Di tutto possono essere accusati i leghisti, meno che di non sapere quello che stanno facendo.
Se
accostiamo il “decreto sicurezza” – ukaze governativo centrale – con la
delibera della Regione Lombardia che trasforma il personale viaggiante
dei trasporti locali in “poliziotti” abbiamo l’incrocio esemplare tra
“enunciazione dei princìpi” e realizzazione pratica. Orrendo e
puzzolente, certo, ma per nulla equivoco. Semplice come un rifiuto
solido lasciato sul marciapiede, ma che non si può aggirare ricorrendo
alle sole parole.
In
tutta la politica securitaria della Lega, oggi candidata a diventare il
partito dei padroni “Itagliani”, c’è una costante che va colta una
volta per tutte: il popolo è il nemico, e il potere si blinda per
tenerlo a freno con mezzi militari, per ora polizieschi. Dirla così non
porta voti, e dunque “il popolo” viene scomposto in figure sociali
deboli, marginali, spesso già viste con sospetto da una popolazione
mediamente di alta età, resa insicura dal reddito in calo, i servizi
sociali scadenti (tra cui massimamente il trasporto pubblico
semi-privatizzato e la sanità oggetto di continui tagli), le pensioni da
fame (quelle “d’oro”, inutile dirlo, non vanno a chi in basso…)
E
dunque, per ora, il “decreto sicurezza” indica i “nemici sociali” più
facili: immigrati (preferibilmente “negri”, perché più facili da
riconoscere anche da lontano, mentre i magrebini presentano troppo
somiglianze con i “terroni”, da pochi mesi riabilitati nell’immaginario
leghista in quanto “itagliani”), zingari, tossicodipendenti (a meno che
non siano ragazze minorenni che muoiono in circostanze raccapriccianti),
occupanti di case e/o di spazi sociali, oppositori politico-sindacali,
ecc.
Se
dovessimo restare al piano delle formulazioni sociologiche, il giudizio
su questa logica sarebbe facile, ma al tempo stesso sterile.
“Reazionaria” è aggettivo che scuote coscienze già avvertite, ma non
significa nulla alle orecchie di persone che fanno fatica a riconoscere
in un altro debole la propria stessa fragilità, e dunque ad identificare
meglio il vero nemico.
La
giunta leghista lombarda, però, si è presa l’incarico di chiarire
meglio cosa significa – nella vita quotidiana – la visione salviniana
della “sicurezza”. Ri-qualificare i bigliettai come “poliziotti” non
porta nessuna “sicurezza” in più, su un autobus o un treno. Al massimo
permette di incrementare la pena per coloro che entrano in conflitto con
uno di loro, qualsiasi ne sia la ragione.
Abbiamo
messo in evidenza l’ultima frase perché consente di demolire in pochi
colpi l’immaginario farlocco alla base di tutto l’impianto securitario
leghista.
I
salviniani di ogni mestiere e livello hanno molto enfatizzato, negli
ultimi anni, alcuni episodi di cronaca in cui alcuni controllori di
treno o autobus sono stati aggrediti o sono finiti in rissa con alcuni
viaggiatori “extracomunitari”. In alcuni casi per colpa dello stesso
controllore (un leghista non riesce a non comportarsi come tale anche
mentre lavora), più spesso per i normali casi di mancanza di biglietto,
per la presenza di una banda vera e propria, ecc. Molte altre volte – ma
le cronache in questo caso relegano la notizia tra le questioncelle
locali, a fondo pagina o servizio – per i quotidiani ritardi e
cancellazioni di tratte utilizzate dai pendolari.
L’obbiettivo
è dunque evidente: isolare le “figure nemiche” dalla massa dei
viaggiatori, comunque già tutti incazzati per le condizioni in cui
devono muoversi, e concentrare su di loro il malessere sociale,
delegando ovviamente alle varie polizie il compito di “dare una lezione”
ai “devianti”.
Ma
una decisione del genere – “poliziottare” i controllori – ha
conseguenze durature nel tempo, ben al di là dell’”emergenza” indicata
dalle cronache. Basteranno due o tre diverbi finiti in rissa, con tanto
di condanne detentive anche consistenti, a “convincere” molti devianti a
muoversi altrimenti. A quel punto, come massa “nemica” da disciplinare,
non resteranno che i pendolari, episodicamente protagonisti di proteste
(con relativo blocco dei binari, ora definito però reato penale dal
nuovo “decreto sicurezza”) o di sfoghi rabbiosi non sempre beneducati.
