Sono tornati i giovani in piazza: un corteo, due cortei, mille cortei in tutte le città del mondo nel nome di un pianeta ferito e per troppo tempo ignorato. Più piccoli di quelli che negli anni ’70 animavano le contestazioni, questi ragazzi oggi urlano un bisogno. Vogliono farsi sentire.
 
Massimiliano Tarantino Direttore Fondazione Feltrinelli

C’è un cambiamento che li coinvolge, non solo climatico ma che riguarda il lavoro, un’adeguata educazione, uno spazio sociale dove la dignità incontri l’eguaglianza, un presente alternativo dove potersi riprendere i sogni. Vogliono essere protagonisti. Con i loro sguardi maturi e le richieste piene di energia, ci insegnano soprattutto che faremmo male a sottovalutarli.

Young Protesters Protesting at theNon è nemmeno possibile restare indifferenti a un’altra presa di posizione storica, resa pubblica in questi mesi dall’American Business Roundtable: quasi duecento grandi capitalisti americani, a capo delle più potenti aziende del sistema economico globale, sentono il bisogno di fare una dichiarazione al pianeta. 
"Il modo di fare impresa non è, e non deve essere, predatorio e a esclusivo interesse degli azionisti, ma di tutti: dei lavoratori, dei clienti, dei contesti sociali dove si produce, di un processo di generazione di valore di medio-lungo periodo”.

Entrambe queste posizioni, i giovani delle piazze e i capitalisti “critici” di Wall Street, chiedono sostanzialmente di scardinare l’apatica accondiscendenza sistemica al principio ‘There Is No Alternative’, coniato da Margaret Thatcher e consolidatosi in quello che Martin Wolf sulle colonne del Financial Times definisce ‘capitalismo di rendita’.

“Si tratta di un’economia in cui il mercato e il potere politico permettono a individui e aziende privilegiate di garantirsi una grossa fetta di rendita a spese di tutti gli altri: se viene testa vincono loro, se viene croce perdiamo tutti noi”.
Si può discutere se la presa di posizione dei leader del capitalismo americano sia davvero autentica, forse ipocrita o solo tardiva. Qualcuno può considerare frutto di giovanile intemperanza il movimento Fridays for Future e i suoi gemelli globali.
Ma è certo che stiamo vivendo un passaggio storico: da una parte, ancora maggioritaria, la democrazia liberale manifesta un’urgenza riformista che, per la prima volta dalla caduta del Muro di Berlino, rimette in gioco i termini dei privilegi per rendere collettivi i destini e per sollecitare tutti gli attori sociali a prendere parte alla riscrittura del patto a fondamento del nostro sistema di sviluppo.
Dall’altra, ancora minoritaria ma in rapida rimonta, vi è chi una sua “quarta via” l’ha trovata e bussa alla nostra porta come un’infida sirena. “La verità è che l’idea liberale è diventata obsoleta - ha dichiarato Vladimir Putin - perché è entrata in conflitto con gli interessi della maggioranza della popolazione. È un’idea che non può essere distrutta, ma non si deve pensare abbia il diritto di essere l’idea dominante”.
Infatti, lascia intendere il presidente russo nella sua analisi, c’è sempre la possibilità che sia la democrazia illiberale a dover garantire quella che lui stesso considera la priorità della politica: “una vita stabile, normale, sicura e prevedibile per le persone”.
La nostra Fondazione, a settant’anni da quando Giangiacomo Feltrinelli decise di avviarne i lavori, studia la storia e apre le porte dei propri incontri e discussioni a tutte le suggestioni, le comunità, le pratiche e le forme creative che vogliono contribuire a rendere tutt’altro che “normale” lo scenario futuro.
Siamo convinti che l’impegno di individuare un’alternativa al capitalismo predatorio e alla democrazia illiberale non sia cosa da poco, ma la complessità che ereditiamo da questi anni di trasformazione digitale e di drammatico impoverimento cognitivo non deve farci recedere dall’impresa.
Che non è certo quella di individuare un antidoto ideale, o tanto meno una persona che ci conduca alla fonte delle nostre soluzioni, quanto piuttosto quella di ridare fiducia alle idee, nuova energia alla politica e il senso di un progetto collettivo alle classi dirigenti.
La Stagione Alternativa è il nostro contributo, fatto di donne e uomini, errori e ripensamenti, visioni e scenari: siamo umani, e imprevedibili.