Trans-genico (i vecchi “OGM”), cis-genico, genome editing: le biotecnologie sono in una fase di grande sviluppo e le tecniche si stanno diversificando. Gli OGM restano una tecnologia dalle potenzialità enormi, tuttavia ancora confinata nelle mani di pochi e sottoposta a una legislazione europea poco aggiornata. Partendo da questioni prettamente scientifiche, si discute con Dario Bressanini e Beatrice Mautino, autori del libro “Contro Natura”, del loro potenziale impiego in una società che dovrà affrontare sfide cruciali negli anni a venire e che avrà sempre più bisogno di essere “scientificamente informata”.
micromega di FRANCESCO SUMAN e OLMO VIOLA
Il libro mira a disinnescare alcune controversie legate al dibattito pubblico sugli organismi transgenici o geneticamente modificati (OGM) mostrando come la dicotomia tra “naturale” e “artificiale” sia di fatto arbitraria quando si parla di modifiche genetiche. Gli organismi viventi esistono da più di 3,5 miliardi di anni e durante tutte le ere hanno subito modificazioni genetiche, alcune delle quali rivelatesi utili all’adattamento all’ambiente. Le variazioni genetiche sono state il carburante che ha alimentato il processo evolutivo che ha portato alla formazione della plaga lussureggiante di forme viventi che ci circondano. Homo sapiens, a partire dalla rivoluzione agricola di circa 10000 anni fa, ha iniziato ad addomesticare piante e animali, sottoponendoli a incroci e selezione artificiale, ovvero mischiando il loro materiale genetico in modi che non sarebbero avvenuti “in natura”. Oggi si continua quel processo avendo a disposizione strumenti più sofisticati, ovvero modifiche genetiche che possono essere effettuate con una precisione prima non immaginabile; tuttavia il meccanismo di mutazione indotto è quello con cui l'evoluzione ha sempre avuto a che fare. Il tutto avviene dunque in coerenza con le leggi di natura.
La questione OGM è da tempo uno dei temi più sensibili all’interno del dibattito pubblico: coinvolge problematiche socio-economiche complesse e anche etiche. Per favorire una discussione matura e informata su tali temi è necessario emanciparsi da prospettive ideologiche: il libro di Bressanini e Mautino fornisce in questo senso un ottimo contributo.
Per un'attenta recensione del libro rimandiamo al pezzo di Pietro Greco pubblicato su Scienza in Rete.
La conversazione che riportiamo qui vuole partire dalle tematiche del libro per arrivare anche solo a sfiorare questioni di attualità molto profonde, che riguardano il nostro Paese, la legislazione europea in materia di coltivazione e commercio di OGM, e alcune tra le sfide globali più importanti degli anni a venire, riflettendo sull'importanza di una politica scientificamente informata.
M= Francesco Suman e Olmo Viola per La Mela di Newton
B= Beatrice
D= Dario
M: Partiamo da una notizia fresca fresca, pubblicata su Nature il 14 di aprile scorso (http://www.nature.com/news/gene-edited-crispr-mushroom-escapes-us-regulation-1.19754). Il dipartimento dell'agricoltura statunitense ha deciso che non regolamenterà la coltivazione e il commercio del comune fungo champignon (Agaricus bisporus), modificato con la tecnica di genome editing CRISPR-Cas9: a questo fungo è stato silenziato un gene che controlla l'espressione di un enzima per ritardarne i tempi di deterioramento e quindi farlo apparire più fresco sugli scaffali. Sembrerebbe proprio che si tratti di un organismo geneticamente modificato (OGM), eppure non è considerato tale. Ci spiega brevemente in cosa consiste questa tecnica innovativa?
