Mi ero sbagliata nei post dedicati loro, quando sono emersi dai fondali.
ilsimplicissimus2.com Anna Lombroso
Più che alle adunate dei rave party il movimentismo delle sardine li
fa assomigliare di più al popolo degli accendini ai concerti di Laura
Pausini, che anche Woodstock o l’Isola di Wight dei raduni hippie
risulterebbero troppo trasgressivi, almeno quanto mettere un fiore nei
nostri cannoni, per festosi militanti della piacevolezza, se, come è
stato ampiamente riportato, anche Greta ne esce come una sovversiva a
leggere le dichiarazioni del leader Santori, in vena di costituire un
suo partito come un qualsiasi Calenda, e che, richiesto in quel di
Taranto di esprimersi su quale proposta abbia in serbo sulla tutela
dell’ambiente, risponde: «Non spetta a noi fare proposte in tema ambientale. Siamo troppo giovani e non siamo un movimento politico».
Chissà se il giovanotto, molto vezzeggiato soprattutto da pensosi
intellettuali annoverabili nella cerchia dei venerabili maestri che
respirano così una boccata di giovinezza né più né meno di Humbert
Humbert o succhiano sangue fresco come il conte transilvano per
riproporsi indigesti quanto i peperoni sulle pagine dei quotidiani, è
solo un gran marpione che omette di ricordare che di ambiente si è
occupato professionalmente, eccome, (il Simplicissimus di ha informati
qui https://ilsimplicissimus2.com/2019/12/01/le-sardine-dei-petrolieri-dal-rottamatore-al-trivellatore/)
schierandosi entusiasticamente in veste di giovane Attila in favore
dello Sblocca Italia renziano che aveva dato via libera alle prospezioni
ed estrazioni al largo delle nostre coste, comprese appunto quelle
tarantine.
Oppure se si tratta solo dell’incarnazione vivente e dinamica di
intere generazioni devastate dalle rovinose riforme della scuola di
marca progressista, che hanno fatto rimpiangere Gonella e pure la
Moratti, e promosse da quella stessa cerchia di cui sopra che accusa i
rottami della “sinistra neo qualunquista” preferendo i qualunquisti
rottamatori, appiattita sul modello formativo e pedagogico statunitense,
tanto il loro immaginario è stato occupato e posseduto da miti e icone
che hanno coperto il più bieco e sanguinario imperialismo moderno e
modernista, in un pantheon che mette insieme la New York di Gekko e
quella redentiva di Woody Allen, come se Trump (e Salvini da noi, e
Orban e Erdogan e Macron) fosse un incidente sorprendente e inaspettato
della storia.
Sono gli stessi che guardano con invidiosa ammirazione ai college
come format didattico e brevetto educativo, dove la cultura umanistica è
secondaria rispetto al baseball, dove si creano o perpetuano gerarchie
sociali aiutate dal fervido bullismo delle corporazioni che ammaestrano a
quelle che comandano nel totalitarismo economico e finanziario, dove
accanite lettrici di Silvia Plath e Germaine Greer sognano solo di far
carriera come Hillary Clinton, sostituendo ineffabili kapò maschi con
più feroci kapò femmine.
Il fatto è che quella colonizzazione ha intriso dei suoi veleni tutto
il contesto sociale, culturale, formativo, persuadendo soggetti
vulnerabili della bontà del precariato, dell’iniquo volontariato,
dell’avvicendamento scuola-lavoro, dei part time infami e ricattatori
quanto il cottimo, come forme progressive di indipendenza e libertà. E
difatti nelle interviste i leader delle sardine rivendicano di dedicarsi
a una non meglio identificata e desiderabile combinazione di impegno
professionale e palestra, di prestazioni in associazioni umanitarie e
“creatività”, proprio come gli eroi di Ecce Bombo che girano, vedono gente, si muovono, conoscono, fanno cose, e che hanno capito che li si nota di più se vengono piuttosto che se non vengono per niente.
Proprio in queste ore l’Ocse ci fa sapere dopo averci informati che
saremmo gli ultimi negli investimenti statali nella pubblica istruzione e
penultimi per numero di laureati, seguiti soltanto dal Messico, che
siamo anche riusciti a applicare quel modello anglosassone in forma
addirittura peggiorativa, dando forma a una indistinta scuola
“professionale” dove la cultura, l’insieme di discipline in cui si
declina il sapere del nostro tempo, è ridotta unicamente ad
apprendistato di “competenze” imposte agli studenti per accedere al
lavoro, un tirocinio alla servitù nel quale la specializzazione
serve a produrre in serie addetti abilitati unicamente a premere quel
tasto, magari quello di un Pc che sgancia una bomba a n. chilometri di
distanza.
E infatti l’indagine dell’Ocse denuncia che gli studenti italiani di
15 anni hanno competenze scientifiche inferiori a quelle che avevano i
loro coetanei dieci anni fa. In matematica mantengono un livello medio
sufficiente, in linea con quello dei coetanei dei paesi
industrializzati, ma per quanto riguarda le scienze il risultato medio è
“significativamente inferiore” alla media Ocse con un punteggio che
non si differenzia da quello di Svizzera, Lettonia, Ungheria, Lituania,
Islanda e Israele. Mentre le province cinesi di Beijing, Shanghai,
Jiangsu, Zhejiang e Singapore ottengono un punteggio medio superiore a
quello di tutti i paesi che hanno partecipato alla rilevazione.
Uno studente su 4 “non sa la matematica” nemmeno a livello di base, e
uno su 4 è insufficiente in scienze. Ma l’aspetto più preoccupante
consiste nel fatto che è la lettura, intesa come apprendimento e
interpretazione dei dati, rappresenta un ostacolo. La maggior parte del
campione raggiunge appena il livello minimo di competenza in lettura
analoga alla percentuale media internazionale con il rischio di
incontrare difficoltà a confrontarsi con materiale a loro non familiare o
di una certa lunghezza e complessità. Come recitano i titoli dei
giornali che riportano i risultati della ricerca “Gli studenti italiani
non capiscono quello che leggono” e almeno uno su 4 non riescono ad
identificare e capire l’oggetto e il tema centrale di un testo di media
lunghezza.
E così si capisce come mai emergano e si affermino le ambizioni di
che è stato addestrato a non capire, a restare sul pelo dell’acqua
rivendicando una superficialità impolitica e dunque incivile, come mai
riscuotano tanto consenso nei palazzi e nelle piazze quelli che
propagandano l’attivismo dell’esserci e quello dell’avere, piuttosto che
la forza più impetuosa della critica e del pensiero. Li hanno voluti e
costruiti così, “pratici”, “divertenti”, “creativi”, in una parola degli
utenti della servitù.
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