La mossa dei falchi di Teheran: coinvolgere Israele.
I
falchi di Teheran hanno solo una carta da giocare per destabilizzare il
fronte arabo (sunnita) avverso: far entrare nel “gioco” della guerra
Israele.
Basta una provocazione condotta per procura, utilizzando le
milizie sciite fedeli a Teheran, in particolare quelle che operano a
Gaza (Hamas e Jihad islamica) e in Libano, altra frontiera calda per lo
Stato ebraico.
E una prima conferma la si ha avuta oggi.
L’Iran può
bombardare Israele con forza e ferocia, secondo quanto affermato dal
leader degli Hezbollah libanesi filo-iraniani Hassan Nasrallah.
Le
dichiarazioni sono state fatte in occasione del 13/mo anniversario della
guerra tra Israele e Libano del 2006 e a pochi giorni dalla decisione
del Dipartimento del tesoro americano di inserire tre membri di
Hezbollah nella lista nera del terrorismo. In una intervista trasmessa
dal canale tv al Manar, organo ufficiale del movimento politico armato
libanese, Nasrallah ha detto: “Quando gli americani capiranno che una
guerra (regionale) potrà cancellare Israele dalla carta geografica,
cambieranno opinione”, riferendosi alle crescenti tensioni tra Iran e
Stati Uniti e loro rispettivi alleati. Nasrallah ha assicurato che
Hezbollah non ha intenzione di lanciarsi in una nuova guerra.
Gli
Stati Uniti considerano Hezbollah - l’unica fazione a non aver
disarmato dopo la guerra civile libanese del 1975-1990 -
un’organizzazione “terrorista”.
Il capo del “Partito di Dio” ha
ripetutamente criticato la strategia di Israele nella regione, arrivando
a minacciare una “invasione della Galilea”. La dichiarazione, in
realtà, non è sorprendente: da anni Hezbollah costruisce tunnel lungo la
“blue line” con Israele e cerca di provocare una risposta da parte
dello Stato ebraico. Nasrallah ha spiegato che in un’ipotetica guerra
convenzione con Israele, le milizie sciite potrebbero tenere testa ed
eventualmente sconfiggere le forze dello Stato ebraico, grazie anche
all’esperienza acquisita nel teatro di guerra siriano e all’acquisizione
di nuove tecnologie (come droni e missili). Libano e Israele sono due
Paesi tecnicamente in guerra, ma hanno recentemente tentato di
rilanciare i negoziati sul “confine” marittimo, nel tentativo di
risolvere il contenzioso e avviare esplorazioni offshore di petrolio e
gas. Tuttavia, i due Paesi sono ancora in disaccordo sulla modalità di
questi negoziati.
Secondo Nasrallah, Beirut
vorrebbe un dialogo guidato dalle Nazioni Unite, ma gli israeliani
spingerebbero per una mediazione degli Stati Uniti. “Gli americani
lavorerebbero nell’interesse di Israele, cercando di ingannare il
Libano”, ha concluso Nasrallah. Nei giorni scorsi il Dipartimento del
Tesoro americano ha inserito il capo del blocco parlamentare di
Hezbollah Lealtà alla Resistenza, Hajj Mohammad Raad e il parlamentare
Amin Sherri nella lista nera dei “terroristi”, sostenendo che il partito
di Dio usa il suo potere parlamentare per far avanzare le sue presunte
attività “violente”. In questa lista nera era stato già inserito Hajj
Wafiq Safa, l’alto funzionario della sicurezza del movimento libanese.
“Senza dubbio, ha preso una nuova direzione”, ha detto il premier
libanese Saad Hariri riferendosi alla mossa degli Stati Uniti. “Ma
questo non influirà sul lavoro che stiamo facendo in Parlamento o sui
ministri, è una questione nuova che affronteremo come riteniamo
opportuno…L’importante è preservare il settore bancario e l’economia
libanese e, Dio volendo, questa crisi passerà”, ha rimarcato in una
dichiarazione il premier (sunnita) di Beirut. lI presidente del
parlamento libanese, dal canto suo, ha definito le nuove sanzioni
statunitensi contro i funzionari di Hezbollah come un attacco contro
l’intero Paese. “E’ un attacco al parlamento e di conseguenza un attacco
a tutto il Libano”, ha sostenuto in una dichiarazione, Nabih Berri. Di
certo, la linea durissima praticata dall’amministrazione Trump rafforza i
falchi di Teheran e fa emergere con sempre maggiore evidenza il potere
dei Guardiani della rivoluzione e di colui che oggi è considerato, dalle
intelligence occidentali come da quelle arabe, l’uomo più potente oggi
in Iran: il generale Qasem Soleimani, il capo della Niru-ye Qods,
l’unità di élite dei Guardiani della Rivoluzione, al quale fanno
riferimento tutte le milizie sciite filo-iraniane che operano in Medio
Oriente, dalla Siria allo Yemen, da Gaza all’Iraq, con l’aggiunta di
Hezbollah in Libano.
