lunedì 14 maggio 2018

Occupati ma a rischio di povertà.

In molti paesi europei, e in modo particolare in Italia, la deregolamentazione del lavoro, cui è seguita la diffusione di forme di impiego non standard, si è intrecciata con una questione generazionale di vasta portata: tutti gli indicatori dimostrano che le generazioni che hanno cominciato a affacciarsi alla vita adulta a partire dagli anni '90, ma soprattutto dal nuovo millennio, incontrano grandi difficoltà nel trovare quel ruolo nella società che per le generazioni precedenti era garantito da una occupazione stabile.
 
Il Lavoro Conta? David Benassi

Intendiamoci, non dobbiamo certo rimpiangere la società rigidamente classista dell'era fordista: la libertà di cui godiamo oggi per decidere come condurre la nostra vita era impensabile solo 30 anni fa. Questa libertà, però, ha anche aumentato il grado di quella che Robert Castel ha chiamato "insicurezza sociale": al venire meno dei meccanismi tradizionali di inclusione sociale, in primis il lavoro ma anche la famiglia e il welfare state, è aumentata la percezione di vulnerabilità di fronte alle transizioni della vita. I giovani che oggi si affacciano alla vita adulta soffrono i nuovi rischi sociali più delle generazioni mature.
In un mondo "ideale" il benessere, indotto dalle innovazioni –tecnologiche, scientifiche, politiche, sociali-, aumenta nel corso del tempo, e le nuove generazioni si ritrovano a godere di migliori condizioni di vita rispetto alle generazioni precedenti. Come si vede molto chiaramente nel grafico, in Italia questo modello ideale si inverte tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90: fino ai primissimi anni '90 il reddito dei lavoratori più giovani è pari al 90 o anche al 100% del reddito medio, per poi declinare inesorabilmente fino al 66% di oggi.

La stessa dinamica si osserva nel caso dei "giovani adulti" (31-40 anni) con un reddito pari al 130-120% di quello medio fino ai primi anni '90 e poi un calo costante fino al 97% di oggi, e simile anche per i 41-50enni. Va da sé che le generazioni che si sono avvantaggiate sono quelle più mature, i 51-65enni (da 104% a 115%) e soprattutto i più anziani che passano da poco più del 50% a quasi il 90%, grazie evidentemente a favorevoli politiche pensionistiche.
Il timing di questa inversione coincide esattamente con i processi di flessibilizzazione del lavoro, cominciati già alla fine degli anni '80 ma con una forte accelerazione alla fine degli anni '90. Instabilità occupazionale e bassi salari –anche detti gig economy per darle un'aria più glamour- hanno indebolito la funzione del lavoro come strumento di inclusione sociale, esponendo molte famiglie al rischio di povertà pur avendo al proprio interno soggetti occupati. Secondo i dati Eurostat nel 2016 in Italia il rischio di povertà tra gli occupati passa dal 7,5% tra quelli a tempo indeterminato al 20,5% tra quelli a tempo determinato. Questi dati tuttavia nascondono il fatto che molte volte i bassi salari sono "nascosti" all'interno del nucleo famigliare, perché è molto difficile per i giovani rendersi indipendenti dalla famiglia d'origine. In base ai dati dell'ultima indagine della Banca d'Italia (2016) scopriamo quindi che il reddito da lavoro medio degli under 30 è di 10.271€ (856€ mensili! Mentre la media nazionale è di 16.281€).
Questi processi hanno una conseguenza chiara: rafforzano la trasmissione famigliare dei privilegi e della disuguaglianza perché i giovani che provengono da famiglie benestanti potranno attingere a tutta una serie di risorse –economiche, formative, relazionali– che favoriranno l'acquisizione di un ruolo solido nel mondo del lavoro e nella società. A contrario per i giovani che provengono da contesti famigliari e sociali svantaggiati sarà quasi impossibile superare il gap che li separa dai primi, e con ogni probabilità la loro vita sarà contrassegnata da precarietà e, nel peggiore dei casi, povertà. Infatti, numerosi rapporti OECD segnalano come l'Italia sia uno dei paesi europei dove la mobilità sociale è più bassa. È questa una negazione degli ideali di uguaglianza alla base delle società democratiche, un problema che dovrebbe essere al centro del dibattito pubblico.

Banca d'Italia
(Questo post è a cura di David Benassi, Università di Milano-Bicocca)

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