A volte, per decostruire un discorso ideologico basta un dizionario.
Sovranità
popolare: “principio, caratteristico degli stati democratici, secondo
cui la fonte e la giustificazione della potestà politica risiedono nel
popolo (inteso come l’insieme di tutti i cittadini senza distinzione di
sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche), il quale la
esercita nelle forme e nei limiti della costituzione dello stato”(1)
Invece,
per i giornalisti, specie quelli di “sinistra”, sovranità fa rima con
razzismo, nazionalismo, difesa dei confini e rossobrunismo. Come se non
esistesse nessuno che esercita il diritto sovrano di decidere. Come se
non fosse importante capire chi lo può esercitare quel diritto e chi no.
(2)
Quando
i cittadini della Valsusa lottano contro il TAV, altro non fanno che
difendere il diritto a decidere sul loro territorio. Forse non proprio a
decidere, ma quantomeno a contare. Quando gli operai scendono in piazza
o entrano in sciopero rivendicando un salario maggiore, migliori
condizioni di lavoro, e orari ridotti, anche in questo caso, se non
proprio a decidere, ci terrebbero a contare qualcosa.
Negli
stati novecenteschi a essere determinante e accettata è la sovranità
dello Stato; nel nostro caso si dice Stato Democratico. E’ ancora così?
Negli
anni ’70 e ’80 in Italia si parlava di “paese a sovranità limitata”. Ne
parlavano la sinistra e il PCI e ci si riferiva alle ingerenze
atlantiche che, da lì a poco, si sarebbero trasformate da fantasmi in
realtà con la scoperta delle varie Gladio, Stay Behind, P2 etc.
In
quegli anni, nessun giornalista democratico si sarebbe sognato di
definire questo ragionamento gretto, meschino o razzista. Oggi sì.
Ma
anche oggi viviamo in sovranità limitata? I teorici dell’ordoliberismo
(da Foucault in poi fino a Dardot e Laval) (3) ci spiegano
con abbondanza di particolari che lo Stato non è affatto sparito, ma si è
trasformato. Il suo ruolo non è più quello del garante dell’equilibrio
tra le classi (o meglio del dominio temperato del capitale sulla forza
lavoro) ma è diventato quello di mettere in pratica ciò che viene
definito in altra sede – leggasi le “istituzioni” prive di legittimità
popolare e democratica dell’UE – trasformandosi nell’apparato che
forzatamente modella le società secondo i dettami ordoliberali.
In
effetti, jobs act, riforma Fornero, pareggio di bilancio in
Costituzione, “buona scuola”, tagli, privatizzazioni etc. sono stati
formalmente discussi e approvati dallo Stato. La sovranità nazionale e
statuale è quindi formalmente in vigore. I governi infatti nascono,
vengono votati dai Parlamenti, i cui eletti sono scelti dai cittadini.
La questione della sovranità dello Stato è evidentemente un problema che
non esiste. A cambiare è stato semplicemente il ruolo dello Stato.
Fino
a quando le condizioni internazionali prevedevano la necessità di un
compromesso tra le forze sociali dei lavoratori e le forze padronali, il
concetto di sovranità nazionale poteva essere allargato a una sorta di
sovranità estesa alle classi popolari.
Oggi non è più così, quindi si può discutere di riconquistare la sovranità popolare?
Partiamo da due tra numerosi esempi che si potrebbero fare.
I
lavoratori francesi hanno contestato duramente il nuovo codice del
lavoro. I lavoratori italiani hanno invece accettato senza grosse
mobilitazioni il jobs act. Si tratta di due leggi con molti punti in
comune. In tutte e due le situazioni le leggi sono passate, i sindacati
sono stati sconfitti (quelli italiani si sono proprio ritirati, la CGT
francese ha provato a resistere). Nel caso francese, la volontà
reiterata di voler approvare una legge antipopolare ha addirittura
causato il suicidio politico del Partito Socialista Francese. E’
evidente che i due provvedimenti sono stati imposti a livello più alto
rispetto alla normale dialettica politica; questo livello è quello
dell’Unione Europea. In realtà si tratta però di due leggi approvate
dallo Stato con procedure formalmente democratiche.
Gli
insegnanti italiani hanno contestato duramente la “buona scuola” del
Governo Renzi. Prima della sua approvazione in Parlamento uno sciopero
nazionale ha coinvolto circa il 90% dei lavoratori della scuola, ma la
riforma è diventata comunque legge. Anche in questo caso non sfugge a
nessuno come la “riforma” fosse assolutamente in linea con i dettami
dell’Unione Europea in materia.
