Lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica.
bin-italia.org Andrea Boggio
A metà 2014 Cambridge Analytica (azienda che accumula dati personali
per creare profili psicologici utili alla conduzione di campagne di
comunicazione e che opera secondo un sistema di microtargeting (1)
comportamentale) commissionò a Aleksander Kogan, docente di psicologia
all’università di Cambridge, la raccolta di alcune informazioni relative
a profili di utenti Facebook.
Kogan creò l’app “This is your digital
life”, essenzialmente un quiz sulla personalità, riuscendo a
somministrarlo a una vasta platea di utenti della piattaforma anche
attraverso l’utilizzo di Mechanical Turk di Amazon, uno dei servizi più
controversi della gig economy (2) il cui motto recita “Intelligenza
Umana tramite API – Accesso a una forza lavoro globale, su richiesta e
24×7”.
Kogan riuscì a far eseguire il quiz a poco meno di 300.000 utenti
Facebook (dietro pagamento di pochi centesimi a ciascuno di essi) e a
raccogliere informazioni non solamente su di loro, ma anche sui loro
amici, ampliando il perimetro di collezione dei dati ad un numero di
utenti sconosciuto ma oscillante tra 50 e 90 milioni.
Kogan, in realtà,
prima di sviluppare la propria app cercò invano di convincere Michal
Kosinski, uno dei principali studiosi dell’intersezione tra psicometria
(3) e big data, a fargli utilizzare i dati raccolti tramite analoghe app
che quest’ultimo aveva realizzato per scopi di ricerca.
Kosinski aveva
dimostrato nel 2013 la possibilità di predire tratti e attributi
personali da una varietà di informazioni che generiamo quotidianamente
durante l’utilizzo delle piattaforme di social network o di altri
servizi Web: ad esempio, analizzando i Like su Facebook è possibile
dedurre con buona accuratezza diverse informazioni personali (4).
Kosinski si è sempre detto preoccupato per l’elevato rischio di perdita
della privacy connaturato a pratiche sconsiderate di raccolta e analisi
dei dati.
Normalmente Facebook ha sempre consentito agli sviluppatori
che realizzano app all’interno del proprio ecosistema questo genere di
raccolta dei dati, ma solamente per scopi di ricerca accademica e non
per utilizzo commerciale. Facebook accusa Kogan di aver venduto i dati
ricavati tramite la propria app a Cambridge Analytica, violando le
regole e le policy aziendali.
Facebook ha anche sospeso improvvisamente
Cambridge Analytica dalla propria piattaforma: a quanto pare sapeva del
problema da un paio d’anni ma non era stato realizzato alcun intervento
risolutivo, come sostenuto dall’immancabile whistleblower (ce n’è sempre
uno in ogni scandalo che si rispetti) Christopher Wylie, ex dipendente
di Cambridge Analytica.
Big Data
Google è, insieme a Facebook, Apple, Amazon e Microsoft una delle
cosiddette stack (cataste): la definizione di “catasta” appartiene a
Bruce Sterling (5) e indica la strategia di integrazione verticale con
cui ognuna delle suddette aziende cerca di controllare la rete, nonché
le piattaforme, le applicazioni, i dispositivi fisici e i contenuti
presenti sulla rete stessa.
Google e le altre stack sono in prima fila
nella progettazione e realizzazione dei processi di Digital
Transformation (6) in cui tutti, volenti o nolenti, siamo totalmente
immersi.
Google è ampiamente considerato il pioniere dell’accumulazione
originaria e spregiudicata dei big data.
I big data non sono una
tecnologia specifica o un effetto ineluttabile del progresso
scientifico: non è nemmeno qualcosa generato tramite un processo
autonomo. I big data hanno origine nel sociale e sono la componente
fondamentale di una nuova logica denominata capitalismo della
sorveglianza (7), che mira a prevedere e modificare il comportamento
umano come mezzo per produrre reddito e controllo del mercato.
