controlacrisi
Fonte:
il manifestoAutore:
Ivan Cavicchi
Mezzo secolo è trascorso e i mitici
metalmeccanici sono passati dalla salute non negoziabile (gruppi
omogenei, mappe di rischio, delegato alla salute) alle mutue
integrative. Si afferma così, attraverso il lavoro, il cosiddetto
welfare aziendale.
Welfare aziendale, vale a dire una idea di contro-universalismo di
classe che al diritto alla salute (del quale si constata di fatto
l’inesigibilità, quindi l’utopia) preferisce, pragmaticamente, una forma
di accesso privilegiato ai servizi sanitari garantito attraverso il
salario demonetizzato.
Demonetizzare il salario significa che, un operaio, oltre ad una
certa quantità monetaria con la quale pagare l’affitto, fare la spesa,
andare in pizzeria, riceve anche benefit e perquisite, cioè servizi per
perseguire «obiettivi di ottimizzazione fiscale e contributiva, di
fidelizzazione, motivazione e attrazione delle risorse umane e di
costruzione di una solida e duratura corporate identity».
Benvenuti nella nuova ideologia del “premio totale” (total reward):
la salute non è più un interesse collettivo e, meno che, mai un diritto
della persona, ma è un valore di scambio individualmente negoziabile.
Questa volta siamo oltre l’indennità, oltre il litro di latte, oltre il
problema delle pause. Il salario demonetizzato è nel terzo millennio, un
modo per monetizzare la malattia.
Le mutue, nell’ideologia del total reward (si presuppone con un
sistema pubblico minimizzato), retribuiscono così le aspettative di
salute delle persone per cui esse non sono altro che un sistema di
prestazioni ad accesso privilegiato, definite da un nomenclatore.
Presto potremmo assistere alla rinascita del neo-mutualismo aziendale
che segnerà probabilmente il definitivo declino della sanità pubblica o
meglio la sua marginalizzazione. La famosa “seconda gamba”.
Perché?
Perché in questo tempo sta prendendo piede l’applicazione della legge
di stabilità del 2016 il cui decreto attuativo in materia di
detassazione prevede tutte le precondizioni per generalizzare attraverso
i contratti delle vere e proprie mutue sostitutive.
Il punto focale di questa detassazione è sostanzialmente uno: le
aziende previo accordo potranno detrarre il costo delle mutue dal costo
complessivo del lavoro. Cioè per loro il welfare aziendale è
praticamente a costo zero.
Il governo oggi finanzia i datori di lavoro per svuotare l’art 32
della Costituzione, per ridurre a pubblica carità la sanità pubblica,
per distruggere ogni parvenza di universalità e tutto questo in ragione
di una discutibile idea neoliberista di sostenibilità economica. E senza
che nessuno protesti.
La sua strategia sulla sanità è chiara: de-finanziarla per ridurre
l’incidenza della spesa sanitaria in rapporto al Pil, uso del terzo
settore per appaltare parti della sanità al volontariato e alla
sussidiarietà, dare corso ad un nuovo mutualismo usando strumentalmente
la forte domanda di servizi sanitari delle persone, disattesa a causa
dello stato deplorevole in cui versa la sanità pubblica.
Tutto questo: mentre cresce il numero dei cittadini che comprano
direttamente di tasca propria sul mercato prestazioni private altrimenti
definite out of pocket; mentre cresce l’abbandono sociale cioè il
numero di persone che non si possono permettere né la mutua, né
l’assistenza privata e purtroppo (se pensiamo ai ticket) neanche quella
pubblica; mentre la sanità pubblica tra eccellenze e miserabilità perde
colpi falcidiata dai tagli lineari, sempre più diseguale, deludendo suo
malgrado le aspettative sociali delle persone
Tuttavia non me la sento di accusare i metalmeccanici di tradimento
perché non me la sento di condannare chi, oggi, ad una sanità pubblica
decadente, preferisce altre alternative sfruttando i vantaggi della sua
condizione di lavoro. La realtà è quella che è.
In questa regressione salute/mutue c’è qualcosa che rimanda alle
difficoltà e alle incapacità della sinistra e del sindacato a leggere i
cambiamenti e a governarli con un pensiero riformatore all’altezza delle
sfide. Se oggi probabilmente saremo radicalmente controriformati dalle
mutue di ritorno è perché in tutti questi anni anziché ripensare la
sanità nei contesti che cambiavano reinventandola per adeguarla ad
esempio ai problemi dell’economia e a quelli relativi alla nuova domanda
sociale, ci siamo limitati a farne l’apologia, a rivendicare più soldi
senza azzerare le diseconomie riducendo la prevenzione ad uno slogan.
La mia idea di “quarta riforma” contesta radicalmente l’idea
sciagurata di sostenibilità di questo governo, è contraria ad un
mutualismo di ritorno, ma contesta anche la grande invarianza nel
sistema sanitario che in questi anni ha come ossificato l’offerta di
servizi rendendola ancor più inadeguata nei confronti dei nuovi bisogni
delle persone.
Oggi tornano le mutue anche perché il mutualismo, nonostante tre
riforme sanitarie, non è mai morto. Sono anni che il servizio sanitario
nazionale in realtà è una super mutua per cui oggi il dato politico vero
è che la super mutua si sfarina in tante piccole mutue come era mezzo
secolo fa.
Se Bauman dice che la crisi sociale genera nuove forme di solidarietà
contro la precarietà (Stato di crisi 2015) bisogna rispondere che la
mutua dei metalmeccanici dimostra che, la stessa crisi, se non è
governata con un pensiero riformatore (cioè se il mutualismo quale
paradigma resta sostanzialmente invariante), spinge la solidarietà a
riorganizzarsi in forma egoistica e corporativa contrapponendo i deboli
ai forti esattamente come tanto tempo fa.
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domenica 5 marzo 2017
Welfare aziendale. La salute ieri e oggi: la mutua diventa benefit
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