mercoledì 9 gennaio 2019

“Dobbiamo prepararci ora alla possibilità di una recessione”.

L’austerità è un’idiozia, e sarebbe ora di spiegarlo ai vertici dell’Unione Europea. Se hanno a cuore le sorti del capitalismo, mica quella dei poveri e dei lavoratori…

In tempi di apparenti paradossi ad ogni angolo di strada, abbiamo l’ex ministro del tesoro statunitense nei governi di Bill Clinton, poi per qualche tempo in corsa per la presidenza della Federal Reserve (la banca centrale Usa) e attualmente in cattedra ad Harvard, che è costretto a chiedere l’esatto opposto di quel che ha praticato fin qui (come decisore, è stato il folle cha ha abolito il Glass-Steagall Act, che vietava alle banche d’affari di agire da raccolta risparmi e prestiti, e viceversa): investimenti pubblici, salari più elevati, stimoli fiscali diffusi… tutto, pur di sostenere una “crescita” che non decolla mai. Da almeno 10 anni. O, almeno, non assume mai un ritmo che faccia immaginare un mondo migliore.
La Cina sta già facendo, e con cifre che fanno spavento. Gli Stati Uniti ancora no, ma anche lì i salari stanno aumentando (ancora poco, non tanto da far crescere l’inflazione vicino al 2%, ma un po’ salgono…).

Nell’Unione Europea, invece, siamo completamente fermi al ricatto del debito pubblico, con placida dimenticanza di quelli privati (assai più alti). Cosicché nel Vecchio Continente l’ordine è stringere la cinghia quando si sta entrando di nuovo in recessione (su qualsiasi manuale di macroeconomia liberale consigliano il contrario, perché è una misura “pro-ciclica”, ovvero che aggrava una tendenza pericolosa già in atto.
Summers è uomo intelligente; carogna, ma intelligente. Vede la recessione montare dalle economie occidentali, svuotate di energia da tre decenni di delocalizzazioni e finanziarizzazione, e prova a far capire – agli Stati Uniti, non a un paesello qualsiasi – la dimensione del problema. Che è poi, “semplicemente”, la fine di un modello che è diventato ideologia, “pensiero unico”, pratiche manageriali e commerciali: quello della cosiddetta “globalizzazione”. Quando si potevano fare i soldi, nell’economia reale, deprimendo i salari al di sotto del livello della sopravvivenza; e soprattutto si potevano fare nella moltiplicazione dei prodotti finanziari “creati” da matematici, neanche più da economisti.
Tutto questo è roba del passato, ed anche i suoi consigli attuali – ne sembra consapevole – servono soltanto a rinviare i problemi, ad allontanare l’esplosione.

