Le preoccupazioni per la rivolta turca contro la Nato, per l'assenza di visione strategica di Trump e per l'Europa che sta a guardare. "I curdi meriterebbero assoluto sostegno".
“La
triste verità è che la Turchia si è rivoltata contro gli altri Paesi
dell’alleanza di cui, formalmente, continua a far parte: la Nato. E
questa rottura di fatto può avere conseguenze nefaste oltre il fronte
siriano”.
A sostenerlo in un colloquio con HuffPost è il generale Franco Angioni, già comandante delle truppe terrestri Nato nel Sud Europa e del contingente italiano in Libano negli anni più duri della guerra civile che dilaniò il Paese dei Cedri.
Generale, l’esercito turco prepara l’offensiva su Kobane, mentre forze dell’esercito siriano, con il consenso russo, si schierano a difesa dei curdi. Cosa significa, sul piano strategico militare questa presenza siriana?
Il rischio è che l’operazione militare scatenata da Erdogan contro le milizie curde si trasformi in una guerra tra Stati, con tutto ciò che ne comporterebbe sul piano militare e anche geopolitico. D’altra parte, era inevitabile che Bashar al-Assad entrasse in azione. Il presidente siriano cerca la migliore via di scampo per la sua situazione che resta precaria. E quindi si rifugia nell’abbraccio russo, trovando in Putin un sostenitore completamente disponibile, e da ciò ne scaturisce una ‘terribile tragedia’ nell’ambito della Nato. Perché la Turchia, che resta almeno formalmente parte dell’Alleanza Atlantica, si è, anch’essa, rifugiata nell’abbraccio del capo del Cremlino. Di conseguenza la Russia, che dopo secoli di aspettative e grazie alla benevolenza di questi Stati mediorientali, è fermamente collocata nel Mediterraneo, coronando il sogno degli zar e dei loro successori.
Quali scenari militari sono possibili?
Sono scenari caotici. Perché il rischio di uno scontro diretto tra l’esercito turco e quello siriano è concreto, e se ciò dovesse accadere c’è la possibilità che a fianco di Damasco possano schierarsi i Pasdaran iraniani e gli Hezbollah libanesi, grazie ai quali, oltre che al sostegno russo, Assad ha potuto riconquistare gran parte del territorio siriano. E tutto questo perché il più importante Stato dell’Alleanza Atlantica, gli Stati Uniti, ha abbandonato la scena dopo aver agevolato l’inizio del caos. Se si indulge all’ottimismo si può dire che il futuro è molto nebuloso, ma il mio timore, purtroppo, è che questo futuro sia molto pericoloso. Può piacere o no, ma oggi a dare le ‘carte’ in Siria è Mosca non Washington.
A sostenerlo in un colloquio con HuffPost è il generale Franco Angioni, già comandante delle truppe terrestri Nato nel Sud Europa e del contingente italiano in Libano negli anni più duri della guerra civile che dilaniò il Paese dei Cedri.
Generale, l’esercito turco prepara l’offensiva su Kobane, mentre forze dell’esercito siriano, con il consenso russo, si schierano a difesa dei curdi. Cosa significa, sul piano strategico militare questa presenza siriana?
Il rischio è che l’operazione militare scatenata da Erdogan contro le milizie curde si trasformi in una guerra tra Stati, con tutto ciò che ne comporterebbe sul piano militare e anche geopolitico. D’altra parte, era inevitabile che Bashar al-Assad entrasse in azione. Il presidente siriano cerca la migliore via di scampo per la sua situazione che resta precaria. E quindi si rifugia nell’abbraccio russo, trovando in Putin un sostenitore completamente disponibile, e da ciò ne scaturisce una ‘terribile tragedia’ nell’ambito della Nato. Perché la Turchia, che resta almeno formalmente parte dell’Alleanza Atlantica, si è, anch’essa, rifugiata nell’abbraccio del capo del Cremlino. Di conseguenza la Russia, che dopo secoli di aspettative e grazie alla benevolenza di questi Stati mediorientali, è fermamente collocata nel Mediterraneo, coronando il sogno degli zar e dei loro successori.
Quali scenari militari sono possibili?
Sono scenari caotici. Perché il rischio di uno scontro diretto tra l’esercito turco e quello siriano è concreto, e se ciò dovesse accadere c’è la possibilità che a fianco di Damasco possano schierarsi i Pasdaran iraniani e gli Hezbollah libanesi, grazie ai quali, oltre che al sostegno russo, Assad ha potuto riconquistare gran parte del territorio siriano. E tutto questo perché il più importante Stato dell’Alleanza Atlantica, gli Stati Uniti, ha abbandonato la scena dopo aver agevolato l’inizio del caos. Se si indulge all’ottimismo si può dire che il futuro è molto nebuloso, ma il mio timore, purtroppo, è che questo futuro sia molto pericoloso. Può piacere o no, ma oggi a dare le ‘carte’ in Siria è Mosca non Washington.
C’è il rischio che
le dinamiche militari in atto nel nord della Siria possano avere un
effetto domino sull’interno scenario mediorientale?
Questo
effetto domino c’è già di fatto. Ed è per questo che i Paesi della
Nato, con l’esclusione degli Usa, sono molto preoccupati. Qui siamo di
fronte a un paradosso che dà conto di un caos insostenibile: i Paesi
della Nato, o una parte di essi, potrebbero ordinare lo stop al sostegno
militare a un loro alleato, la Turchia. Ma l’amara verità è che la
Turchia si è rivoltata contro gli altri componenti della Nato.
Come si spiega l’atteggiamento americano?
L’unica
spiegazione è dubitare sulle facoltà ‘strategiche’, per usare un
eufemismo, del presidente del Paese più importante della Nato.
E l’Europa?
L’Europa, come al solito, sta a guardare, tentata di volgere lo sguardo altrove. E lo dico con grande amarezza.
Lei ha conosciuto sul campo eserciti e milizie mediorientali, cosa pensa dei curdi siriani e della loro resistenza?
Vede,
il sentimento che provo di fronte agli eventi di questi giorni, è di
profonda amarezza nei riguardi di un popolo che meriterebbe rispetto e
assoluto sostegno.
Sul piano militare che valutazione dà delle forze curde del Rojava?
Hanno
dimostrato di avere grandi capacità organizzative, una buona catena di
comando, ma certo la sproporzione negli armamenti con quello che è il
secondo esercito della Nato è impari. I curdi siriani hanno combattuto
con determinazione e pagando un prezzo molto elevato a favore dei Pesi
europei nella lotta contro i jihadisti dell’Isis. E anche fosse solo per
questo meriterebbero un grande sostegno e un profondo rispetto.
Dalla
Siria allo Yemen, dall’Iraq alla Palestina: l’unica logica che presiede
alla storia del Medio Oriente è quella della forza?
Siamo
consapevoli, e non da oggi, dell’esistenza della polveriera
mediorientale. Noi europei non ce ne possiamo disinteressare, ne vale
della nostra stessa sicurezza, ma siamo consapevoli che non possiamo
intervenire in maniera diretta. Siamo convinti che la soluzione sia
l’Onu, ma siamo anche consapevoli che questa più che una speranza sia
una illusione. Il dato sconfortante è che al momento, e non si sa per
quanto tempo, la nostra speranza è che ancora una volta gli Stati Uniti
si facciano carico, ovviamente col sostegno dell’Europa, di una sia pur
precaria stabilizzazione del Medio Oriente. Ma con un presidente come
Donald Trump è molto difficile crederci.
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