Il Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, ha approvato pochi giorni fa un decreto legge, il decimo della serie, finalizzato a intervenire sul procedimento di gara per la vendita o l’affitto del Gruppo Ilva, manovra avviata nel gennaio scorso. Si prolunga, quindi, fino al 30 giugno la scadenza per la presentazione delle offerte vincolanti per la cessione.
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Secondo il comunicato stampa del Governo, quindi, si tratterebbe di norme tecniche che mettono al centro della questione la preoccupazione ambientale e che vogliono perfezionare il percorso già intrapreso “al fine di assicurare la necessaria centralità alla valutazione del Piano Ambientale collegato alle offerte degli interessati”.
In realtà il decreto prevede che, al momento del deposito delle offerte da parte degli interessati, le proposte di modifica del piano ambientale avanzate dagli stessi possano non solo essere prese in considerazione ma addirittura vagliate preliminarmente ad ogni altra componente dell’offerta.
Ovvero, fatto passare come misura finalizzata a dare centralità alla questione sanitaria ed ambientale, in realtà il decreto è stato richiesto espressamente dai partecipanti al bando di gara per l’acquisto dell’Ilva al fine di poter meglio disporre delle regole ambientali e di non esserne vincolati.
Un menu à la carte. Un banco di scambio tra Governo e offerenti: ti abbono la prescrizione sui parchi minerali, tu quanto offri in cambio? Beh, se mi allunghi i tempi di messa a norma, anche della norma sul controllo delle emissioni di diossina e sulla copertura del GRF (gestione rottami ferrosi) ti compro tutta la baracca. Triste, ma reale.
Nella sostanza il decreto introduce una forma di “contrattazione” delle prescrizioni ambientali tra privato ed istituzione pubblica, in barba al rispetto di ogni regola nazionale ed europea.
Il decreto fa anche riferimento alla verifica di congruità dell’offerta economica da parte di un perito indipendente, misura che in realtà apre la strada alla possibilità di accettare offerte anche inferiori alla valutazione del perito, lasciando allo stesso il compito di confermarne la conformità rispetto all’andamento del mercato. Di che mettersi le mani nei capelli.
Le chiavi del futuro di Taranto, quindi, vengono date in mano ai gruppi industriali, che potranno disporre della salute di centinaia di migliaia di persone e del loro futuro in toto.
L’articolo 32 della Costituzione recita:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
Articolo cancellato da questo decreto, che invalida il diritto dei cittadini a difendersi da un trattamento ingiusto ed anti-costituzionale. Pur di vendere si è pronti a sacrificare tutto.
Pochi giorni fa il Gruppo Arcelor-Mittal ha dichiarato che ci vorranno due o tre anni per riportare l’Ilva al punto di pareggio economico della gestione, ma che sono convinti di poterci riuscire. L’azienda, però, aggiungono, va risanata e riposizionata, al fine di trasformare l’acciaio che produce da commodity a prodotto con più valore aggiunto.
La cordata di Arcelor (che deterrebbe l’85%) verrebbe realizzata con il Gruppo Marcegaglia (al 15%) e con la Cassa Depositi e Prestiti, che entrerebbe con una partecipazione di minoranza. Peacelink ha organizzato una campagna di boicottaggio e di disinvestimento dalla Cassa e Prestiti perché lo statuto della CdP non consentirebbe un’operazione di questo genere, dato che il denaro gestito da Cdp proviene dai risparmiatori postali e dovrebbe rispondere ai criteri sociali che escludono l’investimento in aziende in perdita, come appunto l’Ilva.
Nei giorni scorsi, Cdp ha incontrato anche i rappresentanti dell'italiana Arvedi e dell'azienda Erdemir, principale gruppo siderurgico turco, interessate anch’esse al Gruppo Ilva.
Ma come farà Arcelor-Mittal, qualora l’iniziativa della cordata andasse a buon fine, a mettere in pareggio i conti dell’Ilva se essa stessa ha dovuto richiedere di recente un aumento di capitale per le gravi condizioni in cui versa? Il bilancio di Arcelor-Mittal è in perdita: ha chiuso il 2015 con una perdita di 7,9 miliardi di dollari. Ilva perde circa 2,5 milioni di euro al giorno. Un’accoppiata vincente.
Secondo le dichiarazioni del proprio portavoce, dovendo adattare il livello occupazionale ai livelli produttivi, l’attività di Taranto dovrà essere rivista sulla base di parametri utilizzati anche dalle altre aziende europee del settore, il che lascia pensare che si possa concretizzare il rischio di migliaia di licenziamenti.
Inoltre, il Governo è fortemente preoccupato dal problema di liquidità dell’Ilva e dalla ormai conclamata incapacità di fronteggiare, nei prossimi mesi, i diversi pagamenti previsti. Da gennaio scorso ad oggi, infatti, si è potuto contare, per la gestione corrente, su un prestito di 300 milioni dello Stato, attualmente oggetto di investigazione approfondita da parte della Commissione Europea Concorrenza in quanto misura di aiuti di Stato.
I 300 milioni non basteranno più a coprire i prossimi mesi, quando l’Ilva resterà ancora affidata ai commissari: non sono in ballo solo gli stipendi ma il pagamento di numerosi servizi relativi ai mesi precedenti l’amministrazione straordinaria (gennaio 2015). Sembrerebbe inoltre che i creditori si siano iscritti nello stato passivo dell’Ilva con le imprese di Taranto attraverso una società consortile chiamata «Indotto Ilva»: il fine è quello di trasformare i loro crediti in capitale della nuova azienda.
Appare incomprensibile come a fronte di una situazione di tale gravità il Governo opti ancora per una soluzione che condannerà ulteriormente la città e lo stabilimento stesso, affidando ad un gruppo in gravi difficoltà finanziare come Arcelor il salvataggio di un’azienda ormai finita come Ilva.
Sarebbe il momento del coraggio. Sarebbe il momento di fare un uso sociale della Cassa Depositi e Prestiti, per la creazione di un fondo per i lavoratori dell’Ilva e per l’avvio di attività economiche alternative che possano impiegarli durevolmente per i prossimi decenni.
E’ il momento di chiamare a raccolta tutte le risorse disponibili, nazionali e soprattutto comunitarie, per dare avvio ad un poderoso progetto di riconversione e di bonifica, per la creazione di un ambizioso piano di interventi che porti Taranto fuori dall’inevitabile baratro verso il quale la si sta accompagnando.
E’ arrivato il momento di mettere in campo il Piano B.
(La nostra proposta a breve sulle pagine di Micromega).
(7 giugno 2016)
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