in generale sul sistema dei diritti".

La medicina keynesiana messa in atto in questi mesi di emergenza e fatta di sussidi a pioggia altro non è che una "reazione piccolo-borghese", secondo Brancaccio E quindi, mentre cresce la potenza del capitale centralizzato, "monta al contempo la fragilità del suo monopolio politico. Più vicina è la catastrofe, più vicina è l’occasione di una svolta".

L'unica risposta possibile, la svolta, riflette infine Brancaccio, è quella collettiva della pianificazione: "Tutta la creatività del collettivo, tutta la forza fisica e intellettuale della militanza devono riunirsi intorno a questo concetto straordinariamente fecondo. E tutte le iniziative devono quindi essere riconcepite nella cornice logica del piano". Il piano, "una bandiera per l'egemonia". Con i ceti medi impoveriti le classi si uniformano, e anche questa è una buona notizia secondo l'economista.

Ma appunto, secondo l'autore serve una risposta radicale, non una proposta per salvare il capitalismo. Fin qui l'analisi, punto di partenza per il dopo. "Un’intelligenza collettiva rivoluzionaria è tutta da costruire", si chiude così il saggio di Brancaccio.

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