B: La CRISPR-Cas9 rientra nel gruppo delle tecniche di editing genomico, come, per esempio, le nucleasi a dita di zinco. Queste nuove tecniche permettono di modificare in maniera molto precisa, potremmo dire davvero chirurgica, singole basi di DNA, a differenza dell’ingegneria genetica classica dove si prende un frammento di DNA e lo si inserisce più o meno a caso dentro a un genoma. Sono tecniche che da un punto di vista legale si può dire che non lascino tracce, nel senso che non si riesce a distinguere una pianta modificata con questa tecnica da una pianta mutata spontaneamente in natura e questo pone delle questioni quando si tratta di classificare e regolamentare questo tipo di piante. Negli Stati Uniti hanno un approccio diverso dal nostro, gli champignon sono stati analizzati e dopo aver visto che non presentavano particolari problemi sono stati autorizzati per la coltivazione e il commercio. In Europa la situazione è molto più complicata perché al momento queste nuove tecniche non sono regolamentate, dunque gli organismi ottenuti in seguito a questo tipo di modifiche non si sa come trattarli. Insomma, è una questione complessa. Di sicuro è una tecnologia che ha grandi potenzialità.
M: L'attuale legislazione europea, ormai datata 2001, definisce se un organismo è un OGM in base alla tecnica che è stata impiegata per intervenire sul suo genoma. Nel vostro libro mostrate che da questa logica di classificazione emergono molti paradossi. Ad esempio un organismo mutato per esposizione a radiazioni non è considerato OGM in quanto la mutazione è ritenuta in qualche modo “spontanea”. La CRISPR-Cas9 probabilmente avrà un impiego massiccio nell’industria agroalimentare del futuro: la Dupont Pioneer ha già annunciato che entro il 2021 metterà in commercio del mais prodotto con questa tecniche. La legislazione europea dovrà certamente aggiornarsi su tali questioni. Assieme a altri 18 paesi europei, l'Italia non permette la coltivazione di OGM né la ricerca in campo, ma solo quella in laboratorio. Il ministro delle politiche agricole Maurizio Martina ci tiene a rimarcare la differenza tra importazione (consentita) e coltivazione (non consentita) di OGM. Le resistenze del ministro Martina riguardo alla coltivazione di OGM sembrano essere di natura prettamente economica: la realtà agro-industriale italiana è basata sulla ricchezza della biodiversità di varietà locali e risulta troppo piccola per competere con realtà industriali come USA e Brasile, che puntano sulle monocolture. L’eventuale introduzione della coltivazione di OGM in Italia non rischia di portare a uno stravolgimento di questa realtà agricola?
D: La risposta è no. La posizione di Martina la posso capire da un punto di vista politico, lui deve giustificare in qualche modo una scelta, difendere politicamente certi interessi e non altri, anche commerciali, per questo è comprensibile. Ma di fatto, l’unico OGM autorizzato alla coltivazione in Unione Europea è il mais-Bt: una tipologia che resiste agli insetti. Nella pianura padana il mais è già una monocoltura, per cui coltivare un mais OGM invece che il mais tradizionale da quel punto di vista non farebbe alcuna differenza. Non è che il mais OGM va a intaccare o contaminare le colture di pomodoro biologico. Ma il ragionamento di Martina non sta in piedi neanche da un punto di vista economico, nel senso che la maggior parte del mais coltivato nella pianura padana, che dovrebbe servire anche come mangime animale, negli ultimi anni è stato distrutto e convertito in biodiesel, perché era talmente contaminato da micotossine che non si poteva consumare. Gli agricoltori, anche quelli che producono il made in Italy (ad esempio il parmigiano), dopo aver coltivato il mais ed essersi resi conto che non era neppure utilizzabile come mangime per animali, lo hanno trasformato in biodiesel e hanno comperato dall’estero il mais OGM. Il ministro Martina è ancorato a una politica del “no agli OGM” che è stata adottata qualche anno fa e tornare indietro adesso senza perdere la faccia non è facile. Ma comunque non esiste alcun pericolo per la biodiversità dei prodotti italiani.
M: Eppure un'apertura da parte del ministro Martina sembra esserci stata. Ha promesso che nei prossimi 3 anni verranno finanziate (con 21 Milioni di euro) ricerche in laboratorio con “tecnologie più sostenibili”, come il genome editing o l'approccio cis-genico.