I dati
delle transazioni economiche mediate dal computer rappresentano una
dimensione significativa dei big data.
Vi sono anche altre fonti, ad
esempio i dati provenienti da miliardi di sensori incorporati in una
gamma ampliata di oggetti, corpi e luoghi (Internet of Things).
I nuovi
investimenti di Google in machine learning, droni, dispositivi
indossabili, auto senza conducente, nano particelle che pattugliano il
corpo alla ricerca di segni di malattia e dispositivi intelligenti per
la casa sono tutti componenti essenziali di questa rete crescente di
sensori intelligenti e iperconnessi.
Un’altra fonte di dati deriva da
banche dati aziendali e governative, comprese quelle associate a banche,
intermediari dei pagamenti, agenzie di rating del credito, compagnie
aeree, registri fiscali e censuari, operazioni sanitarie, carte di
credito, assicurazioni, farmaceutiche e telefoniche e altro ancora.
Una
quarta fonte di big data scaturisce dai dispositivi di sorveglianza
pubblici e privati: smartphone, telecamere, satelliti, Street View,
Google Earth, etc.
In generale, i bisogni individuali e sociali di espressione, relazione,
influenza, informazione, apprendimento, empowerment e connessione hanno
spinto ogni sorta di nuove funzionalità tecniche in pochi anni: ricerche
di Google, musica di iPod, pagine di Facebook, video di YouTube, foto e
storie su Instagram, blog, reti, comunità di amici, estranei e colleghi
tutti protesi oltre i vecchi confini istituzionali e geografici e
impegnati senza sosta in una continua raccolta e condivisione di
informazioni.
Queste soggettività esprimono forme di autodeterminazione
all’interno di una sfera individuale in rete, caratterizzata da forme
non mercantili di produzione sociale (8).
Tali attività non mercantili
sono una delle fonti principali dei big data e la base della
quotidianità.
I big data sono costituiti dall’acquisizione di miriadi di
frammenti di informazione prodotta nel semplice svolgimento quotidiano
delle vite di miliardi di persone.
Niente è troppo banale o effimero per
questa raccolta: like di Facebook, ricerche di Google, e-mail, testi,
foto, canzoni e video, posizioni geografiche, schemi di comunicazione,
reti, acquisti, movimenti, ogni click, parola errata, pagina visitata e
altro ancora.
Tali dati sono acquisiti, astratti, aggregati, analizzati,
confezionati, venduti, ulteriormente analizzati e venduti nuovamente:
Google è diventata la più grande azienda di big data perché è il sito
più visitato e dispone della maggior quantità di dati.
Il modello di
business di Google si è sempre fondato sull’acquisizione dei dati
dell’utente come materia prima per analisi proprietarie e produzione di
algoritmi che potevano vendere e indirizzare la pubblicità attraverso un
modello di asta. Mentre le entrate di Google crescevano rapidamente,
motivavano una raccolta di dati sempre più completa: la nuova scienza
delle analisi dei big data è stata guidata in gran parte dallo
spettacolare successo di Google.
Data Broker
La raccolta dei dati personali digitali avviene su scala globale:
Facebook detiene i profili digitali di circa 2 miliardi di utenti della
propria piattaforma, oltre a quelli di Whatsapp e Instagram.
Google ha i
profili di oltre 2 miliardi di utenti di dispositivi Android, oltre a
quelli di Gmail e Youtube.
Apple possiede i profili di circa 1 miliardo
di proprietari di dispositivi con a bordo iOS.
I profili digitali di
Facebook usano circa 52.000 attributi per identificare l’identità dei
propri utenti e categorizzarli: tutto ciò è possibile tramite l’analisi
di post, Like, commenti, condivisioni, amici, foto, video, check-in di
localizzazione geografica e così via.
I broker di dati sono al centro
dell’industria dei dati personali e si occupano di aggregare, combinare e
scambiare commercialmente enormi quantità di informazioni, collezionate
da sorgenti disparate sia online sia offline.
