Non
manca il “tocco perverso” di Erdogan, che ha posto a questo attacco il
paradisiaco nome di “Fonte di Pace”. Si vede che continua a copiare dai
suoi maestri della Nato, da “Enduring Freedom” in poi…
Almeno
5.000 soldati di Ankara sono schierati al confine mentre sono già
iniziati i bombardamenti aerei, i quali – nella classica strategia
militare – hanno il compito di “sbandare” le milizie curde prima di
lanciare la fanteria e i mezzi corazzati. Al fianco dei turchi sono
schierati anche 18.000 miliziani siriani al soldo di Ankara (per la
maggior parte turcomanni fuggiti dalla provincia di Idlib).
L’obbiettivo
dichiarato da Erdogan è la creazione di una “zona di sicurezza” in cui
rimandare i quasi due milioni di profughi siriani rifugiati in questi
anni in Turchia (e per cui l’Unione Europea paga 6 miliardi di euro
annui perché Ankara li tenga lontani dalle coste europee, in particolare
quelle greche).
Erdogan ha voluto essere chiaro fin dall’inizio, lanciando l’attacco contro Tell Abyad e Ras al-Ayn, per colpire subito dopo anche Kobane,
città simbolo della resistenza curda contro lo Stato Islamico e
autentica “Stalingrado curda” da cui è iniziata la controffensiva
vincente contro l’Isis. Che, bisogna ricordare, era riuscita anche
grazie all’intervento massiccio di truppe russe e degli sciiti di
libanesi di Hezbollah, supportati dall’Iran attraverso i “guardiani
della rivoluzione”.
Poi,
nelle evoluzioni tattiche sul terreno, il supporto diretto ai curdi, in
armi de equipaggiamenti logistici, era arrivato soprattutto dagli Stati
Uniti.
Un
bel caleidoscopio di interessi contrastanti, peraltro assolutamente
“normale” in Medio Oriente, dove ogni tentativo di “leggere” le alleanze
in termini di “campo” (imperialismo/antimperialismo,
filo-democratici/filo-dittatori, ecc) è destinato a essere smentito dai
fatti nel giro di pochi anni o addirittura mesi, come in questo caso.
Lo
stesso “Stato Islamico, non è un segreto, è una filiazione diretta
dell’Arabia Saudita, a lungo tollerata dagli Stati Uniti e nemmeno
troppo segretamente “supportata” anche da Israele (nessun obiettivo
israeliano è mai stato attaccato dall’Isis).
Il
voltafaccia statunitense nei confronti dei curdi è stato
particolarmente vergognoso, al punto da costringere lo stesso Trump – a
fini esclusivamente interni – a tentare di smentire di aver dato il via
libera a Erdogan. “Gli Stati Uniti non appoggiano l’attacco turco in Siria e hanno detto chiaramente alla Turchia che questa operazione è una cattiva idea“. Acqua fresca, nelle orecchie del Sultano…
Del resto, la situazione sarebbe formalmente questa: nessun paese al mondo si dichiara favorevole all’attacco turco.
Se
fosse realmente così, Ankara si sarebbe esposta a una serie di reazioni
e sanzioni a livello ondiale. Ma appare altrettanto chiaro che Erdogan
non si sarebbe mosso senza un ok molto esplicito di Washington e il
silenzio cauteloso del nuovo alleato: la Russia di Putin, che è anche
uno dei due pilastri della Siria di Bashar el Assad (l’altro, ripetiamo,
è l’Iran).
Ma
è per la Nato che la mossa di Erdogan-Trump rischia di diventare un
grosso problema, sia di “tenuta” dell’alleanza se la situazione sul
terreno dovesse portare a un confronto tra truppe turche o contingente
russo; sia di credibilità rispetto agli altri protagonisti in Medio
Oriente.
Nella
successione di tripli giochi e di alleanze variabili dalla sera alla
mattina non stupisce quindi che i curdi del Rojava dichiarino di star
valutando l’opportunità di creare un fronte unito con lo stesso Assad,
che è pur sempre il titolare della “sovranità” internazionalmente
riconosciuta sul territorio che Erdogan vorrebbe occupare.
Mentre scriviamo (le 21.30 di mercoledì 9/10) le truppe turche di terra sono appena entrate in territorio curdo-siriano.
Non
è dunque il momento degli stupidi distinguo: siamo completamente al
fianco del popolo curdo del Rojava, perché un popolo in lotta da un
secolo per la propria autodeterminazione, diviso tra quattro Stati
(spesso in guerra tra loro), ha ragione a prescindere ed è l’unico a poter decidere quale sia la strada migliore (o anche solo obbligata) per condurre la propria lotta.
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