domenica 13 ottobre 2013

"Uccidi il razzista che è in te. Per cambiare ci vuole più coraggio".Intervista ad Ascanio Celestini

     Fabio Sebastiani - Isabella Borghese


Ascanio Celestini ha debuttato pochi giorni fa a Roma (fino al 20 ottobre) con il suo nuovo lavoro "Discorsi alla nazione. Uno spettacolo presidenziale". Con la sua inossidabile ironia corrosiva Celestini mette a nudo le assurdità di un'epoca che, nonostante faccia di tutto per "farsi acclamare" attraverso i tiranni vecchi e nuovi, democratici e meno, va inesorabilmente verso il fallimento. Controlacrisi lo ha intervistato

Nel tuo spettacolo c'è un piccolo spot a favore della manifestazione del 12 ottobre...
Figuriamoci. Condivido. Sono stato chiamato all’inizio dai promotori. E sono tra i primi firmatari dell’appello. Detto questo, condivido l’idea di prendere posizioni molto moderate e quindi anche molto generali sull’attuazione della Costituzione, ma si rischia di fare un passo indietro piuttosto che un passo in avanti. Sicuramente, sarà una cosa buona, però credo sia molto interessante prendere posizioni che non siano condivise. Ci saranno molte manifestazioni in quella settimana. Abbiamo perso terreno perché intanto c’è stata una destra che ha preso delle posizioni che sembravano fuori dal mondo. Invece è evidente che molte perosne si sono sentite rafforzate da quella visione razzista e violenta. Insomma, ci vuole più coraggio per cambiare realmente le cose in questo paese.
Il primo spettacolo contro i governati piuttosto che contro i governanti.
Trovo assolutamente pericolosa e anche molto populista e perfino fascista secondo quale la calsse dirigente sia la parte sporca della società mentre c’è una parte pulita che è quella dei cittadini. Se vediamo le società messa una accanto all’altra, un paese ricco e un paese del terzo mondo; quelli che non arrivano alla fine del mese rispetto a quelli che si fanno venti chilometri a piedi per riempire unbidone di acqua, figuarano come schiavisti perché comprano scarpe fatta dai bambini sfruttati e pagati un dollaro. I cattivi sono sempre gli altri. Mi sembra interessante capire come singolarmente ci relazioniamo al resto della società e pian piano riusciamo a prendere posizioni nette.
Insomma, una bella critica contro la retorica moderna...
Mi chiedo spesso cosa voglia dire crescita. Che vuol dire, che un paese cresce e gil altri vanno sempre peggio? Se questa è la crescita non sono per niente d’accordo.
Il pugno nello stomaco che dai al pubblico è per provocare una presa di coscienza?
Parlo anche di me. Non vivo su un albero. Quello che indico negli altri lo indico anche rispetto alla mia condizione. Dico che bisogna prendere coscienza del fatto che viviamo dentro una bolla in cui noi siamo i buoni e gli altri più cattivi di noi. Questo è un modello di società che pinge alla reazione violenta verso gli altri. E questo è possibile se l’altro è più debole.
Nello spettacolo componi una idea del potere con molte facce
Il potere sta nelle relazioni. Basaglia parlando di manicomio parla di campo di concentramento e di caserma, e di famiglia. In tutte c’è l’elemento ricorrente di qualcuno ha il potere e un altro no. Tutti viviamo relazioni di potere e la maggior parte sta dalla parte del manico.
Citi moltissimo Gramsci
All’inizio quel passaggio lo feci per la televisione ed era in positivo. Poi mi sono reso conto che poteva suonare come una cosa populista. Il contadino non farebbe mai il ministro dell’agricoltura, così come Patrizia Moretti fa benissimo quello che fa e non deve diventare il ministro della Giustizia,come dico nello spettacolo. Però ho pensato che funzionava proprio perché era populista. E qualcuno ci crede. Il fascista che parla di Gramsci ma rovescia il discorso a suo favore perché utilizza un Gramsci populista che non esiste.
Nel tuo spettacolo non c’è un personaggio positivo che esprime la tesi principale.
Non trovo interessanti personaggi positivi. Anche perché lo spettatore molto facilmente prova empatia per un personaggio positivo. E questo lo scagiona e lo libera lo rassicura. La lettreratura deve essere un modo per smuovere conflitti. Non per provocare, ma per smuovere i conflitti che viviamo. Noi siamo razzisti. Poi, fortunatamente, alcuni di noi riescono a gestire i peggiori pregiudizi che fanno parte della nostra formazione culturale. E’ nello smuovere i conflitti che succede qualcosa. Nella pacificazione non succede nulla.
Che futuro ha una società pacificata.
Siamo passati da un’idea della memoria nostalgica, quella che il passato era sempre meglio del presente, a una memoria consolatoria “ricordiamo gli ebrei morti e noi non siamo più quelle bestie infami”. Quella consolatoria è terrificante perché non solo usa il passato come un mito ma viene attualizzato in maniera strumentale e violenta. La memoria è individuale e non collettiva. Semmai possiamo avere delle relazioni nell’ambito collettivo. E’ lì che c’è lo sforzo nel fare politica. Ma anche qui i compromessi pesano. Per questo dico che la letteratura deve far funzionare i meccanismi del conflitto perché altrimenti pensiamo di essere tutti d’accordo e invece nonè così. E’ una cosa disumana.

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