Di solito i dati
provengono da fonti diverse dagli individui e spesso, soprattutto nel
cyberspazio, sono collezionati senza consenso.
I broker analizzano i
dati, fanno deduzioni e applicano inferenze, ordinano i profili in
categorie e forniscono migliaia di attributi individuali ai propri
clienti.
I profili che i broker hanno sugli individui includono
informazioni relative a educazione, lavoro, figli, religione, etnia,
schieramento politico, attività, interessi, utilizzo dei media, ma anche
comportamenti online quali, ad esempio, le ricerche effettuate sul web.
I broker collezionano dati relativi agli acquisti, all’utilizzo delle
carte di credito, al reddito e ai prestiti, alle posizioni bancarie e
assicurative, alla proprietà di veicoli e immobili e a una varietà di
altre tipologie di dati.
I broker calcolano punteggi in grado di predire
il possibile comportamento futuro di un individuo, con attenzione, ad
esempio, alla stabilità economica o ai piani di fare un figlio o
cambiare lavoro.
Metadati
Un metadato è un’informazione che descrive un insieme di dati (9)
utile all’elaborazione di una macchina.
I dati sono il contenuto, i
metadati sono il contesto: possono rivelare molto più dei dati stessi,
soprattutto se aggregati e proiettati su vasta scala.
Come ha detto il
General Counsel dell’NSA Stewart Baker, “i metadati ti dicono tutto
sulla vita di una persona. Se hai abbastanza metadati, non hai proprio
bisogno del contenuto dell’informazione”; il Generale Michael Hayden, ex
direttore dell’NSA e della CIA, si è spinto oltre, asserendo che
“uccidiamo le persone sulla base dei metadati (10)”.
I tratti
caratteristici della personalità possono essere dedotti dalle
informazioni relative ai siti web acceduti, così come dall’analisi dei
flussi delle chiamate telefoniche e dai dati relativi all’utilizzo delle
applicazioni sugli smartphone:
i metadati concorrono in maniera
determinante alla sorveglianza e al monitoraggio dei comportamenti
digitali su Internet.
Il Peccato Originale di Internet
In un famoso articolo pubblicato su Atlantic nel 2014 (11), Ethan
Zuckerman, direttore del «Center for Civic Media» del MIT, fece pubblica
ammenda per quello che chiamò il “Peccato Originale di Internet”.
Tale
peccato consiste nell’aver contribuito attivamente (Zuckerman è
l’ideatore del pop up) (12) al fatto che l’unico modello di business
sostenibile di Internet fosse, ed è ancora oggi, la pubblicità.
Per
poter usare gratis un servizio Internet (che implica costi notevoli per
poter essere erogato) cediamo dati personali e forniamo informazioni di
vario tipo.
Siamo spesso ben disposti a cedere dati in cambio di
servizi, anche se spesso non si tratta di un processo bilanciato e
chiaro.
Ne consegue che è materialmente impossibile immaginare un
modello di pubblicità on-line che non comporti una forma di sorveglianza
degli utenti: più ci apriamo alla sorveglianza, più gli strumenti e i
contenuti che vogliamo rimarranno gratuiti.
Il capitalismo della sorveglianza è profondamente innestato nella nostra
società sempre più computerizzata e il suo principale obiettivo,
semplicemente, è monetizzare i dati acquisiti tramite la sorveglianza.
Questo genere di capitalismo (13) porta lo scenario finora analizzato a
un livello superiore avvalendosi della manipolazione psicologica nella
forma di pubblicità personalizzate per persuaderci a comprare qualcosa o
a fare qualcosa (nel caso di Cambridge Analytica, votare per un
candidato).
I servizi web che usiamo quotidianamente sono gratuiti
perché in cambio cediamo i nostri dati e da questo modello di business
ne consegue una proporzionalità diretta tra quantità di dati raccolti e
qualità dei servizi erogati: tanto maggiore la pervasività della
sorveglianza, tanto migliore l’efficacia dei servizi offerti e della
pubblicità associata.