Basta
grattare un poco la superficie del leghista e ci trovi il solito
reazionario classista vecchio stile. Così vecchio da risalire a prima
del Novecento, con un sapore molto “Sabaudo”.
Succede
spesso, anche a noi, di qualificare questa logica come “fascista”, ma
non è esatto. Anche se ovviamente l’esibizione di potenza militaresca da
parte di chi sta al governo è sempre, in varia misura, uguale nei
secoli.
C’è
però una differenza epocale che va sottolineata. Il “fascismo storico”,
per quanto violento e miserabile, interpretava in modo certamente
reazionario e autoritario una esigenza di “modernizzazione della società
e dello Stato” che, nello stesso periodo, veniva interpretata in modo
anche molto differente (dal new deal rooseveltiano al socialismo
sovietico).
Una
modernizzazione che rilanciava il processo di sviluppo , la crescita,
l’occupazione (per esempio: venne allora costruito l’Iri, Istituto per
la Ricostruzione Industriale, con il “pubblico” che si prendeva l’onere
di realizzare quel che “il privato” si rifiutava di fare per manifesta
vigliaccheria o incapacità). Con una ridistribuzione infame della
ricchezza – in Italia – che andava a premiare soprattutto latifondisti,
rentier e nuovi ricchi (i gerarchi e le loro clientele). Oltre che la
famiglia Agnelli…
Un
secolo è passato. Qui non si vede nessuna crescita all’orizzonte; né
sul breve, né sul lungo periodo. Non c’è da gestire alcuna
modernizzazione, ma al contrario un declino inarrestabile. Con imprese
che se ne vanno verso paesi a costo del lavoro zero, altre che vengono
conquistate da multinazionali interessate solo al know how (e dopo
chiudono), altre che falliscono per incapacità di mettersi all’altezza
della concorrenza. Anche il governo grillin-leghista si limita ad
accompagnare lo scivolamento verso il baratro (basta guardare le vicende
di Ilva, Alitalia, Telecom, ecc, per non dire delle “private”
Pernigotti, Bekaert, ecc), senza alcuna idea di politica industriale.
Servirebbero
statisti capaci di individuare il senso di questo tempo e disegnare un
progetto di società da qui a 30 anni, e contemporaneamente di risolvere i
mille problemi contingenti di una società complessa che corre verso
l’impoverimento (secondo le indicazioni dell’Unione Europea e le
pressioni dei “mercati”).
Ma
ci troviamo di fronte gente che non ha alcuna soluzione e non dispone
neppure degli strumenti per cercarne qualcuna che funzioni (anche a
prescindere dalle “visioni del mondo” interiorizzate). Come per il
trasporto urbano o regionale, in assenza di “piani” e di fondi per
realizzarli, si fa prima a criminalizzare i passeggeri – chiunque essi
siano – che non a migliorare il servizio. Tanto qualcuno ci guadagna lo
stesso e foraggerà “il legislatore”…
In
questo scenario “l’insicurezza sociale” è massima, diffusa tra figure
anche agli antipodi; sia tra chi ha molto, sia tra chi ha poco e persino
tra chi ha nulla. E la Lega – con supporto acefalo dei Cinque Stelle –
definisce un sistema repressivo fatto per difendere “chi ha” dalle
crescenti masse di popolazione che non hanno nulla o hanno sempre meno.
E’ uno schema ottocentesco: i ricchi “veri” chiusi in cittadelle inespugnabili, difese dalle truppe migliori, alla Elysium;
il “ceto medio impoverito” abbindolato col diritto di sparare nei
dintorni di casa propria o col “bigliettaio sceriffo”; tutti gli altri
ai margini, frammentati e in guerra tra loro, negli hunger games all’italiana.
Ma
soprattutto da tenere a bada perché un giorno o l’altro – com’è
inevitabile ed è sempre accaduto – potrebbero capire il gioco e
riversarsi tutti insieme contro il comune e vero nemico.
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