Passa
necessariamente attraverso il recupero di un senso della storia la
ricostruzione di un pensiero politico rivolto verso un’ipotesi di futuro
da progettare nell’ascesa di principi – guida capaci di accompagnare il
cammino dell’umanità nel senso rivoluzionario della fuoriuscita dallo
sfruttamento e nella visione dell’uguaglianza.
Una missione impossibile? Forse, ma l’utopia rimane il solo orizzonte possibile per non ridurci a spettatori delle nostre vite.
Attraversiamo una fase nella quale paiono prevalere tecnologia ed economia legate assieme esclusivamente dalla ricerca di scopi pratico – utilitaristici.
Il potere è così esercitato da élite capaci soltanto di misurarsi con il presente e di utilizzare la capacità dell’apparire attraverso i mezzi della comunicazione entrati ormai a far parte della struttura stessa della produzione economica e, di conseguenza, sociale.
Tutto ciò si brucia e si consuma nell’attimo in cui si realizza e si acquisisce, allontanando il pensiero dalla possibilità di svilupparsi almeno oltre l’ombra del suo stesso presentarsi.
E’ l’abbandono del divenire e non si presentano elementi di riflessione adeguati attorno ai grandi fenomeni della cosiddetta modernità: intrecciati all’eterna logica dello sfruttamento si situano le grandi migrazioni di massa, la distruzione dell’ambiente naturale, il modificarsi nelle relazioni di genere, la difformità – sul piano planetario – del presentarsi della questione demografica.
Emerge un relativismo di tipo nuovo che non soltanto si oppone al trascendente, ma riduce tutti gli atti umani al contingente dell’oggi celebrando l’esercizio della sopraffazione da parte di gruppi ristretti che esercitano semplicemente un dominio sugli altri incontrollato nel tempo e nello spazio.
Il richiamo a una nuova schiavitù.
Non si tratta però, per contrastare questo stato di cose, di ricorrere a prospettive di carattere metafisico, ma di recuperare il concreto del confronto con le contraddizioni reali che agiscono e pesano sulla condizione umana.
Un senso della storia, nell’insieme delle complessità che ne accompagnano il cammino cercando di indicare il male profondo che ne pervade lo sviluppo.
Un male profondo, un’ingiustizia dolorosa e permanente, che non può essere evocato soltanto per esorcizzarlo attraverso l’indicazione di un “bene” ipotetico e unilaterale, di parte, nell’apparente impossibilità di una moderna teodicea e di una nuova “filosofia della Liberazione”.
Il XXI secolo rispetto al XX pare aver abbandonato la lezione riguardante la necessità di indicare un futuro diverso a quello costruito sull’identità del male che ci attraversa: il male della diseguaglianza, il male dell’abbandono dell’idea della storia come percorso del riscatto sociale.
E’ sicuro che il cammino della storia non può evitare di segnare contraddizioni, rivolgimenti, arresti: un fiume che reca con sé detriti che ne deviano il corso.
E’ tragicamente sbagliato nel tentare di analizzare il presente dimenticarsi di ricordare le tracce del passato.
Eppure è a quel fiume che dobbiamo affidarci : lo sbocco non sarà mai quello di un mare tranquillamente disteso nella serenità dell’oblio.
Sempre ci sarà la fatica della rincorsa e della ricerca: quella della visione di un’utopia da ricercare, di una “Città del Sole” da ritrovare nel nostro immaginario collettivo.
E’ questo che ci manca, oggi, nella tragedia del divenire quotidiano.
Le colossali disparità che ci attorniano, la guerra intesa quale eterno fattore dell’arretramento storico, le ingiustizie che feriscono la nostra fragile coscienza debbono farci riflettere. Si tratta di notare con grande crudezza la scoperta di una ferita ancora eternamente aperta.
Forse la volontà può nascere e/o ri-nascere dalla lettura di una realtà che induca a un realistico pessimismo.
Attraversiamo una fase nella quale paiono prevalere tecnologia ed economia legate assieme esclusivamente dalla ricerca di scopi pratico – utilitaristici.
Il potere è così esercitato da élite capaci soltanto di misurarsi con il presente e di utilizzare la capacità dell’apparire attraverso i mezzi della comunicazione entrati ormai a far parte della struttura stessa della produzione economica e, di conseguenza, sociale.
Tutto ciò si brucia e si consuma nell’attimo in cui si realizza e si acquisisce, allontanando il pensiero dalla possibilità di svilupparsi almeno oltre l’ombra del suo stesso presentarsi.
E’ l’abbandono del divenire e non si presentano elementi di riflessione adeguati attorno ai grandi fenomeni della cosiddetta modernità: intrecciati all’eterna logica dello sfruttamento si situano le grandi migrazioni di massa, la distruzione dell’ambiente naturale, il modificarsi nelle relazioni di genere, la difformità – sul piano planetario – del presentarsi della questione demografica.
Emerge un relativismo di tipo nuovo che non soltanto si oppone al trascendente, ma riduce tutti gli atti umani al contingente dell’oggi celebrando l’esercizio della sopraffazione da parte di gruppi ristretti che esercitano semplicemente un dominio sugli altri incontrollato nel tempo e nello spazio.
Il richiamo a una nuova schiavitù.
Non si tratta però, per contrastare questo stato di cose, di ricorrere a prospettive di carattere metafisico, ma di recuperare il concreto del confronto con le contraddizioni reali che agiscono e pesano sulla condizione umana.
Un senso della storia, nell’insieme delle complessità che ne accompagnano il cammino cercando di indicare il male profondo che ne pervade lo sviluppo.
Un male profondo, un’ingiustizia dolorosa e permanente, che non può essere evocato soltanto per esorcizzarlo attraverso l’indicazione di un “bene” ipotetico e unilaterale, di parte, nell’apparente impossibilità di una moderna teodicea e di una nuova “filosofia della Liberazione”.
Il XXI secolo rispetto al XX pare aver abbandonato la lezione riguardante la necessità di indicare un futuro diverso a quello costruito sull’identità del male che ci attraversa: il male della diseguaglianza, il male dell’abbandono dell’idea della storia come percorso del riscatto sociale.
E’ sicuro che il cammino della storia non può evitare di segnare contraddizioni, rivolgimenti, arresti: un fiume che reca con sé detriti che ne deviano il corso.
E’ tragicamente sbagliato nel tentare di analizzare il presente dimenticarsi di ricordare le tracce del passato.
Eppure è a quel fiume che dobbiamo affidarci : lo sbocco non sarà mai quello di un mare tranquillamente disteso nella serenità dell’oblio.
Sempre ci sarà la fatica della rincorsa e della ricerca: quella della visione di un’utopia da ricercare, di una “Città del Sole” da ritrovare nel nostro immaginario collettivo.
E’ questo che ci manca, oggi, nella tragedia del divenire quotidiano.
Le colossali disparità che ci attorniano, la guerra intesa quale eterno fattore dell’arretramento storico, le ingiustizie che feriscono la nostra fragile coscienza debbono farci riflettere. Si tratta di notare con grande crudezza la scoperta di una ferita ancora eternamente aperta.
Forse la volontà può nascere e/o ri-nascere dalla lettura di una realtà che induca a un realistico pessimismo.
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