giovedì 14 febbraio 2019

Arte irregolare, non chiamatela terapia. La disabilità mentale attraverso i colori

Profilo bloggerQuattro artisti a rappresentare l’Italia a Tokyo. L’Italia dell’arte cosiddetta “irregolare”. Sono infatti quattro utenti del Centro di salute mentale di Bologna: MacKenzie, Augustine Noula, Francesco Valgimigli, Andrea Giordani.



Lavoratore nella comunicazione
Questi i loro nomi. Appartengono a un collettivo coordinato da Concetta Pietrobattista dell’Ausl di Bologna all’interno del progetto Arte Salute, diretto dalla dottoressa Angela Tomelli.
Sono stati selezionati dalla cooperativa giapponese Npo Tokyo Soteria per conto della Nippon Charity Kyokai, fondazione pubblica che fin dal 1966 si occupa dell’argomento disabilità e cultura e che vede in ParaArt, una mostra alla quarta edizione, un evento di punta dell’arte irregolare.  
Un totale di 700 opere provenienti da 16 diverse nazioni, fra pittura e calligrafia.  
ParaArt sarà ospitata anche nell’ambito dei giochi Paralimpici di Tokyo del 2020, come uno degli eventi “off” principali.
Il progetto Arte Irregolare di Bologna è nato dalla collaborazione tra il Nuovo Comitato il Nobel per i Disabili Onlus, voluto da Dario Fo e Franca Rame e coordinato da Jacopo Fo, e il Dipartimento Salute Mentale‐Dipendenze Patologiche di Bologna.
Successivamente il gruppo di artisti si è reso autonomo per partecipare, ideare e progettare mostre ed eventi aperti al territorio con lo scopo di vendere le proprie opere, sensibilizzare la cittadinanza ai temi della differenza e connettersi con altri soggetti che si occupano di Arte Irregolare.
Il collettivo è formato da una trentina di artisti che si incontrano mensilmente per confrontarsi sul proprio percorso artistico e programmare e realizzare le iniziative da promuovere.

Solo tre gli artisti che abbiano svolto studi accademici. Il resto sono tutti autodidatti, come nella migliore tradizione della anglosassone Outsider Art. Concetto diverso rispetto a quello dell’Art Brut teorizzata da Jean Dubuffet (in mostra una sua personale alla Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia, fino al 3 marzo) che, nella sua intuizione di artista e ricercatore, visitò i manicomi e le case di persone con disturbi mentali trovando, nascoste nella cartelle mediche e nei luoghi abitati dai “matti”, opere che raccoglievano il loro tratto caotico e monodimensionale. Un linguaggio puntillinista, composto di alfabeti misteriosi, notazioni pseudo-musicali, grafici e formule matematico/fantascientifiche. Forme vorticose, ipnotiche. Opere accese da colori violenti, rappresentazioni spesso di un dolore profondissimo o di una realtà dominata dal panico o dalla protesta causata della propria condizione di recluso e di persona inascoltata.
Arte Irregolare è invece la definizione coniata dalla storica dell’arte Bianca Tosatti che, da anni, si occupa dei rapporti tra espressione artistica e disagio mentale.
Secondo la studiosa quel riconoscimento del loro lavoro è l’unico modo per dichiarare la propria esistenza, un mezzo per l’affermazione della propria identità. Anche persone molto sofferenti possiedono la precisa consapevolezza di essere artisti. Ma questo non deve essere frainteso: non si deve usare la retorica dello “speciale”, velata da un sentimento di compassione, per riconoscere un talento dove questo non c’è. Una cosa è l’arteterapia, che si svolge nei tanti laboratori per utenti psichiatrici, altro è accedere alla collezione di un museo d’Arte Irregolare a pieno titolo.
Si, perché esistono nel mondo musei e mostre dedicate all’Arte Irregolare. E in Italia, per adesso, niente. Grave, perché l’Arte Irregolare se non trova contesti dedicati si perde come un mandala al soffio del vento. In Francia, Svizzera, Germania c’è un interesse anche nel collezionismo per l’Art Brut e negli Stati Uniti per l’Outsider Art (con nomi addirittura popolari come quello del cantautore Daniel Johnston).
Al contrario, in Italia, queste forme espressive sono sempre state sottovalutate sulla base di un collegamento con la psichiatria e la malattia mentale. L’Art Brut, spesso simile alla grafica underground, è la risposta alla sterilità dell’arte ufficiale e lo specchio di una società che chiede e non trova risposte. Sarà l’Italia capace di raccogliere una sfida mai compiuta e la città di Bologna in grado di premiare i talenti nascosti, dedicando l’attenzione che questa forma d’arte merita?

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