Il femminismo che oggi piace tanto alle donne in carriera è funzionale al capitalismo più becero. Lo sostiene la filosofa americana – autrice con Cinzia Arruzza e Tithi Bhattacharya del libro “Femminismo per il 99%” (Laterza) – che invita tutti gli sfruttati a unirsi.
|
La filosofa Nancy Fraser ne ha fatto un manifesto: vuole un femminismo «del 99 per cento», invoca una Internazionale di prevaricati e sfruttati. “Donne di tutto il mondo unitevi”. Ma non solo fra voi:
«Unitevi agli anti razzisti, a chi lotta per il pianeta, ai
radicali che mettono in discussione il sistema. La crisi non è mai stata
così seria: siamo nelle mani di un capitalismo cannibale. Pur di
accumulare, spolpa fino all’osso le nostre risorse, senza però
rigenerarle».
Il sistema raccoglie, ma non semina. Da quando per lei il femminismo è questione di vita o di morte?
«Negli ultimi dieci anni ho speso libri e parole per avvertire che
il femminismo è stato“corrotto”dal neoliberismo. Dicevo: non date retta
alle varie Sheryl Sandberg (la direttrice di Facebook, ndr). Vi incitano
a far carriera e a “farvi avanti” (“lean-in”, è lo slogan di Sandberg),
ma sulle spalle di altre donne, sottopagate, spesso migranti, alle
quali subappaltate i lavori di cura (e su quel 99 per cento di sfruttate
voi vi appoggiate, “lean-on”). È un “femminismo elitario”,
individualista e funzionale al sistema: l’1 per cento rompe “il soffitto
di cristallo”, le altre rimangono indietro».
«Fino a ieri avevo fatto teoria: a parte il mio impegno con la New
Left negli anni 60 e 70, ho sempre insegnato all’università, a NewYork.
Ora ho deciso di scendere dalla torre d’avorio e di indossare i panni
dell’attivista, perché siamo in una crisi paragonabile a quella degli
anni 30. La vittoria dei vari Trump, Salvini, Bolsonaro mi ha dato la
sveglia: con Occupy Wall Street sembrava che la gente stesse iniziando a
capire quanto sia distruttivo il capitalismo. Ma ora il pericolo è
doppio: da una parte il femminismo delle élite e dall’altra il populismo
reazionario. Ed entrambi si appropriano delle energie ribelli e
fagocitano la spinta al cambiamento. A momento cruciale serve risposta
radicale. Non basta più la teoria. Perciò ho firmato con Cinzia Arruzza e
Tithi Bhattacharya il manifesto “Femminismo per il 99%”».
«C’è un tentativo violento della destra di cancellare il diritto
delle donne di autodeterminare la propria fertilità. Ma il
conservatorismo è l’altra faccia del progressismo liberista: né l’uno né
l’altro mettono in discussione il sistema capitalista. Esempio: la
Facebook di Sandberg offre alle dipendenti il congelamento degli ovuli.
L’idea è:“Dateci i vostri anni migliori, dedicate i 30, 40, 50 a far
carriera; quando sarete meno produttive, fate figli”. Il diritto
all’aborto da solo non garantisce emancipazione e giustizia
riproduttiva: servono equità, welfare. Il tema della riproduzione
biologica è solo un aspetto di quello che chiamo “assalto alla
riproduzione sociale”, che è un assalto a tenaglia. Da una parte, le
istituzioni finanziarie spingono per un disinvestimento nella spesa
social, dall’altra il sistema spinge perché sempre più donne lavorino,
ma mal pagate e insicure. In questo modo, come si foraggiano le attività
necessarie a rigenerare una società? Allevare, accudire, educare,
rifocillarsi; restituire vita, energie e risorse ai lavoratori e a un
pianeta sempre più depredati ed esausti. Il femminismo del 99 per cento
rivendica il pane e le rose».
«Il sistema capitalista ha contraddizioni intrinseche che in tempi
di crisi esplodono. Una è la tendenza al free riding, l’atteggiamento
opportunista: il capitalismo “sfrutta” le attività di riproduzione
sociale, che gli sono indispensabili poiché nessuna produzione, scambio o
profitto è possibile senza che qualcuno svolga il lavoro sociale di far
nascere nuove generazioni, educarle, prendersene cura. Allo stesso
tempo però liquida queste attività come questioni di famiglia, private:
le pretende, ma non vuole assumersene i costi. Si comporta così pure con
la Terra: estrae materiali ed energia ma non spende per rigenerare
risorse e ambiente. O con la politica: spolpa i beni pubblici, genera
complessità ma non sostiene forme di governance adeguate. Oggi il
capitalismo pur di rincorrere profitto e accumulazione, si sta
“cannibalizzando”: la crisi non è sociale, economica o ambientale, ma
generale, dell’ordine sociale».
«L’intreccio tra SiliconValley e Wall Street cambia faccia al
capitalismo, ma non ne allevia affatto le contraddizioni. Altro che
capitalismo “immateriale”: dietro l’impalpabilità degli algoritmi o la
facciata progressista di Cupertino, c’è la brutale estrazione di
materiali e lo sfruttamento del lavoro (il litio del Congo, i turni
massacranti dei cinesi di Foxconn che fanno i telefonini). Le nuove
piattaforme di distribuzione si basano su lavoratori non tutelati e
malpagati (i rider ad esempio). E internet stessa è testimone del free
riding capitalista: la rete nasce pubblica ma è stata sempre più
privatizzata, finché ogni nostro dato oggi è depredato per profitto. Lo
scandalo Cambridge Analytica è solo la punta dell’iceberg di forme di
controllo politico e sociale. Il fatto che il settore hi-tech sia
declinato soprattutto al maschile non è che la ciliegina di questa
indigeribile torta».
Nuovi poteri, vecchie maniere, dice lei. Ma ci sarà pure un’alternativa. Quale? Con chi?
«Io credo nelle ragazze che stanno dando vita a movimenti radicali
di sinistra. Credo nel fare rete. La sinistra europea non ha saputo
opporsi alla “internazionale delle destre” e le donne sono le prime a
risentire della crisi di sistema. Facciano tutte le lotte insieme:
femminista, ecosocialista, anti razzista, anti imperialista, anti
omofoba. Il capitale punta a dividere i fronti: identità, classe, razza,
genere. È dal capitale stesso che dobbiamo emanciparci».
(4 settembre 2019)
Nessun commento:
Posta un commento