L’agronomo Rino Borriello, spiega come i modelli di allevamento etico,non guardino soltanto alla produttività aziendale ma, inseriti in programmi di sviluppo territoriale, contribuiscano alla valorizzazione d’uso delle terre marginali, del paesaggio rurale e dell’offerta turistica del Territorio.
econote.itSulla scia delle impellenze poste dalla Questione Ambientale, un numero sempre più alto di consumatori fa convergere le proprie preferenze di acquisto, su prodotti alimentari certificati come Biologici, sperando così di contribuire fattivamente al riequilibrio degli ecosistemi e, nel contempo, per esser certi di approvvigionarsi di cibi più genuini, anche se leggermente più costosi.
Il mercato del Biologico è quindi in crescita e la sua diffusione incoraggia le speranze degli operatori del settore e quelle di tutti gli ambientalisti. Se a tutto questo aggiungiamo anche le istanze etiche nei confronti delle produzioni zootecniche, notiamo che una quota (per ora ancora di nicchia, ma senz’altro non trascurabile) di consumatori, propende o per un’alimentazione vegana (o vegetariana in senso lato) o per carni ottenute con sistemi di allevamento etico, cioè rispettoso della vita degli animali e più attento alle modalità incruente della loro macellazione.
Da anni siamo informati sulle pessime condizioni di vita in cui versano gli animali allevati con sistemi da lager,dai quali non viene risparmiata alcuna specie allevata, dalle galline ovaiole ai maiali da ingrasso, dalle vacche alle pecore, senza trascurare le specie ittiche di allevamento.
I sistemi di allevamento intensivo, irrispettosi delle più elementari esigenze degli animali e dei loro diritti, sono basati sull’ottimizzazione dei fattori di produzione che, riducendo l’animale stesso al ruolo di macchina produttiva, lo privano del rispetto ontologico richiesto dalla sua qualità di essere senziente, capace di spiccata sensibilità, destinatario di un ruolo ecologico ben preciso, che l’uomo oltraggia con il mantenerli in vita nelle forme più abiette di reclusione e con metodi impietosi di macellazione.
Da agronomo so bene che le ragioni della produzione non possono indulgere a sentimentalismi di sorta e che il tornaconto dell’allevatore sarà tanto più alto, quanto più i sistemi di allevamento adottatisi avvicineranno ai criteri di massimizzazione del profitto.Tuttavia non è detto che questi criteri debbano restare immutabili e riguardare solo lo sfruttamento dei fattori della produzione e la loro organizzazione all’interno delle aziende e non si possa anche perseguirli attraverso politiche aziendali volte a ritrarre reddito da altre componenti aggiuntive provenienti dalla valorizzazione del territorio, qualora si passi dal sistema intensivo a quello etico. Non si tratta tanto di scommettere sugli esiti di modalità diversificate di produzione, quanto di operare scelte sui modelli previsionali già offerti del mercato dei beni e dei servizi territoriali.
Ed è proprio su quest’ultimo concetto che intenderei incrementare le fila di quanti propongono i modelli di allevamento etico, che non guardino più soltanto al prodotto ordinario dell’azienda (carni, uova, pellame, ecc.), ma che puntino a raggiungere i risultati ottenibili con la gestione agro-ecologica dei loro processi produttivi, inserendoli in programmi di sviluppo territoriale per i quali l’azienda zootecnica può contribuire alla valorizzazione del territorio stesso, del paesaggio rurale, dell’offerta turistica.
Non si tratta di ignorare la complessità e le ragioni dell’organizzazione delle grandi aziende zootecniche, né di illudersi con facili generalizzazioni, che i grandi allevamenti intensivi possano convertirsi, dall’oggi al domani, in aziende etiche con la “liberazione degli animali detenuti”.
Si tratta invece di proporre un modello innovativo di produzione zootecnica, graduale nei suoi passaggi, ma che, forte dei dati riferiti al calo nei consumi dei prodotti degli allevamenti,tracci linee prospettiche su nuove fonti di profitto congiunto, sempre incentrate sull’allevamento degli animali, ma inquadrate questa volta sulla gestione a basso impatto ambientale dei processi produttivi, sul benessere animale e umano, sull’esaltazione delle possibilità che ha un allevamento zootecnico di diventare fattore attrattivo per il turismo ambientale, statisticamente in crescita, favorendo così la ripresa di territori svantaggiati e delle aree interne.
Gli allevamenti etico-estensivi hanno infatti il grande vantaggio di poter svolgere un ruolo positivo nei confronti della valorizzazione di terre marginali, caratterizzate da terreni agricoli con fertilità medio-bassa, quindi con un basso costo d’uso, e rappresentano un’ottima alternativa alle coltivazioni a basso reddito, all’abbandono delle attività agricole o al set-aside, imposto per anni dalla Unione Europea.
Sistemi di allevamento quindi, che si basino sull’ottica di un pensiero sistemico, che non rinunci all’incremento del profitto aziendale, ma che leghi quest’ultimo anche allo sviluppo di tutte le componenti del Territorio e che riscopra l’armonia tra uomo, animali ed ambiente.
Pensare in modo sistemico vuol dire pensare che nessun attore delle interazioni uomo-animale-pianta, debba prevalere, per importanza sulle altre, e basarsi sull’assunto che l’agro-ecosistema ha l’intrinseca possibilità di raggiunge un proprio equilibrio naturale, specifico di quei luoghi e di quel clima, scevro dalle ingenti esigenze in termini di approvvigionamento energetico, proprie degli allevamenti intensivi.
D’altra parte, sappiamo bene che quanto più un sistema è vicino all’equilibrio, minore sarà l’energia esogena richiesta per sostenerlo.
Oggi giorno gli allevamenti intensivi risultano sempre meno sostenibili sotto il profilo della loro impronta ecologica.Basti pensare che circa il 20% della produzione di gas serra è dovuto alla zootecnia intensiva e che, col sistema intensivo di allevamento, per ottenere un litro di latte occorrono ben 1000 litri di acqua così come per ottenere un chilo di carne ne occorrono 15.000: uno spreco di risorse che non possiamo più permetterci!Francamente, e prima ancora di richiamarmi alle giuste istanze ecologiche ed etiche, mi viene da pensare che con questi consumi energetici, i sistemi intensivi di produzione, vivono oggi la loro stagione finale.
Invece, il modello di allevamento etico, utilizza soprattutto l’energia rinnovabile presente nell’ambiente naturale, senza che questa subisca pressioni tali da depotenziarla.
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