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Romano Prodi è uno dei massimi artefici della mutazione genetica
della sinistra italiana, avendo validamente contribuito a traghettarla
dal campo socialista al campo liberale; fa parte (con Andreatta, Ciampi e
Carli) del clan dei grandi burocrati che, prima, hanno sottratto al
paese la sovranità monetaria, favorendo il divorzio fra il Tesoro e la
banca centrale, poi hanno operato per sottrargli anche la sovranità
nazionale (e quindi la sovranità popolare); è il grande liquidatore di
quell’industria di Stato che aveva promosso il nostro sviluppo
industriale, e che lui ha fatto sì che venisse trasferita in mani
private; è fra coloro che hanno spianato la strada alla deregulation
finanziaria, alla colonizzazione del nostro sistema produttivo da parte
delle imprese transnazionali, alla distruzione del potere
contrattuale dei sindacati; è – con Bill Clinton, Tony Blair, Schröder e
altri – fra i massimi ispiratori della “sinistra” neoliberale e
antikeynesiana; si è battuto perché l’Italia entrasse a qualsiasi costo
nell’Unione Europea
contribuendo a realizzare l’utopia di von Hayek, cioè la nascita di
un’entità sovranazionale che ha neutralizzato i principi
“criptosocialisti” della Costituzione del ‘48 e imbrigliato la nostra politica economica con vincoli esterni che le vietano di ridistribuire risorse a favore delle classi subalterne.
Questo è l’uomo che ha oggi la faccia tosta di lanciare un appello
(sulle pagine del “Corriere della Sera” di venerdì 5 ottobre) per
salvare l’Italia che, parole sue, «rischia di diventare una democrazia illiberale». Democrazia illiberale è un termine interessante, quasi un lapsus. Il binomio democrazia-liberalismo
si è infatti dissolto da un pezzo, come hanno spiegato, fra gli altri,
Colin Crouch e Wolfgang Streeck: i nostri sono regimi post-democratici,
nei quali la democrazia
si riduce all’esercizio formale di alcune procedure, mentre le vere
decisioni sono delegate ai “mercati” (mitiche entità impersonali dietro
cui si celano gli interessi di ben precise caste economiche), in nome
dei quali governano esecutivi che giustificano le proprie decisioni
antipopolari con i vincoli (che loro stessi hanno scelto di
autoimporsi!) dettati da istituzioni sovranazionali prive di
legittimazione democratica. Regimi liberali, nel senso che vengono
ancora rispettati i diritti civili e individuali (ma non quelli
sociali!), ma certamente non democratici, come ha sperimentato sulla
propria pelle il popolo greco.
Parlando del pericolo dell’avvento di una “democrazia illiberale”, Prodi e soci manifestano la propria paura che possa ritornare una democrazia
capace di far valere gli interessi delle classi subalterne. Un ritorno
che, causa la latitanza delle forze politiche che avrebbero dovuto
difenderla (quelle sinistre che oggi ballano come topolini al suono dei
pifferi liberali), ha assunto il volto “barbaro” della rivolta
populista: dall’elezione di Trump, alla Brexit, alla bocciatura del
referendum renziano, passando per la valanga di voti raccolti da
formazioni di diversa coloritura ideologica (Lega e M5S in Italia,
Mélenchon e Le Pen in Francia, Podemos e Ciudadanos in Spagna, ecc.) ma
accomunate dal rifiuto del pensiero unico liberal/liberista. Per certa
gente la democrazia
diventa illiberale quando capisce che il popolo non la segue più, che
non riconosce più la loro autorevolezza di “esperti” e pretende di avere
voce in capitolo su temi che è troppo rozza per capire. È allora che
viene agitato lo spettro di una democrazia che può trasformarsi in “dittatura della maggioranza”, o addirittura suicidarsi, aprendo la strada all’avvento di regimi
totalitari. È allora che si lanciano appelli come quello di Prodi
(rilanciato da Gentiloni il giorno seguente) che invita a costruire un
fronte “antipopulista” che dovrebbe andare da Macron a Tsipras.
Quale sublime sfrontatezza: si chiama a raccolta Tsipras, l’uomo che
ha tradito il voto del suo popolo, piegandosi alla volontà della Troika e
accettando che la Grecia venisse ridotta allo stato di colonia, un uomo
che non ha più alcun titolo per dirsi di sinistra (giustamente
Mélenchon ne ha chiesto l’espulsione dal gruppo parlamentare della
sinistra europea), accostandolo a Macron, l’uomo che dopo essere stato
eletto in nome di una sacra unione antipopulista, è riuscito, a causa
alle sue scellerate scelte antipopolari, a perdere in tempi brevissimi
il consenso raccolto con quell’espediente. Senza operare alcuna
riflessione autocritica, si rilancia un progetto che si è già dimostrato
fallimentare, nella speranza di poter cancellare – con la complicità
del terrorismo mediatico – l’evidenza dei fatti e di far dimenticare ai
cittadini il recente passato. Non funzionerà. O meglio: non funzionerà
per la maggioranza dei cittadini, funzionerà invece nei confronti dei
resti d’una sinistra che continua a correre verso il baratro come un
branco di lemming.
(Carlo Formenti, “Prodi ovvero il pifferaio stonato”, da “Micromega” dell’8 ottobre 2018).
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sabato 17 novembre 2018
La faccia tosta di Prodi, il pifferaio della svendita dell’Italia
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