B: Fa bene Martina a voler finanziare la ricerca pubblica italiana, perché la soia e il mais OGM sono prodotti della ricerca privata, soprattutto statunitense. Ma definire una tecnologia più sostenibile di un'altra è una scelta prettamente politica e comunicativa. Dal punto di vista scientifico non ha senso distinguere tra tecniche transgeniche o cisgeniche (come attualmente fa la legislazione europea) o di genome editing[2]… alla fine sempre di piante geneticamente modificate si tratta. Tecnologia sostenibile è soltanto un’altra etichetta, come è un’etichetta OGM, perché di fatto è da circa 10mila anni, dall'inizio della rivoluzione agricola, che modifichiamo il corredo genetico delle piante con incroci e selezione artificiale. Oggi disponiamo di tecniche più precise e veloci per fare ciò che abbiamo sempre fatto. La scelta di Martina di far passare queste nuove tecnologie come qualcosa di più avanzato e di diverso è una scelta politica e una strategia comunicativa apparentemente vincente, nel senso che lo stanno seguendo: Farinetti lo ha seguito, o anticipato. Lo stesso ha fatto Slow Food. Dichiarano apertura verso tali nuove tecniche perché sono viste come qualcosa di diverso dagli OGM. Ormai è comune associare OGM a qualcosa di nefasto, cattivo, diabolico. Per questo cercano di allontanarsi da queste categorie.
D: L’errore comunicativo è stato fatto anche dagli scienziati italiani che hanno fatto la battaglia per gli OGM sul solo mais. Ma questo ha portato al fatto che nell’opinione pubblica e nella politica si sia creata l’equazione OGM = mais o soia = multinazionali. Che non è vero dal punto di vista scientifico, ma una volta che si è instillata quest’idea diviene difficile toglierla. Ben vengano queste aperture del ministro, meglio che rimanere immobili.
M: E con queste nuove tecniche si potrà fare sia ricerca in laboratorio sia ricerca sul campo?
D: La battaglia politica è a Bruxelles. Nel momento in cui si decidesse che gli organismi modificati con queste nuove tecniche non sono OGM, tutta la polemica della ricerca in campo o meno scomparirebbe perché verrebbero equiparate a qualsiasi altra cosa, dunque non vi sarebbe più bisogno di alcuna autorizzazione per uscire dalle serre. Se non verranno considerati OGM chiunque potrà fare ricerca libera in campo senza chiedere autorizzazioni. Nessuno chiede autorizzazioni per fare delle mutagenesi chimiche in laboratorio o per irraggiare con raggi gamma delle piantine e vedere cosa salta fuori. In laboratorio ovviamente servono autorizzazioni per fare esperimenti, e vanno rispettate tutte le norme di sicurezza, però i prodotti finali non devono subire la stessa trafila di controllo lunghissima e costosissima degli OGM. Questo è il punto.
M: Tuttavia, come voi stessi sottolineate nel vostro libro, l'equazione OGM-multinazionali non è così priva di fondamento. In Europa, il lunghissimo iter, fatto di sistemi di controlli, che regolamenta l'immissione degli OGM sul mercato comporta una serie di costi che né i piccoli agricoltori né i singoli laboratori sono in grado di sostenere, si parla di milioni e milioni di euro. Le multinazionali invece possono permetterselo. In questo senso la legislazione attuale sembra di fatto favorire le multinazionali. Quindi, dato che il modello agro-industriale portato avanti dalle multinazionali è quello della monocoltura, è possibile che vengano fatte pressioni affinché si diffondano modelli agro-industriali più simili a quelli statunitensi a danno delle piccole realtà europee?
