domenica 18 agosto 2019

Esercizi di libertà per incattiviti e ottusi Il rapporto tra brutalità e stupidità

Polemos affronta il tema del rapporto tra la brutalità e la stupidità. Tra le facce truci e virtuali e i desideri che ci rendono uomini e liberi. Esercizi di sovversione necessaria.


 

C’è una brutalità che si insinua nei rapporti, nel modo di vedere le cose, nel comprenderne dinamiche, cause, effetti.
Le sfumature sono evaporate da tempo, il senso critico svanito, restano le rozze sentenze, il bianco e nero del pensiero, la straordinaria e cinica assenza di conoscenze che genera la prepotenza dei giudizi.
Per sentito dire, copiaincollati dallo sciocchezzaio di qualche leader, razzisti, ottusi, privi di umanità.
Nel giusto, per forza di cose, perché condivisi da una massa di individui che ha scelto la scorciatoia migliore, quella che taglia la strada di ogni riflessione a vantaggio dello slogan che contiene sempre un dogma.
Brutalità e nel contempo profonda inarrivabile e inguaribile stupidità.
Che agisce nello stesso modo, nel perdersi delle sfumature di conoscenze, nel non capire che cosa avviene e comunque affermare certezze assolute su quello che è ignoto alle prime lineette di pensiero, figuriamoci alla coscienza.

Un mix surreale. Gli imbecilli mettono la maschera più aggressiva e truce per non doversi confrontare dialetticamente, per non avere una idea su niente, per incapacità.
Poi l’arena mediatica è il circo più adatto per le piroette delle mezze seghe alla ricerca costante di una parola d’ordine, di uno slogan infelice, di mostrare picchiettando sui tasti coraggio e cattiveria, cinismo e sicurezze.
Parlo di quello che vediamo riversato quotidianamente nel catino inaccettabile dei social. Robe rimasticate, farlocche, ululate, esaltazioni crudeli di imbecillità.  Insomma i giudizi di massa, sempre approssimativi, sempre inesatti, sempre forcaioli e definitivi. Fino alla prossima parola d’ordine sciocca che rovescia la direzione della furia senza pensiero della moltitudine di persone politicamente passive, quindi in posizione di dipendenza rispetto ai poteri presenti nella società (politico, finanziario, militare) e quindi fortemente influenzabili da essi.
Fin qui niente di nuovo. Basta guardarsi un programma televisivo o passare dieci minuti di Facebook. Quello che invece dovrebbe far riflettere è come queste certezze assolute, anche quando sembrano rivoluzionarie, siano sempre al servizio del potere. In particolare del potere finanziario e delle sue declinazioni naturali: militare, mediatica e politica.

Lasciate perdere la battaglia furibonda degli incattiviti e degli imbecilli e provate a osservare le cause. A individuare i percorsi e, studiare gli effetti. Non serve essere giornalisti o storici per farlo. Basta poco, un po’ di attenzione e spirito critico. Alla fine tutto si riconduce alla stessa visione del mondo in cui l’idea di decoro, di repressione e di disumanità operano in accordo mediatico per evitare qualunque cambiamento, qualunque evoluzione sociale, qualunque idea di giustizia sociale.  Anzi, ogni dettaglio serve per inasprire pene, per creare nuove leggi repressive che alla fine dei giochi servono tutte per militarizzare gli spazi, impedire pensiero libero, difendere il fortino del potere dal potenziale assalto dei poveracci di tutto il mondo, degli sfruttati, dei sottoccupati, di chi sta male, di chi soffre, di chi non ha casa e non ha lavoro.
Il forcaiolo imbecille ulula contro i propri diritti e pensa di essere sveglio. Ogni aspetto della povertà, senza differenze di razza o geografiche, rappresenta il nemico. Ogni forma di libertà, legata al concetto di giustizia sociale e di semplice umanità, rappresenta il nemico da mettere alla gogna. Alla gogna di un giustizialismo truce, parolaio o no, ma figlio di un desiderio di normalizzazione e di contenimento di ogni ipotesi di cambiamento.
Alla fine dei conti, i nemici sono quelli che vogliono migliorare le condizioni di vita degli esseri umani, opponendosi al dogma del turbocapitalismo che prevede, necessariamente, morti e feriti, guerre e repressione, morti in mare e sfruttamento. 
Care facce truci, illuminate dai fuochi fatui del computer, riponete nei cassetti le rivoltelle della battaglia rozza e virtuale e aprite un libro. Leggete, prendevi cura di un fiore, lasciate che lo sguardo colga la differenza tra un paesaggio e una discarica, tra un albero e un blocco di cemento. Provate a vivere. E a mettere nel cuore, negli occhi, nella mente, esercizi di libertà.

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