In questo scenario lo smartphone è probabilmente
il dispositivo tecnologico di sorveglianza più intimo mai realizzato:
traccia costantemente la nostra posizione geografica, sa dove viviamo,
dove lavoriamo e dove spendiamo il nostro tempo, è la prima e ultima
cosa che controlliamo ogni giorno, sa quando ci svegliamo e quando
andiamo a dormire.
Tutti ne abbiamo almeno uno, quindi sa anche con chi
dormiamo.
Conclusioni
Il carattere pervasivo e immersivo delle tecnologie dell’informazione
induce nelle persone – utenti dei servizi e delle piattaforme digitali
– comportamenti e interazioni incessanti: anche il mero attraversamento
del cyberspazio genera impronte, segni del proprio passaggio, tracce
preziose, in una parola dati.
La produzione di dati è produzione di
valore: Kaspersky, azienda russa di cybersecurity, ha aperto a Londra
nel 2017 il Data Dollar Store, un negozio in cui pagare beni e servizi
usando esclusivamente come moneta i propri dati personali (14).
Spingendosi oltre, c’è chi si propone di redistribuire quota parte del
valore economico dei big data ai produttori degli stessi: Datacoup (15) è
una piattaforma (operativa solo negli Stati Uniti, in Europa vige il
GDPR a tutela della privacy dei propri cittadini) (16) che raccoglie i
dati dei propri utenti costruendo un profilo e assegnando un prezzo:
l’obiettivo è liberare il valore dei propri dati vendendoli all’interno
di un marketplace.
ll divenire-software del mondo fisico e l’evoluzione
delle tecnologie di comunicazione digitale promuovono forme di nomadismo
che trovano il proprio climax nell’esaltazione acritica di concetti
quali mobilità assoluta e innovazione, narrata come intrinsecamente
positiva: everybody is everywhere anytime.
Ogni istante di tempo che
viviamo all’interno di questo flusso genera dati, catturati e
valorizzati: le dinamiche del Digital Labour (17) finora descritte
prosperano sullo sfruttamento dell’intersezione vita/lavoro (formale e
informale) e sulle forme di captazione ed estrazione di valore dai big
data.
In generale, attualmente il conflitto tra Labour e Capitale sembra
vedere quest’ultimo come vincitore, anche se il campo di battaglia
pertiene in misura crescente al dominio degli intangible asset
(proprietà intellettuale, brand, etc).
Oggi il Capitale esprime il
proprio valore e vive all’interno dei neuroni e del silicio e questa
evoluzione modifica la relazione tra Labour e Capitale: i big data sono
Labour e non Capitale.
Note
1 https://en.wikipedia.org/wiki/Microtargeting
2 https://www.mturk.com
3 https://en.wikipedia.org/wiki/Psychometrics
4 http://www.pnas.org/content/110/15/5802
5 https://it.wikipedia.org/wiki/Bruce_Sterling
6 https://it.wikipedia.org/wiki/Digital_transformation
7 https://en.wikipedia.org/wiki/Surveillance_capitalism
8 https://it.wikipedia.org/wiki/Produzione_paritaria
9 https://en.wikipedia.org/wiki/Metadata
10 http://www.nybooks.com/daily/2014/05/10/we-kill-people-based-metadata/
11 https://www.theatlantic.com/technology/archive/2014/08/advertising-is-the-internets-original-sin/376041/
12 https://en.wikipedia.org/wiki/Pop-up_ad
13 https://www.hbs.edu/faculty/Pages/item.aspx?num=49122
14 https://www.kaspersky.com/blog/data-dollar-store/19660/
15 http://datacoup.com/
16 https://www.garanteprivacy.it/web/guest/regolamentoue
17 https://en.wikipedia.org/wiki/Digital_labor
Rete per l'Autorganizzazione Popolare - http://campagnano-rap.blogspot.it
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lunedì 2 dicembre 2019
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