E gli viene quasi da ridere – pensando probabilmente a gente come Jens Weidmann o Mario Draghi – quando scrive “È l’ironia del nostro momento, che la prudenza richiede il rifiuto dell’austerità”. Vaglielo a spiegare a un tedesco che, anche linguisticamente (schuld), confonde ancora il debito con la colpa.
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Quando le persone sono fondamentalmente in buona salute, non sanno ancora quale sarà la causa della loro morte. Una ripresa economica è “in salute” se non è chiaro quale sarà la causa della prossima recessione. Per questo principio, la ripresa dalla crisi finanziaria del 2008, sebbene deludentemente lenta, è stata positiva per gran parte dell’ultima decade.
Ora, questo è in forte dubbio. La battuta di Paul Samuelson secondo cui il mercato azionario ha predetto nove delle ultime cinque recessioni, mette in guardia contro i recenti sbalzi in borsa. Ma l’espansione del credito si è allargata considerevolmente, i prezzi delle materie prime si sono attenuati e gli investitori hanno cominciato a richiedere rendimenti più alti per le obbligazioni statunitensi a breve termine rispetto a quelle con scadenza più lunga. A differenza dei mercati azionari, le “inversioni delle curve dei rendimenti” storicamente non tende a produrre false previsioni di recessione. Il giudizio complessivo dei mercati finanziari è che la recessione è decisamente più probabile nei prossimi due anni.
Anche gli indicatori economici reali per le due più grandi economie del mondo, Cina e Stati uniti, comportano un considerevole motivo di preoccupazione. Negli ultimi mesi, quasi ogni indicatore cinese è arrivato al di sotto delle aspettative. Le autorità di Pechino ora, se devono riportare in modo credibile il raggiungimento degli obiettivi di crescita, vedono il bisogno di misure di incentivazione. Le revisioni delle previsioni economiche tendono a correre nella stessa direzione per lunghi periodi se i previsori si adeguano alla realtà emergente. Questa tendenza è particolarmente evidente in Cina, data l’estrema sensibilità politica delle statistiche economiche.
Negli Stati uniti, l’inflazione è di nuovo inferiore all’obiettivo del 2% della Fed, e il confronto con i rendimenti sulle obbligazioni ordinarie al netto dell’inflazione, suggerisce che gli investitori si aspettano che questo continui per il prossimo decennio. Mentre la crescita occupazionale rimane consistente, l’occupazione è do solito una statistica in ritardo. Gli indicatori lungimiranti circa la fiducia delle imprese e dei consumatori, suggeriscono che la crescita è in presumibile rallentamento.
Forse l’economia americana godrà di un atterraggio morbido: la crescita occupazionale rallenterebbe, sul lungo periodo, a un livello sostenibile, e l’aumento della produttività accelererebbe  abbastanza da permettere una crescita del Pil del 2% e un incremento salariale senza che questo spinga l’inflazione. Ma ciò richiederebbe sia capacità politiche, sia una buona dose di fortuna. Considerando che la situazione attuale registra un alto livello di indebitamento e una bassa disoccupazione, una recessione è il risultato più probabile.
È pressoché inconcepibile che l’economia globale rimanga in salute di fronte ai seri problemi economici della Cina e degli Stati uniti, anche lasciando da parte i loro conflitti sul commercio e sulla tecnologia. L’Europa manca di forza economica e le incertezze circa la Brexit, le proteste francesi, la transizione politica tedesca e il populismo italiano significano che il continente è più probabile che sia una fonte di problemi più che di soluzioni.
Come i generali che combattano l’ultima guerra, troppi politici sono concentrati sui problemi di ieri. È molto più probabile che l’economia globale soffra di una recessione piuttosto che di un surriscaldamento nei prossimi due anni. È più probabile che il flusso di credito sia troppo esiguo che il suo contrario; è più probabile la deflazione dei prezzi delle attività che una bolla, e l’austerità in eccesso è un rischio maggiore dello sperpero.
La sfida cruciale per la politica monetaria e fiscale sarà quella di mantenere una domanda sufficiente tra l’immensa incertezza geopolitica, l’aumento del protezionismo, l’alto livello del debito accumulato e fattori strutturali e demografici che portano ad un aumento del risparmio privato e alla riduzione degli investimenti privati.
La Fed dovrebbe comunicare che è determinata a evitare una flessione che assicurerebbe un altro decennio al di sotto del target dell’inflazione. La Banca popolare cinese e altre banche centrali dovrebbero anche chiarire che riconoscono che evitare un’altra recessione è la cosa più importante con cui possono contribuire alla stabilità finanziaria.
I responsabili delle politiche fiscali dovrebbero rendersi conto che il rendimento reale molto basso dei titoli di stato è indice del fatto che più debito può essere assorbito. Non è troppo presto per iniziare i piani di rilancio dei progetti infrastrutturali su larga scala in caso di crisi. Le maggiori economie dovrebbero cercare di limitare le frizioni commerciali e segnalare che sono impegnate a cooperare per sostenere la crescita globale, garantendo flussi di capitale adeguati ai mercati emergenti ed evitando un ciclo protezionistico.
Anche se i miei timori di recessione sono eccessivi, uno spostamento verso l’accentuazione della crescita contribuirà a portare l’inflazione su livelli prefissati, e può essere invertita. Se ho ragione, i costi di un ritardo nella risposta politica potrebbero essere catastrofici. È l’ironia del nostro momento che la prudenza richiede il rifiuto dell’austerità.

*Lawrence Summers è professore di economia a Harvard ed ex ministro del tesoro degli Stati uniti – qui l’articolo originale

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