D: Secondo me no, nel senso che il modello agricolo è molto influenzato dall’ambiente geografico nel quale ti trovi. Poi esistono già zone monopolizzate da certe colture: in Puglia l’ulivo è una monocoltura, con tutte le conseguenze del caso. Il prosecco sta diventando una monocoltura. Non devono arrivare gli OGM per imporre questo modello, è già il modello dell’agricoltura moderna, che comunque resta vincolata all'area geografica. Gli spazi della Pianura Padana non sono quelli degli Stati Uniti. A noi piace pensare che queste tecniche, intese come delle cassette degli attrezzi, possano essere utilizzate di volta in volta per risolvere dei problemi locali. Il tutto deve quindi sintonizzarsi con le caratteristiche locali, che siano le praterie del Mid-West o le valli venete. La tecnologia viene usata per scopi specifici. Non è la tecnologia che guida le grandi scelte agro-industriali. Non dovrebbe essere così.
M: Uno dei messaggi che lanciate nel vostro libro è: riappropriamoci di una tecnologia che è nata pubblica in Europa, ma che poi è stata ripudiata e relegata alle multinazionali.
D: Gli OGM sono nati in Europa, nelle università e finanziati con fondi pubblici. Poi la gestione comunicativa è stata fatta molto male. Come già detto in parte la colpa è anche degli scienziati. Sono poi seguiti errori politici. Ma adesso si spera di superare questa fase e di utilizzare queste nuove tecnologie per risolvere i problemi che ci si pongono dinanzi. Non è che l’agricoltura europea non abbia problemi. Non a caso il ministro Martina sta puntando sulla vite, importante sia culturalmente che economicamente, che ha un impatto notevole sull'utilizzo di anticrittogamici.
B: Il 66% di tutti i pesticidi utilizzati in Europa va alla coltura della vite, che occupa circa il 3% della superficie coltivata.
D: Se io coltivo uva Nebbiolo o uva Glera e voglio renderla resistente ai pesticidi non posso fare degli incroci, perché altrimenti perderei la denominazione. Di incroci ne sono stati fatti e con successo, si son trovate delle uve resistenti ai pesticidi, ma il vino non puoi più chiamarlo Barolo e quindi commercialmente perde valore. Quindi ecco perché l'editing genomico si rivela molto adatto: permette di fare delle modifiche estremamente precise e mirate, senza introdurre DNA di altre specie, mantenendo le caratteristiche originali dell’organismo, che non perde legalmente la denominazione. Questa è l’idea di Martina, e di altri. È un esempio di come una tecnologia possa risolvere problemi adattandosi alla situazione economico-sociale.
M: Bisognerebbe sfatare allora la dicotomia dell’inconciliabilità tra OGM e agricoltura biologica: gli OGM possono essere un modo per arrivare a un’agricoltura priva di trattamenti chimici dannosi?
B: Assolutamente. E possono anche contribuire a una riduzione dell'impatto ambientale dell'agricoltura che rappresenta uno dei problemi più grossi del pianeta e una delle più grandi sfide globali degli anni a venire.
D: Oppure pensare a un’agricoltura integrata, che è il passo successivo.
B: Sì perché anche “biologico” è un'etichetta. L’obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre l’impatto ambientale usando tutti gli strumenti che si hanno a disposizione.
M: Il problema di un’agricoltura sostenibile rappresenta una delle maggiori sfide degli anni a venire. Nel 2050 le proiezioni demografiche ci dicono che saremo in quasi 10 miliardi ad abitare questo pianeta, e già oggi secondo le stime della FAO coltiviamo il 38% delle terre emerse. Il fabbisogno alimentare crescerà e se si vuole evitare ulteriore deforestazione si dovrà puntare su una maggiore resa dei terreni. Si dovrà produrre di più e meglio?
D: Si dovrebbe puntare sul meglio, perché se uno va a guardare cosa succede si evince che molto va perduto, non tanto nei nostri frigoriferi ma molto nei campi. Per esempio nei paesi meno avanzati le colture sono attaccate da parassiti, funghi, insetti; poi mancando una filiera tecnologica di produzione, l'efficienza del raccolto è tutt'altro che ottimale. Per cui tentare di risolvere alcuni problemi diversi in varie zone del mondo usando tutto ciò che si ha a disposizione può servire a sfruttare meglio le terre. E a migliorare anche l'utilizzo di altre risorse scarse come l’acqua. Si dovrà tener conto del cambiamento climatico dovuto al surriscaldamento globale, ma qui lo scenario si fa troppo complesso. Certo si tratta di cambiamenti molto veloci, ed essendo veloci non c'è il tempo per adattare gradualmente le nuove colture, bisogna adattarle velocemente, e le tecnologie servono proprio per venire incontro a queste esigenze.
