Lo “scudo penale” che pretende “l’Acquirente”, come condizione per
restare, è una vera e propria “licenza di uccidere”.
Anzi il
prolungamento di quel lasciapassare per la morte (degli altri,
naturalmente, dei bambini di Taranto, degli abitanti del quartiere
Tamburi, degli operai stessi dell’acciaieria) che già il primo governo Renzi alla fine del 2014
aveva rilasciato al Commissario straordinario che avrebbe dovuto
realizzare il Piano ambientale di risanamento (sulla carta da
completarsi all’80% entro il luglio del 2015).
E che successivamente il
ministro Calenda avrebbe esteso anche ai futuri compratori dilatandone
nel tempo scadenze e immunità penale.
In quello sciagurato decreto si
stabiliva che le condotte poste in essere in attuazione del Piano
ambientale “non possono dar luogo a responsabilità penale o
amministrativa” in quanto “costituiscono adempimento delle migliori
regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e
dell’incolumità pubblica e di sicurezza del lavoro” (sic!).
Che lo costituissero davvero era posto come articolo di fede, non essendo previsto (o comunque sanzionato in caso di inadempienza) nessun controllo periodico sull’”adempimento”, né sul rispetto delle “migliori regole” (non meglio precisate) né sui tempi dei lavori di realizzazione del Piano ambientale (il quale al momento del decreto non era neppur pienamente definito), tant’è vero che questi si sono dilatati a dismisura: la “completa copertura” dei parchi primari, fonte di quantità spaventose di polveri mortali, che avrebbe dovuto, secondo l’originaria Autorizzazione integrata ambientale (AIA) del 2012 essere completata tassativamente entro il 27 ottobre del 2015 (termine prorogato dal decreto renziano a fine 2016), risultava ancora, nella primavera di quest’anno (2019!), realizzata per meno della metà.
E
quanto alla diossina, secondo la denuncia di Angelo Bonelli
coordinatore nazionale dei Verdi, sarebbe ritornata assai vicina ai
valori devastanti registrati nel 2009, quando scoppiò la bomba dei 1124
capi di bestiame della masseria Carmine condannati a essere abbattuti
perché altamente inquinati (“In un anno il valore della diossina a
Taranto è aumentato del 916%”, passando “da 0,77 picogrammi del 2017 a
7,06 picogrammi del 2018, molto vicino agli 8 picogrammi del 2009”).
In realtà, al di là delle sue formule bizantine, quel decreto non
regolava affatto l’adempimento del Piano ambientale per rendere
compatibile quello stabilimento con la salute dei cittadini e degli
operai ma era diretto a garantire una piena immunità (e impunità) ai
gestori della fabbrica dei veleni per consentir loro di prolungarne le
attività produttive (comprese quelle nocive) al riparo degli interventi
sanzionatori della magistratura.
Tant’è vero che ben tre procedimenti
per emissioni inquinanti del siderurgico, aperti dalla procura di
Taranto, sono stati archiviati perché coperti appunto dallo “scudo
penale”, il che aveva convinto il gip Benedetto Ruberto a ricorrere alla Corte costituzionale
contestando la costituzionalità dei decreti che permettevano la
prosecuzione dell’attività degli impianti nonostante il sequestro del
2012, e sottolineando in particolare “lo spostamento costante della data
di ultimazione dei lavori” e “l’immunità penale” concessa ai vertici
aziendali.
In sostanza dietro al ricatto-pretesa da parte di Mittal dell’”immunità penale” sta una concezione delle relazioni giuridiche e sociali da Ançien régime (solo il Sovrano Assoluto era legibus solutus), incompatibile con ogni ordinamento moderno, anche il più compiacente e subalterno alla logica del profitto.
In sostanza dietro al ricatto-pretesa da parte di Mittal dell’”immunità penale” sta una concezione delle relazioni giuridiche e sociali da Ançien régime (solo il Sovrano Assoluto era legibus solutus), incompatibile con ogni ordinamento moderno, anche il più compiacente e subalterno alla logica del profitto.
Una sorta di ritorno a un medioevo
giuridico o allo spirito della Constitutio criminalis carolina
(dal nome di Carlo V che la emanò) per la quale, come è stato ricordato,
le pene “venivano qualificate non sulla base del bene danneggiato, ma
in relazione alla posizione dell’accusato” e al suo status.
Qualunque
governo “moderno” (nel senso di “successivo al 1789”) che pensasse di
adottare una simile aberrazione giuridica, si coprirebbe di ridicolo,
compreso il governo Conte, che pure è uomo di legge.
E che perderebbe
definitivamente la faccia (anzi forse l’ha già persa) nel momento in cui
per trattenere i baroni franco-indiani si provasse a riproporgli l’esca appetitosa dell’impunità ad personam.
Date queste premesse, ci si sarebbe
potuto aspettare che quantomeno una buona parte dell’eletta schiera di
chi partecipa quotidianamente alla conversazione pubblica, nell’ambito
politico, culturale, sociale, si sollevasse come un sol uomo di fronte
alla provocazione predatoria dei padroni dell’acciaio, invece no. Anzi.
Repubblica – che pure aveva fatto a suo tempo la prima pagina su Greta Thunberg e il suo “Come osate voi!” che sapete parlare solo di soldi mentre il pianeta muore -, Repubblica appunto, il giorno dopo la rottura di Mittal, alludendo alla colpa di chi aveva sospeso lo “scudo penale” intitolava SULLA PELLE DELL’ILVA.
