giovedì 20 marzo 2014

Lazio. Acqua regionale all'arsenico, indagini sulle responsabilità di Regione e Comune.

Potrebbe arrivare alle strutture amministrative e su, fino agli assessorati competenti di Regione e Comune, la nuova ipotesi di reato su cui lavora la procura di Roma nell'indagine sull'acqua regionale all’arsenico.

ilmessaggero.it Michela Allegri e Sara Menafra
Perché la nuova ipotesi di reato sulla quale lavorano gli investigatori è “omissione di atti di ufficio”, commessa da chi, avendo ricevuto l'allarme sulle condizioni della zona a nord di Roma rifornita dall'Arsial ha fatto poco, e in ritardo, per tutelare la salute dei cittadini. Nei giorni scorsi, nel conferire ai Nas di Roma la delega di indagine, il procuratore aggiunto Roberto Cucchiari e la pm Maria Letizia Golfieri hanno deciso di iscrivere sul registro degli indagati la nuova ipotesi di reato accanto a quella di avvelenamento di acque. Per i momento, non ci sono indagati. Il ragionamento che fa la procura, però, è molto chiaro e segue il filo della delega di indagine consegnata al capitano Dario Platurlon che coordina il Nas di Roma. Come è noto il punto di partenza dell'indagine è l'effettivo avvelenamento dell'acqua nei quartieri di Santa Maria di Galeria, Piansaccoccia, Malborghetto e Brandosa.


BATTERI
La prima domanda è quanto sia effettivamente avvelenata l'acqua e se lo sia a causa della presenza di arsenico, se invece la causa sia la presenza di batteri rilevata dalla Asl Roma C o entrambe le cose. Il secondo punto riguarda gli accertamenti fatti dalla Asl Roma C: c'era un allarme specifico o sono stati fatti nel corso di controlli periodici già preventivati? Quale protocollo di sicurezza è stato seguito? Infine, ed è da qui che parte l'indagine per omissione di atti d'ufficio, la procura di Roma vuole sapere a chi è stato mandato l'allarme della Asl Roma C.

Già a giugno 2013, la Asl Roma C aveva scritto al dirigente della direzione Opere igienico sanitarie del Comune e all’Arsial per chiedere «un provvedimento di ordinanza per gli acquedotti rurali» dato che i valori batteriologici riscontrati dalle ultime analisi erano illegali. Eppure per otto mesi nulla sembra essersi mosso. Né nella struttura comunale che ha ricevuto per prima la relazione, né nella Regione Lazio che a sua volta è titolare della società di distribuzione Arsial.

RESPONSABILITÀ
Se davvero, come sembra, tutto questo periodo di tempo è passato senza che nessuno desse l'allarme ai residenti, proprio l'ipotesi di omissione d'atti d'ufficio potrebbe portare all'iscrizione dei dirigenti competenti in Comune come in Regione. In questi giorni, è partita l'acquisizione di tutti i documenti legati alla vicenda.
Ieri, l'associazione Codici ha presentato in Procura una nuova denuncia in cui punta il dito anche sul comportamento di Arsial e Asl Roma C, che avrebbero dovuto organizzare per tempo i controlli. Nell'esposto si specificano i rischi per la salute dei residenti delle zone interessate: «La pericolosità sarebbe legata a vari fattori, primo tra essi la presenza di arsenico nelle falde acquifere, la quale potrebbe comportare alterazioni gastrointestinali, cardiovascolari, ematologiche, polmonari, neurologiche, immunologiche e modificazioni delle funzioni riproduttive e dello sviluppo. Non solo, anche iperpigmentazione, vasculopatie degli arti, ipertensione con incremento morti per malattie cardiache, diabete fino nel peggiore delle ipotesi a provocare tumori al rene, alla pelle, del fegato e ai polmoni».

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