E’ da venti anni è
responsabile di tutte le attività militari dell’Iran, segrete e
pubbliche, al di fuori dei confini della Repubblica Islamica. E’ una
delle figure militari più importanti e influenti in Iran oggi ed è
l’uomo che ha cambiato le sorti della guerra per Bashar al-Assad. E
Soleimani ha un rapporto diretto, strettissimo, con il capo di
Hezbollah, Hassan Nasrallah. Dall’Iran, via Siria, continuano ad
arrivare ai miliziani del Partito di Dio libanese armi sempre più
sofisticate e penetranti. Secondo un recente rapporto dell’intelligence
militare di Gerusalemme, attualmente Hezbollah disporrebbe di oltre
100mila missili, rispetto ai circa 12mila che aveva prima della guerra
dell’estate 2006. Ma c’è dell’altro. E a metterlo in luce con HuffPost è
Anthony Samrani, uno dei più autorevoli analisti militari libanesi:
“Oltre ad un incremento significativo, in quantità e in qualità, del suo
arsenale militare, i miliziani sciiti hanno acquisito nuove tecniche di
guerriglia urbano combattendo in Siria, a fianco dei pasdaran iraniani,
dei russi e dell’esercito di Assad. In poco più di sei anni, anni,
Hezbollah è divenuto un attore regionale capace di dispiegare
rapidamente le proprie forze dal Libano all’Iraq e ora anche in Yemen”.
Secondo
il sito French Intelligence, gli Hezbollah starebbero costruendo almeno
due installazioni in Libano, dove produrre missili ed armamenti.
Sebbene questa notizia circolasse da tempo sui siti arabi, il magazine
francese ha fornito maggiori dettagli su queste due strutture,
indicandone la posizione e la tipologia di armamenti prodotti. Una prima
struttura si troverebbe nei pressi di Hermel, nella Beqaa, mentre la
seconda sarebbe posizionata tra Sidone e Tiro. Nella prima installazione
verrebbero prodotti razzi Fateh 110 capaci di colpire quasi tutto il
territorio israeliano, con una gittata di 300 km e un discreto livello
di precisione. Nel complesso situato sulla costa mediterranea invece
verrebbero fabbricate munizioni di piccolo calibro. D’altro canto
Benjamin Netanyahu è di nuovo in campagna elettorale e intende giocarsi
le sue carte esercitando il pugno di ferro a Nord. Il premier israeliano
è convinto che Israele non possa condurre una guerra su due fronti –
Sud-Hamas, Nord-Hezbollah - e ha deciso di concentrarsi in una offensiva
diplomatica e militare contro Hezbollah e l’Iran. A più riprese ha
avvertito del rischio di una guerra in Libano se “non saranno trovate
soluzioni”. “Stiamo prendendo azioni determinate e responsabili
simultaneamente in tutti i settori e continueremo con altre operazioni,
aperte e coperte, in modo da assicurare la sicurezza di Israele”,ha
dichiarato recentemente Netanyahu, “Chiunque attacchi Israele - ha
aggiunto - pagherà un prezzo pesante”. E da Washington è arrivato il
pieno sostegno all’alleato israeliano.
“Gli Stati
Uniti sostengono con forza l’iniziativa d’Israele per difendere la sua
sovranità e chiediamo ad Hezbollah di porre fine alla costruzione di
tunnel verso Israele e a qualsiasi azione che inneschi una spirale di
violenza”, dichiara John Bolton, consigliere per la Sicurezza nazionale
di Donald Trump. Affrontare una prova di forza sul fronte Nord è, per
Netanyahu, una scelta rischiosa, ma calcolata. Una scelta che può
investire direttamente l’Italia. La ragione è nella presenza di caschi
blu italiani nella missione Unifil 2, dislocata proprio al confine tra
il Libano e Israele. L’Unifil ha annunciato oggi di avere aumentato i
suoi pattugliamenti alla frontiera con Israele in coordinamento con
l’esercito libanese. Non è ancora allarme rosso, ma le affermazioni del
portavoce militare israeliano destano preoccupazione anche al quartier
generale dell’Unifil, in particolare la sottolineatura, da parte
israeliana, che le attività degli Hezbollah, sono condotte “dai villaggi
del sud Libano mettendo in pericolo sia il Paese stesso sia i suoi
civili per mettere in piedi queste strutture del terrore”. D’altro
canto, quella di Unifil, è una missione contestata da tempo e a più
riprese da Israele e dall’amministrazione Trump. Uno degli attacchi più
duri era stato sferrato dall″allora ambasciatrice all’Onu, Nikki Haley,
che aveva accusato la missione di lasciar transitare le armi che
Hezbollah invia al regime siriano. La forza di pace di 10.500 uomini, di
cui 1.125 italiani, “non sta svolgendo il suo lavoro in modo efficace”,
aveva sostenuto Haley. Washington ha chiesto che i caschi blu, oltre a
monitorare il rispetto del cessate il fuoco lungo il confine con
Israele, contrastino il traffico di armi che dall’Iran, attraverso la
Siria, giungono alle milizie sciite di Hezbollah, come denunciato più
volte dal governo israeliano.
Un’idea già bocciata
dalla Francia per la quale si rischierebbe di mettere a rischio
l’esistenza stessa della forza Onu e la sua legittimazione, nonché la
sicurezza dei caschi blu schierati nel cuore del territorio controllato
da Hezbollah nel sud del Paese dei Cedri, che non dispongono di mezzi e
armamenti adatti al combattimento ma solo a perlustrare il territorio e
la Linea blu che segna il confine con Israele. Se i venti di guerra
tornassero a spirare in Libano, e “Scudo del Nord” ne è una concreta
avvisaglia, a rischiare sarebbero anche i nostri 1.125 caschi blu. Una
buona ragione per non sottovalutare il proclama di Nasrallah.
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