Repubblica – che pure aveva fatto a suo tempo la prima pagina su Greta Thunberg e il suo “Come osate voi!” che sapete parlare solo di soldi mentre il pianeta muore -, Repubblica appunto, il giorno dopo la rottura di Mittal, alludendo alla colpa di chi aveva sospeso lo “scudo penale” intitolava SULLA PELLE DELL’ILVA.
E il suo editorialista di punta, Massimo Giannini, per fugare ogni
dubbio sulle posizioni del giornale, definiva quello di Taranto “uno dei
migliori stabilimenti siderurgici d’Europa” (sic!).
Il Pd, nelle cui file hanno militato alcuni dei maggiori responsabili della gestione irresponsabile della vicenda Ilva a danno della tutela dei cittadini, da Matteo Renzi appunto a Carlo Calenda (ho usato l’imperfetto perché entrambi hanno seceduto), si è stracciato le vesti sul latte versato della siderurgia italiana, minacciando strappi nella maggioranza se l’ineffabile scudo non fosse ripristinato.
Per non dire
della destra, che per bocca dell’altro Matteo terribile, Salvini,
minaccia addirittura l’ostruzionismo parlamentare (contro cosa non si
sa) se non si ritornasse al regime d’immunità per quei nuovi padroni
così vessati poverini dai giallorosa, e fa un po’ ridere questo
sovranismo dei nostri stivali, che grida “prima gli italiani” quando si
tratta di metter sotto i migranti e poi si sbraccia per metter prima i
franco-indiani e i loro miliardi sacrificando al loro profitto la vita
dei propri concittadini.
Ma poi ci sono i sindacati: quelli che non solo al “lavoro” ma alla vita dei “lavoratori” e delle loro famiglie dovrebbero essere particolarmente attenti e che invece – al momento della stipula del contratto con Ancelor Mittal – per primi si dichiararono d’accordo con la clausola immunitaria, e ancora oggi dichiarano (Luigi Sbarra, della Segreteria nazionale CISL) – “inconcepibile ed incomprensibile la decisione del Governo di smantellare lo scudo legale indispensabile per concludere il percorso di ambientalizzazione” (sic).
Ma poi ci sono i sindacati: quelli che non solo al “lavoro” ma alla vita dei “lavoratori” e delle loro famiglie dovrebbero essere particolarmente attenti e che invece – al momento della stipula del contratto con Ancelor Mittal – per primi si dichiararono d’accordo con la clausola immunitaria, e ancora oggi dichiarano (Luigi Sbarra, della Segreteria nazionale CISL) – “inconcepibile ed incomprensibile la decisione del Governo di smantellare lo scudo legale indispensabile per concludere il percorso di ambientalizzazione” (sic).
Io stesso
ho sentito, con le mie orecchie, come si dice, un rappresentante Uilm di
Taranto dichiarare ai microfoni di Radio1, che si è fatto di tutto per
impedire a Mittal di lavorare!
Per fortuna non è quello il punto di
vista degli operai: come riporta lo stesso “Sole 24Ore”,
secondo un sondaggio realizzato dall’Unione dei sindacati di base (Usb)
con un questionario distribuito ai circa 8.200 lavoratori presenti alle
assemblee in fabbrica di fine ottobre, il 96,6% di chi ha risposto
(1.211 su 1.254) ritiene che non sia giusto «garantire ad ArcelorMittal o
ad altri lo scudo o l’immunità penale fino alla scadenza delle attività
Aia». E 1.223 operai (97,6%), pensano che “l’attuale ciclo produttivo
integrale a carbone non è compatibile con il rispetto della salute umana
e dell’ambiente”.
Ora poi si apprende – dalla “trattativa”
(si fa per dire) avviata col Governo – che come condizione per tenere
aperto lo stabilimento non basta in pegno la pelle dei cittadini di
Taranto esposti al rischio, si vuole anche la testa di 5.000 operai
considerati in “esubero”.
Ed emerge l’ipotesi, assai plausibile, non
solo e non tanto che il management avesse “sbagliato” clamorosamente il
Piano industriale, ma che tutta l’operazione Ilva, fin dall’inizio,
fosse stata concepita dal gruppo franco-indiano al puro scopo di
eliminare dal mercato un possibile concorrente, fingendo di acquistarlo
per suicidarlo.
Come che sia, è abbastanza evidente che padroni così, a
Taranto e in Italia, è meglio perderli che trovarli.
Meglio, molto meglio, nazionalizzare il complesso siderurgico, per risanarlo se possibile, de-carbonizzandolo, e poi solo a quel punto restituirlo al mercato.
In realtà la soluzione della nazionalizzazione
avrebbe dovuto essere la via maestra fin dal 2012, quando con
provvedimento coraggioso la magistratura tarantina aveva sequestrato
parte di quella fabbrica della morte sulla base di dati scientifici
inconfutabili relativi al suo impatto devastante sulla salute: nessun
privato, infatti, operando con regole di mercato, potrebbe
realisticamente realizzare un’opera insieme così necessaria ma così
impegnativa.
Soluzione che l’allora governo Monti, dominato dal suo
dogma ultraliberista, non aveva neppur considerato, e che quelli
successivi, cresciuti sotto la stessa egemonia ideologica, hanno
regolarmente scartato.
Oppure si sarebbe potuto immaginare un grande
progetto di riqualificazione eco-compatibile dell’intera area
industriale, sul modello Ruhr in Germania, magari tentando di
coinvolgere l’Unione europea nell’impresa.
Opzioni che ancor ora
dovrebbero essere in bella vista sul tavolo governativo, se chi siede ad
esso avesse un minimo di responsabilità, di coraggio e di fantasia.
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