domenica 14 luglio 2019

IRAN. Nella polveriera mediorientale, Teheran gioca la carta Hezbollah. Contro il "nemico sionista".

La mossa dei falchi di Teheran: coinvolgere Israele.


huffingtonpost.it Umberto De Giovannangeli
Nella polveriera mediorientale, Teheran gioca la carta Hezbollah. Contro il I falchi di Teheran hanno solo una carta da giocare per destabilizzare il fronte arabo (sunnita) avverso: far entrare nel “gioco” della guerra Israele. 
Basta una provocazione condotta per procura, utilizzando le milizie sciite fedeli a Teheran, in particolare quelle che operano a Gaza (Hamas e Jihad islamica) e in Libano, altra frontiera calda per lo Stato ebraico. 
E una prima conferma la si ha avuta oggi. 

L’Iran può bombardare Israele con forza e ferocia, secondo quanto affermato dal leader degli Hezbollah libanesi filo-iraniani Hassan Nasrallah. 
Le dichiarazioni sono state fatte in occasione del 13/mo anniversario della guerra tra Israele e Libano del 2006 e a pochi giorni dalla decisione del Dipartimento del tesoro americano di inserire tre membri di Hezbollah nella lista nera del terrorismo. In una intervista trasmessa dal canale tv al Manar, organo ufficiale del movimento politico armato libanese, Nasrallah ha detto: “Quando gli americani capiranno che una guerra (regionale) potrà cancellare Israele dalla carta geografica, cambieranno opinione”, riferendosi alle crescenti tensioni tra Iran e Stati Uniti e loro rispettivi alleati. Nasrallah ha assicurato che Hezbollah non ha intenzione di lanciarsi in una nuova guerra.

