Il metano è abbondante, emette meno gas serra del carbone e quindi ci da una mano a evitare il cambiamento climatico provocato dal riscaldamento globale. Peccato però che quasi nessuna di queste asserzioni sia vera.
Tuttavia, il metano ha i suoi vantaggi, è vero, ma in termini di emissioni di gas serra, ahimé non ci siamo proprio. Il problema sta tutto nelle perdite accidentali durante l’estrazione e il trasporto. Lo spiega fra gli altri Vincenzo Balzani, ben noto chimico italiano, insieme a i suoi co-autori in un recente documento. In una sua lettera a Repubblica, poi, leggiamo che “È vero che la Co2 prodotta dall’uso del metano è il 24% in meno di quella prodotta usando benzina (a parità di energia generata), ma il trasporto del metano è soggetto a perdite lungo tutta la filiera. Secondo la Us environmental protection agency le perdite ammontano a circa il 3,2% della produzione globale (si veda il libro Clean disruption di Tony Seba) e poiché il metano ha un effetto serra 70 volte superiore a C02 (misurato su venti anni; 25 volte su 100 anni), non c’é alcun miglioramento sull’effetto serra se si sostituisce la benzina (o anche il carbone) col metano”.

 

Se volete dei dati quantitativi recenti, li trovate in uno studio di Ramón A. Alvarez e altri. La loro conclusione è “Le perdite di gas naturale sono uno spreco di una risorsa naturale limitata (circa 2 miliardi di dollari all’anno) aumentano i livelli di inquinamento di ozono locale e erodono in modo significativo i benefici potenziali per il clima derivanti dall’uso del gas naturale. […] L’impatto climatico del consumo di circa 13 milioni di tonnellate di metano su un orizzonte di 20 anni è praticamente uguale a quello di tutte le emissioni di Co2 da tutte le centrali a carbone negli Stati Uniti nel 2015 (31% su 100 anni)”.
Di questo studio si è parlato recentemente in un articolo sul Financial Times dove si riporta anche la reazione dell’industria petrolifera. In sostanza, dicono i petrolieri, possiamo lavorarci sopra e ridurre le emissioni accidentali.
Forse ma, al meglio che vada, il metano potrebbe diventare “leggermente migliore” del carbone, invece di essere “leggermente peggiore.” Ne vale la pena? O non è piuttosto il caso di saltare a piè pari il cosiddetto “combustibile-ponte” che, chiaramente, non lo è?
Non è vero che le rinnovabili non sono mature. Ormai, la crescita delle rinnovabili è inarrestabile e il costo del fotovoltaico si è abbassato al punto da essere competitivo con quello di quasi qualsiasi combustibile fossile, specialmente in un Paese soleggiato come l’Italia.
E cominciano a essere disponibili sistemi di stoccaggio che eliminano il problema delle fluttuazioni della produzione. Allora, perché perdere tempo e soldi con tecnologie obsolete e non invece sfruttare il vantaggio che la natura ci da?
Questo non vuol dire che si debba smettere immediatamente di usare il metano. È questione, piuttosto, di dirigere i nuovi investimenti verso le tecnologie che hanno un futuro. Mentre per il metano siamo costretti a dipendere dalle importazioni (e non possiamo essere sicuri che la fornitura sia garantita), il sole – per fortuna – non ce lo porta via nessuno. Per cui, dovremmo soprattutto evitare di incastrarci in tentativi disperati che ci renderebbero ancora più dipendenti dal metano (per esempio usandolo per il trasporto su strada).
E il biometano? Beh, quello è un combustibile rinnovabile – una cosa diversa dal metano fossile. È una buona cosa, in principio, ma non aspettatevi miracoli. Oggi il biometano produce poco più dell’1% dell’elettricità in Italia (vedi i dati del Gse). Se dovessimo produrre biogas in quantità comparabili a quelle del gas naturale che importiamo dovremmo smettere di produrre alimentari per produrre cibo per automobili e non sarebbe decisamente una buona idea. Per i veicoli stradali abbiamo una soluzione molto migliore: veicoli elettrici.