Questo non ha a che fare con l’odio.
L’odio è un sentimento alle volte deprecabile, alle volte necessario:
odiare gli oppressori, odiare i nemici sociali, odiare i fascisti, per
esempio, ha portato alle più importanti lotte di libertà e emancipazione
della storia umana.
Una commissione di dieci o venti
parlamentari che vigila o discetta in base a parametri ovviamente
arbitrari sull’odio politico (come è scritto nel testo della proposta
legislativa, tra le forme di odio da sanzionare) rischia di non avere un
senso, né la capacità di svolgere un ruolo.
Di questa ambiguità ovvia,
la destra se ne sta avvantaggiando facendo una battaglia surreale sulla
libertà di espressione. Salvini, Meloni, la libertà di espressione –
anche solo nella stessa frase, va da sé quanto sia assurdo.
Però è chiaro che un confine si è
superato: il tabù della Resistenza è andato, i partigiani rappresentano
in pubblico gli ideali di una minoranza, il 25 aprile una festa di
parte, il tabù dell’Olocausto è molto fragile, se Liliana Segre può
essere pubblicamente oltraggiata come una che di mestiere fa la
deportata o cose simili.
Il problema dunque è duplice.
Da una parte c’è stata una
colpevolissima trascuratezza da parte delle forze democratiche nella
tutela di una pedagogia antifascista. Al suo posto si è pensato di usare
una pedagogia patriottica che mettesse insieme risorgimento,
resistenza, ragazzi di Salò, made in Italy, carabinieri, preti, foibe,
marò. Da Ciampi a Violante, da Galli Della Loggia a Renzi, la retorica
nazionalista democratica è stata un abbaglio storiografico, ma
soprattutto l’oceano d’acqua portato al mulino della destra cripto, neo,
post, e orto fascista. È difficile replicare, come provano a fare
ancora gli storici, i politologi, i sociologi, i liberali e i
democratici in buona e cattiva fede, che c’è un altro patriottismo,
scusate, a Giorgia Meloni, che urla «Non me lo toglierete di essere
italiana». È difficile replicare come fa Renzi che l’inno di Mameli
ballato al Papeete, è un insulto al nostro inno. È difficile andare in
visita i giorni pari a Marzabotto, i dispari a Basovizza.
Dall’altra parte c’è una questione
linguistica e giuridica insieme. Non si hanno strumenti giuridici per
sanzionare i comportamenti e gli atti linguistici fascisti. Se Salvini
dice zingaraccia, se in una trasmissione tv si può liberamente sostenere
una balla razzista come il piano Kalergi, o mettere in una dialettica
paritaria un fascista e un democratico, a nulla valgono leggi Mancino,
Fiano, commissioni Segre. Occorre ragionare da un punto di vista della
linguistica pragmatica sul fascismo e sull’antifascismo, sul razzismo e
l’antirazzismo, sul sessismo e sull’antisessismo. Ci vogliono studi
scientifici di linguistica pragmatica, studi giuridici, che possano
valere come materiale per una legislazione efficace.
E poi chiaramente c’è la dimensione di
una lotta politica, che sia conflittuale. Il campo del conflitto, che
alle volte comprende anche l’odio, alle volte anche la violenza, alle
volte persino la guerra, non può essere lasciato ai fascisti, agli
oppressori, etc… È giusta la lotta del popolo curdo contro Erdoğan, e le
manifestazioni del popolo cileno contro Piñera, o quelle degli studenti
di Hong Kong? Nemmeno ovviamente Aldo Capitini, Danilo Dolci, Gandhi, o
Alexander Langer, predicavano una politica aconflittuale, il pacifismo
non è irenismo, la nonviolenza non è fare i piccoli Pilato, lasciando
inalterati i sorrisi di Salvini che contengono un’aggressività
permanente, ingiustificata e violentissima.
Ci sono delle armi democratiche, come lo
sciopero, le manifestazioni, il boicottaggio, la resistenza, la
militanza, che oggi sono viste nel campo della sinistra come forme di
estremismo; i decreti sulla sicurezza del governo contengono una
quantità inusitata di strumenti per legittimare la violenza di stato e
la repressione del dissenso, che chi si definisce democratico dovrebbe
domani battersi per abrogare immediatamente, altrimenti – con tutto il
luminoso valore di Liliana Segre – non c’è forza della testimonianza che
tenga.
L’articolo è tratto da minima&moralia del 2 novembre 2019
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