martedì 17 luglio 2018

L’attimo di San Lorenzo: quando vennero giù le bombe Dopo 75 anni, il 19 luglio si ricorda il tragico bombardamento del quartiere San Lorenzo a Roma. Riattivare il ricordo della guerra significa ricucire lo strappo tra storia e presente, tra celebrazioni istituzionali e pratiche distruttive delle tracce del passato


dinamopress di Gigliola Cultrera

In una calda mattina di luglio la mamma con il bambino esce dal cancello su via dei Reti, per andare a fare la spesa, quando l’orrore irrompe nella loro vita. «Sento ancora lo spostamento d’aria che ci ha spinti indietro facendoci cadere», racconterà Antonio ormai anziano. Il corpo mantiene, intatto nel tempo, la memoria di quella bomba caduta all’angolo con via dei Sabelli, che tante giovani vite ha cancellato.

Antonio ci ha lasciati da poco: le voci dei testimoni in grado di narrare come la distruzione e la morte cancellarono palazzi e strade, vite e affetti, si vanno affievolendo. Ma il 19 luglio è ancora una data in cui, attraverso momenti diversi, si costruisce la memoria collettiva, recuperando ricordi e sensazioni individuali.
Per 75 anni si è fatta memoria delle vittime, colte nelle attività e nei luoghi in cui si trovavano in quella mattina di luglio, delle famiglie sterminate sotto la polvere e le macerie: la quotidianità definitivamente squarciata anche per chi, smarrito pure se sopravvissuto, si muoveva nelle strade invase dai detriti.
Frattura temporale nelle biografie dei singoli ma anche nella Storia della città e del Paese: una catastrofe che ha contribuito alla fine della dittatura ma non, immediatamente, della guerra.
Guerre che ancora oggi sconvolgono ritmi di vita, ma che sembrano svaporare nella distanza geografica.
Continuare a costruire, anno dopo anno, la memoria di quel 19 luglio 1943 significa fissare nel tempo narrazioni, luoghi, immagini. Non come mera contabilità delle vittime e dei danni, ma come restituzione della perdita individuale e sociale.
Riattraversare i luoghi in cui i “vuoti” degli edifici possono ancora rappresentare la quotidianità interrotta significa evocare il prezzo che pagano i civili nelle guerre, trasmettere agli altri un valore identitario del quartiere contro la guerra.
In una fase di trasformazioni urbane e sociali intense per San Lorenzo, coltivare la memoria significa costruire archivi materiali e mentali delle generazioni che hanno plasmato questi luoghi e fatto la storia. Significa ricucire lo strappo tra storia e presente, tra celebrazioni istituzionali e pratiche distruttive delle tracce del passato.
In un presente che sembra proporre ai giovani che attraversano il quartiere solo un’anestetizzante movida, riaffermare una memoria in grado di rappresentare, a vecchi e nuovi interlocutori, la distruzione di una quotidianità fatta di affetti e di luoghi si colloca (nei cambiamenti che comunque segnano l’evoluzione di uno spazio urbano) a riaffermazione della vita e della solidarietà come tratto identitario di un quartiere popolare come San Lorenzo.
Per ricordare con le parole di W. Szymborska che: «Non c’è vita che per un attimo non sia immortale/ La morte è sempre in ritardo di quell’attimo./ A nessuno può sottrarre il tempo raggiunto».

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