Gli Stati Uniti considerano Hezbollah - l’unica fazione a non aver disarmato dopo la guerra civile libanese del 1975-1990 - un’organizzazione “terrorista”. 
Il capo del “Partito di Dio” ha ripetutamente criticato la strategia di Israele nella regione, arrivando a minacciare una “invasione della Galilea”. La dichiarazione, in realtà, non è sorprendente: da anni Hezbollah costruisce tunnel lungo la “blue line” con Israele e cerca di provocare una risposta da parte dello Stato ebraico. Nasrallah ha spiegato che in un’ipotetica guerra convenzione con Israele, le milizie sciite potrebbero tenere testa ed eventualmente sconfiggere le forze dello Stato ebraico, grazie anche all’esperienza acquisita nel teatro di guerra siriano e all’acquisizione di nuove tecnologie (come droni e missili). Libano e Israele sono due Paesi tecnicamente in guerra, ma hanno recentemente tentato di rilanciare i negoziati sul “confine” marittimo, nel tentativo di risolvere il contenzioso e avviare esplorazioni offshore di petrolio e gas. Tuttavia, i due Paesi sono ancora in disaccordo sulla modalità di questi negoziati.
Secondo Nasrallah, Beirut vorrebbe un dialogo guidato dalle Nazioni Unite, ma gli israeliani spingerebbero per una mediazione degli Stati Uniti. “Gli americani lavorerebbero nell’interesse di Israele, cercando di ingannare il Libano”, ha concluso Nasrallah. Nei giorni scorsi il Dipartimento del Tesoro americano ha inserito il capo del blocco parlamentare di Hezbollah Lealtà alla Resistenza, Hajj Mohammad Raad e il parlamentare Amin Sherri nella lista nera dei “terroristi”, sostenendo che il partito di Dio usa il suo potere parlamentare per far avanzare le sue presunte attività “violente”. In questa lista nera era stato già inserito Hajj Wafiq Safa, l’alto funzionario della sicurezza del movimento libanese. “Senza dubbio, ha preso una nuova direzione”, ha detto il premier libanese Saad Hariri riferendosi alla mossa degli Stati Uniti. “Ma questo non influirà sul lavoro che stiamo facendo in Parlamento o sui ministri, è una questione nuova che affronteremo come riteniamo opportuno…L’importante è preservare il settore bancario e l’economia libanese e, Dio volendo, questa crisi passerà”, ha rimarcato in una dichiarazione il premier (sunnita) di Beirut. lI presidente del parlamento libanese, dal canto suo, ha definito le nuove sanzioni statunitensi contro i funzionari di Hezbollah come un attacco contro l’intero Paese. “E’ un attacco al parlamento e di conseguenza un attacco a tutto il Libano”, ha sostenuto in una dichiarazione, Nabih Berri. Di certo, la linea durissima praticata dall’amministrazione Trump rafforza i falchi di Teheran e fa emergere con sempre maggiore evidenza il potere dei Guardiani della rivoluzione e di colui che oggi è considerato, dalle intelligence occidentali come da quelle arabe, l’uomo più potente oggi in Iran: il generale Qasem Soleimani, il capo della Niru-ye Qods, l’unità di élite dei Guardiani della Rivoluzione, al quale fanno riferimento tutte le milizie sciite filo-iraniane che operano in Medio Oriente, dalla Siria allo Yemen, da Gaza all’Iraq, con l’aggiunta di Hezbollah in Libano.
E’ da venti anni è responsabile di tutte le attività militari dell’Iran, segrete e pubbliche, al di fuori dei confini della Repubblica Islamica. E’ una delle figure militari più importanti e influenti in Iran oggi ed è l’uomo che ha cambiato le sorti della guerra per Bashar al-Assad. E Soleimani ha un rapporto diretto, strettissimo, con il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Dall’Iran, via Siria, continuano ad arrivare ai miliziani del Partito di Dio libanese armi sempre più sofisticate e penetranti.  Secondo un recente rapporto dell’intelligence militare di Gerusalemme, attualmente Hezbollah disporrebbe di oltre 100mila missili, rispetto ai circa 12mila che aveva prima della guerra dell’estate 2006. Ma c’è dell’altro. E a metterlo in luce con HuffPost è Anthony Samrani, uno dei più autorevoli analisti militari libanesi: “Oltre ad un incremento significativo, in quantità e in qualità, del suo arsenale militare, i miliziani sciiti hanno acquisito nuove tecniche di guerriglia urbano combattendo in Siria, a fianco dei pasdaran iraniani, dei russi e dell’esercito di Assad. In poco più di sei anni, anni, Hezbollah è divenuto un attore regionale capace di dispiegare rapidamente le proprie forze dal Libano all’Iraq e ora anche in Yemen”.
Secondo il sito French Intelligence, gli Hezbollah starebbero costruendo almeno due installazioni in Libano, dove produrre missili ed armamenti. Sebbene questa notizia circolasse da tempo sui siti arabi, il magazine francese ha fornito maggiori dettagli su queste due strutture, indicandone la posizione e la tipologia di armamenti prodotti. Una prima struttura si troverebbe nei pressi di Hermel, nella Beqaa, mentre la seconda sarebbe posizionata tra Sidone e Tiro. Nella prima installazione verrebbero prodotti razzi Fateh 110 capaci di colpire quasi tutto il territorio israeliano, con una gittata di 300 km e un discreto livello di precisione. Nel complesso situato sulla costa mediterranea invece verrebbero fabbricate munizioni di piccolo calibro. D’altro canto Benjamin Netanyahu è di nuovo in campagna elettorale e intende giocarsi le sue carte esercitando il pugno di ferro a Nord. Il premier israeliano è convinto che Israele non possa condurre una guerra su due fronti – Sud-Hamas, Nord-Hezbollah - e ha deciso di concentrarsi in una offensiva diplomatica e militare contro Hezbollah e l’Iran. A più riprese ha avvertito del rischio di una guerra in Libano se “non saranno trovate soluzioni”. “Stiamo prendendo azioni determinate e responsabili simultaneamente in tutti i settori e continueremo con altre operazioni, aperte e coperte, in modo da assicurare la sicurezza di Israele”,ha dichiarato recentemente Netanyahu, “Chiunque attacchi Israele - ha aggiunto - pagherà un prezzo pesante”. E da Washington è arrivato il pieno sostegno all’alleato israeliano.
“Gli Stati Uniti sostengono con forza l’iniziativa d’Israele per difendere la sua sovranità e chiediamo ad Hezbollah di porre fine alla costruzione di tunnel verso Israele e a qualsiasi azione che inneschi una spirale di violenza”, dichiara John Bolton, consigliere per la Sicurezza nazionale di Donald Trump. Affrontare una prova di forza sul fronte Nord è, per Netanyahu, una scelta rischiosa, ma calcolata. Una scelta che può investire direttamente l’Italia. La ragione è nella presenza di caschi blu italiani nella missione Unifil 2, dislocata proprio al confine tra il Libano e Israele. L’Unifil ha annunciato oggi di avere aumentato i suoi pattugliamenti alla frontiera con Israele in coordinamento con l’esercito libanese. Non è ancora allarme rosso, ma le affermazioni del portavoce militare israeliano destano preoccupazione anche al quartier generale dell’Unifil, in particolare la sottolineatura, da parte israeliana, che le attività degli Hezbollah, sono condotte “dai villaggi del sud Libano mettendo in pericolo sia il Paese stesso sia i suoi civili per mettere in piedi queste strutture del terrore”. D’altro canto, quella di Unifil, è una missione contestata da tempo e a più riprese da Israele e dall’amministrazione Trump. Uno degli attacchi più duri era stato sferrato dall″allora ambasciatrice all’Onu, Nikki Haley, che aveva accusato la missione di lasciar transitare le armi che Hezbollah invia al regime siriano. La forza di pace di 10.500 uomini, di cui 1.125 italiani, “non sta svolgendo il suo lavoro in modo efficace”, aveva sostenuto Haley. Washington ha chiesto che i caschi blu, oltre a monitorare il rispetto del cessate il fuoco lungo il confine con Israele, contrastino il traffico di armi che dall’Iran, attraverso la Siria, giungono alle milizie sciite di Hezbollah, come denunciato più volte dal governo israeliano.
Un’idea già bocciata dalla Francia per la quale si rischierebbe di mettere a rischio l’esistenza stessa della forza Onu e la sua legittimazione, nonché la sicurezza dei caschi blu schierati nel cuore del territorio controllato da Hezbollah nel sud del Paese dei Cedri, che non dispongono di mezzi e armamenti adatti al combattimento ma solo a perlustrare il territorio e la Linea blu che segna il confine con Israele. Se i venti di guerra tornassero a spirare in Libano, e “Scudo del Nord” ne è una concreta avvisaglia, a rischiare sarebbero anche i nostri 1.125 caschi blu. Una buona ragione per non sottovalutare il proclama di Nasrallah.

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