M: Il rapporto 2013 della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo ha messo in copertina il titolo “Svegliatevi prima che sia troppo tardi: bisogna rendere adesso l’agricoltura davvero sostenibile per proteggere la sicurezza alimentare e far fronte al cambiamento climatico”. Viene sottolineato in particolare il danno che le monocolture possono recare ai terreni, impedendone la buona resa sul lungo termine e ha invitato i governi a sostenere i piccoli agricoltori e le colture locali, anche mettendo a loro disposizione le tecnologie più avanzate. Si tratta di una prospettiva utopica o realizzabile?
B: Un esempio importante viene dal Bangladesh che ha intrapreso un progetto interessante a riguardo. La melanzana è una delle colture principali di quel paese, ma è molto sensibile all’attacco di insetti parassiti obbligando gli agricoltori a somministrare molti trattamenti con insetticidi per salvare il raccolto, fino a 150 all’anno. Questo provoca delle ricadute sanitarie importanti sia per gli abitanti che per l'ambiente. Si tratta di piccoli agricoltori che possiedono 1 o 2 ettari, ma che nell’insieme realizzano una monocoltura, perché arrivano a coltivare solo melanzane su distese molto ampie. La svolta si è verificata quando un centro di ricerca del Bangladesh, assieme ad un’università americana, è riuscita a ottenere, gratuitamente, da Monsanto il gene per la resistenza all’insetto. Quello che hanno prodotto è stata una melanzana Bt (ovvero contenente un gene del batterio Bacillus thuringensis in grado di conferire resistenza ad alcuni parassiti) che cresce senza bisogno di trattamenti con insetticidi (l’insetto muore semplicemente mangiando la foglia). Conseguentemente hanno quasi azzerato il numero di trattamenti. Si tratta di un progetto pilota, volevano capire anche come queste melanzane sarebbero state accettate sui mercati, dai compratori, e a quanto pare riescono a venderle a un prezzo maggiore. Come se si trattasse di un equivalente dei nostri prodotti “biologici”, sono considerate più sane delle altre. Quindi: ne hanno ricavato un vantaggio sanitario, un vantaggio economico (non spendendo per comprare insetticidi) e le vendono a prezzo maggiore. E poi c’è il vantaggio ambientale: meno trattamenti. Cosi come il Bangladesh vi sono tanti altri paesi in via di sviluppo che stanno producendo le loro colture geneticamente modificate per rispondere a problemi ambientali, commerciali, sanitari. Le banane in Uganda sono un altro esempio. Non bisogna pensare che tutto sia monopolizzato dagli Stati Uniti. Esistono anche piccoli paesi che con legislazioni diverse riescono a ottenere vantaggi da queste tecnologie.
D: C’è da dire che se tali Stati fossero stati soggetti a una legislazione simile a quella europea, che impone costi enormi prima di poter commercializzare prodotti o anche solo per fare esperimenti, anche lì si sarebbero arenati.
B: E bisogna sottolineare che non si tratta nemmeno di un approccio di tipo colonialista, del tipo: io vengo e ti do il mio OGM imponendo vari tipi di ricatto. Sono liberi nell’utilizzo. Si potrebbe pensare a uno slogan “biotecnologie al popolo”.
