martedì 18 giugno 2019

Libro. Mafia/e. I Casamonica e la conquista di Roma.

Paola frequenta il mondo di sopra. Senatori, deputati, consiglieri, ma a pochi ha raccontato che è stata imprigionata nelle maglie strette del mondo di sotto.

 

repubblica.it Nello Trocchia

fotoblog2-TrocchiaUscì da un palazzo della politica dove lavorava. Era una vittima del clan Casamonica. Allora, nel 2011, quando per la prima volta mi occupai della casata non c'era stato né il funerale di zio Vittorio, né la testata di Roberto Spada. Niente. A dire Casamonica a Roma si rischiava uno sberleffo nella città che non vedeva neanche le mafie quelle che dal sud si erano da anni ritrovate nella capitale per soddisfare i bisogni criminali, nascondersi e riciclare valanghe di denaro. Paola, nome di fantasia, era finita in un giro di assegni a vuoto e usura. Si sentiva disperata, persa, spacciata di fronte a quella famiglia che, ignorata dalle autorità, era percepita e vissuta come padrona e invincibile.
I Casamonica contano mille familiari, un patrimonio sconfinato, è il clan più potente del Lazio. Non c'è solo Paola, ci sono decine di vittime, imbrigliate nella rete inestricabile della casata. I Casamonica hanno imposto l'omertà, condizione sociale e non territoriale, grazie all'impunità mostrata ed esibita come scalpo di uno stato, in larga parte, inconcludente e distratto.

Paola è una donna e vittima che ha lasciato la sicurezza della sua vita per affogare nell'incertezza, costretta alle fluttuazioni violente del clan. Come lei tante che hanno subito la ferocia della casata. Ne ho incontrate diverse, ho raccontato le loro storie nel libro 'Casamonica', edito da Utet, il primo che racconta il potere del clan, fatto di violenza, ma anche di connivenze importanti e colpevoli omissioni.
Le omissioni che hanno trasformato la casata in una potente famiglia criminale. E tutto questo è successo a Roma, nella capitale del paese, dove attraverso un'operazione di rimozione il fenomeno mafioso è stato derubricato ad una questione di mele marce, di rami secchi, insomma una questione sporadica e marginale. E, intanto, i Casamonica saldavano rapporti con imprenditori, controllori, politici grazie ai buoni uffici di Enrico Nicoletti, amico intimo di Vittorio Casamonica, il cui funerale, nel 2015, ha fatto il giro del mondo. E mentre il potere della casata cresceva, la sicurezza di chi incrociava la famiglia criminale veniva totalmente disgregata. Ogni vittima ha lasciato qualcosa, c'è chi ha, addirittura, perso la casa, tutte hanno perso la tranquillità, dimenticato la vita sicura. Tutte le vittime hanno taciuto, tranne pochissime eccezioni, di fronte alle brutalità anche solo accennata del clan. E perché? Perché il potere riconosciuto, in quel territorio, non è quello dello stato, ma quello del clan. L'omertà, a Roma, nonostante alcune sentenze che negli anni l'hanno negata, è condizione perenne quando ci si trova di fronte ad un famiglia di mafia. Pochissimi denunciano e la ragione è fin troppo semplice. Quando il clan si è mosso massacrando innocenti, nessuno ha pagato. Ho conteggiato i procedimenti penali che hanno coinvolto la casata (compresi quelli a carico dei Di Silvio), circa 1600 negli ultimi 20 anni, molti finiti con prescrizioni o con la remissione della querela. Per la comunità romana, per chi ha incrociato gli uomini del clan, loro, gli zingaracci, i nullafacenti erano e restano, in larga parte, impuniti.
Lo dice drammaticamente chiaro, in una conversazione con una vittima, uno degli affiliati che ho incontrato per scrivere il mio libro: “Noi siamo una famiglia potente, con parenti in tutta Italia, possiamo ucciderti e darti in pasto ai maiali così di te non si troverebbe più neppure un orecchio”.A guardare nei fascicoli impolverati che coinvolgono gli uomini di vertice della famiglia, a capo degli arcipelaghi in cui si divide la famiglia, si ritrova una costante: nessuno paga e quando pagano sono solo buffetti per criminali di primo piano del panorama mafioso capitale. Ma non è tutto buio.
Finalmente ora ci sono due donne che raccontano quanto hanno subito, così come un collaboratore di giustizia, si chiama Massimiliano Fazzari. Sono riuscito a parlarci e nel libro riporto quanto mi ha raccontato e, in particolare, un'immagine: “Non ti ci metti contro, questi ti si mangiano come i topi di fogna”.Roma ha immaginato di confinarli nei loro fortini, ma poi i nullafacenti hanno cominciato a controllare ristoranti in centro, a riciclare denaro, a frequentare il salotto della città.
E la città li ha digeriti perché offrono, da agenzia criminale, due servizi molto richiesti: soldi a strozzo e fiumi di droga, dalla cocaina all'eroina.
Se sono diventati Casamonica, innominabili e potenti, è perché sono stati rappresentati solo per la passione smodata per l'oro, per lo stile barocco delle loro case, una rappresentazione vera, ma superficiale che li ha trasformati in un fenomeno da baraccone, in bulli di periferia. Oltre la rappresentazione si muove un clan capace di interloquire con uomini della 'ndrangheta, anche con i rampolli dell'ala stragista così come con i narcos sudamericani. L'arcipelago di Porta Furba, uno dei loro fortini, è stato disarticolato grazie all'azione della Procura di Roma e dei carabinieri, ma gli altri ras del clan sono tutti liberi e vivono, beati, nelle loro ville imperiali. Molti di loro li ho incontrati tra insulti e minacce, ho provato a capirne stilemi, movenze, tratti distintivi. E quello principale è la loro boria da impuniti. Mentre il ministro Salvini 'ruspava la villa di un mafioso', ho trovato Giuseppe Casamonica al quale è riconducibile l'immobile, a poca distanza in una villa ancora più sontuosa. Ho chiesto spiegazioni, ma alla fine la moglie, Anna Di Silvio, mi ha detto: “Prima o poi ti sparano”. Tra i familiari della coppia c'è chi ha un soprannome inequivocabile 'il killeretto'. La sicurezza di una città passa dalla capacità di rendere conveniente e visibile l'onestà. Al momento a Roma, senza funerale o testate, di mafie non si parla e loro i Casamonica continuano a fare i padroni.

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