A tutti è capitato di perdere gli occhiali da sole, le chiavi di casa,
persino il telefono. Ma di perdere una generazione non era fin qui
successo a nessuno, e nemmeno di ammetterlo come ha fatto Mario Monti
parlando espressamente di «generazione perduta».
ALESSANDRO ROBECCHI
I trenta-quarantenni
(e quindi ben più di una generazione, almeno due) sarebbero perduti
forever. Più o meno una decina di milioni di persone, il cui essere
«perdute» significa lavorare una vita senza garanzie, saltare da un
contrattino all'altro, e raggiungere alla fine una pensione da fame che
farà sembrare l'attuale «minima» uno strabiliante privilegio.
Perdutii! Qualche milioncino di italiani, forse gli stessi a cui si
continua a ripetere che vivono «al di sopra delle loro possibilità», che
è come curare il colera somministrando cozze avariate. Ma chi è stato
così distratto? Chi si è lasciato alle spalle dieci milioni di senza
speranza come nelle barzellette degli anni Sessanta si dimenticava la
suocera all'Autogrill? Forse proprio i professori addetti alla
formazione di quella generazione e che oggi così abilmente governano?
Quelli che dicevano ci vuole la laurea, no, il master, no, lo stage, e
che oggi dicono: ragazzo mio, era meglio se facevi il fabbro? Quelli
che da vent'anni in qua pontificano che bisogna essere più flessibili,
partendo dal signor Treu e arrivando a madama Fornero? Ecco, il succo è
questo. Però non sfugga il paradosso: a dire a una generazione intera
«siete perduti» non è qualche focoso arruffapopolo, qualche
rivoluzionario, qualche vivace movimento, ma uno degli smemorati che ha
contribuito a perderla, forse in questo momento il più autorevole. Un
po' come se lo zar si affacciasse al balcone e dicesse: «Ehi gente, che
aspettate a prendere 'sto palazzo?». E magari arrivasse persino a
citare il caro vecchio «modello tedesco»: «Avete da perdere soltanto le
vostre catene». Può farlo? Si può farlo senza rischi, con la
consapevolezza che un'intera generazione perduta, spaventata e
opportunamente deideologizzata risponda cordiale: «Beh, abbiamo delle
catene... meglio che niente, no?».
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