M: Si tratta dell’idea della scienza di condividere le scoperte e renderle accessibili a chiunque abbia bisogno di usufruirne. Anche se i brevetti, che proprio le multinazionali spesso impongono, in questo senso non sempre coincidono con l'idea di una scienza libera che dispensa liberamente i suoi prodotti a tutti. Un’ultima domanda: il ruolo sociale dello scienziato. Quelle di cui abbiamo discusso sono problematiche estremamente complesse che si intrecciano alle sfide globali degli anni a venire. Lo scienziato ha competenze specifiche per affrontare certe questioni, ma fino a che punto può o dovrebbe esporsi a trattare temi più politici, che magari riguardano anche temi di sviluppo economico?
D: Gli scienziati sono ovviamente cittadini, come tutti. Credo che non sia giusto attribuire allo scienziato, quando parla di temi economici-politici-sociali, una saggezza superiore a quella di altri, perché non fa altro che esprimere un'opinione al di fuori del suo campo di competenza specifico. Tuttavia sento delle volte addirittura un vento contrario: tu scienziato non puoi parlare di questi temi; il che secondo me è altrettanto sbagliato. Perché lo scienziato può capire qual è il mezzo tecnico per tentare di risolvere un eventuale problema, che inevitabilmente coinvolgerà aspetti economici, politici e sociali. Ma non si può prescindere da alcuni aspetti puramente tecnici. Ciò che serve è un dialogo e una sinergia tra persone e competenze diverse. Un bell'esempio è rappresentato proprio dalla scoperta della CRISPR-Cas9 da parte di Jennifer Doudna, all'università di Berkeley. Lei ha visto le possibili implicazioni di utilizzo non solo sulle piante, ma anche sugli embrioni, per curare varie malattie. E quindi non si è posta in una posizione di superiorità, non ha preteso di spiegare a tutti che utilizzo farne. Ha compreso da subito che quella scoperta avrebbe avuto un largo utilizzo, con grandi conseguenze sulla società. Quindi sta cercando di far parlare di questi temi per alimentare e indirizzare una discussione.
B: Mettendo insieme figure professionali diverse.
D: Gli scienziati hanno una certa responsabilità: talvolta riescono a vedere prima di altri quando si ha a che fare con qualcosa di importante. Successe all’epoca proprio con gli OGM. Oppure si pensi agli scienziati che lavorano con i virus ingegnerizzati. Lo scienziato ha il vantaggio di poter affrontare prima di altri certe questioni che si possono rilevare cruciali per la società. La ricerca è questo: pone le basi per il cambiamento e l’innovazione del domani. Ma non si deve mai imporre in modo autoritario: questa scoperta è mia, la gestisco io. Con gli OGM è stato fatto un po' questo errore quando si è andato dicendo che avrebbero risolto il problema della fame nel mondo. No, chiaramente il problema è molto più complesso. Tuttavia gli scienziati hanno il dovere di rimanere coinvolti in queste questioni, se non altro perché altrimenti si rischia di abdicare e lasciare il campo a chi invece delle questioni prettamente tecniche non sa nulla, e allora può proliferare qualsiasi tipo di posizione, anche non basata sui fatti, pseudoscientifica, senza evidenze.
B: Per andare nel concreto: gli scienziati consulenti della politica servirebbero, ma non possono sostituirsi ai politici creando una fantomatica tecnocrazia. La politica deve ascoltare gli scienziati, così come deve ascoltare gli altri attori della gestione della cosa pubblica.
NOTA
[1] http://www.rizzoli.eu/libri/le-paure-nel-piatto/
GLOSSARIO:
Transgenesi: tecnica di ingegneria genetica che introduce nell'ospite una sequenza di DNA (gene) proveniente da un organismo appartenente a una specie che solitamente non si incrocia con l'ospite.
Cisgenesi: tecnica di ingegneria genetica che introduce nell'ospite una sequenza di DNA (gene) proveniente da un organismo appartenente a una specie che in natura può incrociarsi con l'ospite.
Genome editing: tecnica di ingegneria genetica che permette di modificare direttamente il genoma di un organismo con estrema precisione, inserendo, cancellando o modificando singole basi di DNA o intere sequenze grazie all'utilizzo di “forbici molecolari”, di cui CRISPR-Cas 9 è un esempio.
(5 giugno 2016)
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