Questi due esempi ci aiutano a comprendere schematicamente che:
1)
l’Unione Europea con i suoi centri direzionali è attualmente il
principale motore di una ristrutturazione politica che colpisce i
lavoratori in tutta Europa;
2)
le procedure istituzionali di approvazione sono però inattaccabili dal
punto di vista formale e non intaccano l’astratto concetto di “sovranità
nazionale”;
3)
i politici e gli uomini di Stato in Francia e in Italia non esitano a
distruggere la propria carriera politica pur di approvare leggi
impopolari;
4) la possibilità per i cittadini, per i lavoratori, per chi lotta di influire/interferire sulle decisioni è a livelli minimi;
5)
la sostanziale incapacità per i cittadini e i lavoratori di ottenere
risultati allontana la gran parte delle persone dall’impegno politico e
sociale. Chi governa può infatti fare tranquillamente a meno del
consenso sociale. Non importa quale sia il consenso reale di chi
governa, importa che governi e che gli esclusi continuino a essere tali.
(4)
Il recente caso del nuovo Governo Conte, con la sua difficile gestazione ci insegna anche qualcosa in più.
Il
Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sostanzialmente
bloccato la nomina di Paolo Savona a Ministro dell’economia. Che lo
abbia fatto a norme costituzionali rispettate o meno, qui conta poco.
Mattarella ha infatti spiegato che non era accettabile un ministro che
avrebbe potuto mettere in conflitto l’Italia con i partner europei
andando a ridiscutere gli impegni sulle politiche economiche assunte
dall’Italia. Nel contempo, lo spread e la speculazione colpivano i
risparmi italiani segnalando che, dove non fosse riuscito Mattarella, ci
avrebbero pensato i mercati finanziari a ristabilire le priorità.
Come
è andata è risaputo da tutti: i dicasteri di economia ed esteri sono
saldamente in mano a esponenti graditi alla UE e alla NATO. Per inciso,
nessun problema ha creato né a Mattarella, né ai mercati finanziari, un
ministro dell’interno notoriamente xenofobo e razzista come Salvini.
Comunque
la si pensi, al netto di forzature costituzionali peraltro ravvisabili,
è evidente che la sovranità statale è stata formalmente rispettata, il
Governo Conte votato dalle Camere, il desiderio della maggioranza degli
eletti rispettato. A saltare non è stata affatto la sovranità statale, ma quella popolare.
Gli eletti dovranno rinunciare a mettere in contraddizione gli impegni
internazionali dell’Italia e la politica economica. Quindi vanno bene le
ruspe, la caccia ai migranti, i barconi respinti; ciò che conta davvero
è procedere con la stessa politica estera ed economica.
Temiamo
che gli operai del Nord che hanno votato Lega Nord per abolire la Legge
Fornero o i poveri del Sud che richiedevano il reddito di cittadinanza
avranno qualcosa da ridire.
Lo Stato rimane dunque sovrano, i cittadini molto meno.
Questo
stato di cose sgombera il campo da due atteggiamenti opposti. Da un
lato gli “europeisti” convinti, di sinistra ed estrema sinistra, che
usano l’accusa di sovranismo per difendere il predominio del
capitale sulle nostre vite. Dall’altro chi parla di “sovranità
nazionale” senza considerare minimamente il ruolo dello Stato nella fase
attuale.
I
lavoratori e gli sfruttati non devono difendere la UE e l’Euro perché
questi sono strumenti tecnici con il quale viene condotta una
restaurazione liberista feroce, strumenti che, come tali, vanno
abbattuti. Però non devono neppure seguire coloro che confondono sovranità nazionale con sovranità popolare,
coloro che immaginano un concetto metafisico di Stato come ente
mediatore indipendente dal contesto economico, sociale e internazionale.
Che
decida Mattarella o Salvini in fondo a noi importa poco. Ciò di cui
abbiamo bisogno è riconquistare il concetto di democrazia legato alla
sovranità popolare. La nostra capacità di decidere, di intervenire con
le lotte nel dibattito politico, di alimentare il protagonismo popolare.
In questo senso, la sovranità non ci fa nessuna paura ed anzi dobbiamo
cercare di riconquistarla.
Note:
1) Sovranità popolare tratta da Dizionario Enciclopedico Treccani
2)
Ci si riferisce agli articoli copiosi pubblicati su giornali come
“Repubblica” e “Corriere della Sera”. Ma anche all’atteggiamento
schifato da parte di certa sinistra verso concetti quali sovranismo e
populismo.
3)
Ci riferiamo in particolare ai recenti “La nuova ragione del mondo,
critica della razionalità neoliberista” e al successivo testo: “Guerra
alla democrazia, l’offensiva dell’oligarchia neoliberista” entrambi
editi da Derive e Approdi. Gli autori fanno riferimento a una corrente
di pensiero che ha, tra i suoi principali riferimenti il Foucault di
“Nascita della biopolitica” edito da Einaudi
4)
Per inciso si rimanda a una serie di analisi sulla partita legata alla
fallita riforma costituzionale proposta da Matteo Renzi. In particolare
sul fatto che lo scopo della riforma era garantire la possibilità per
chi governa di farlo con scarso consenso; come dire mantenere la
sovranità statale in assenza di consenso popolare.
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