Marco Bussetti, non stupisce che il ministro sia fan dell’alternanza scuola-lavoro Se il buongiorno si vede dal mattino, il discorso al Senato del presidente del Consiglio Giuseppe Conte non lascia ben sperare sulla realizzazione delle promesse sparate a piena voce in campagna elettorale, soprattutto dal M5S, che di Conte risulterebbe lo sponsor principale. La scuola al centro: al solito, una affermazione liturgica, ma priva di alcuna concretezza.
Mi chiedo sinceramente e oggi ancora di più, considerata questa sconcertante dimenticanza, quale sia la sorpresa nel constatare che il nuovo ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, in passato si dichiarasse fan dell’alternanza scuola-lavoro. Tanto più se si riflette sul suo curriculum, infarcito di cariche burocratiche, specie nell’ambito dell’Ufficio scolastico regionale Lombardia: ultimo incarico, responsabile dell’ambito X (Milano). Stiamo cioè parlando del centro nevralgico del famoso “sistema Lombardia”, quello della dote scuola inaugurata da Roberto Formigoni e continuata come fiore all’occhiello della strategia di distruzione del dettato costituzionale del “senza oneri per lo Stato” previsto dall’articolo 33, a vantaggio delle scuole private.

Qual è la sorpresa, dunque, se il nuovo ministro dell’Istruzione abbia esaltato l’alternanza scuola-lavoro, della quale – si badi bene – già nel “contratto” (sic!) era possibile leggere: “La cosiddetta ‘Buona Scuola’ ha ampliato in maniera considerevole le ore obbligatorie di alternanza scuola-lavoro. Tuttavia, quello che avrebbe dovuto rappresentare un efficace strumento di formazione dello studente si è presto trasformato in un sistema inefficace, con studenti impegnati in attività che nulla hanno a che fare con l’apprendimento”? Molto diverso da ciò su cui il M5S ha portata avanti la propria campagna sulla scuola. Ma Bussetti fa parte a pieno titolo dell’apparato; e coerentemente ha plaudito alla 107/15 (a riprova del fatto che la cosiddetta Buona Scuola abbia configurato – grazie Pd! – la più coerente concretizzazione di una riforma scolastica apprezzata dalle destre, leghiste o berlusconiane che fossero).
Stupisce molto di più che nel “giuoco delle parti” (o delle poltrone?) che ha segnato lo sprint finale per la formazione del governo Conte il M5S, che si era fatto paladino (in un programma – a dire la verità – molto ambiguo e vago) della battaglia contro la 107, la cosiddetta Buona Scuola (salvo rifiutare di sostenere  a livello nazionale la campagna di raccolta firme per il referendum contro 4 passaggi – tra cui l’Asl – di quella legge, nel 2015; e ora della Lipscuola, per presentare in Parlamento una legge di iniziativa popolare per La scuola della Costituzione, che M5S adottò e presentò sia alla Camera che al Senato nel 2015 come disegno di legge da abbinare alla discussione in commissione contro la Buona Scuola), il Movimento abbia ceduto la postazione che avrebbe consentito di intervenire con maggiore facilità proprio sull’odiata (almeno a parole) legge. Che questa avversione non fosse poi così drastica era apparso chiaro quando, pochi giorni prima delle elezioni, fu annunciato il nome – improponibile per i detrattori della Buona Scuola – di Salvatore Giuliano come ministro dell’Istruzione del governo 5 stelle
Come nella pozione preparata da un improvvisato Mago Merlino, il “contratto” (sic!) stipulato tra Lega e M5S prevede per la scuola un mix francamente imbarazzante di ingredienti in salsa “un colpo al cerchio e uno alla botte”. E non avrebbe potuto che essere così, considerando la distanza che – almeno sulla carta e nelle dichiarazioni degli ultimi anni – avrebbe dovuto dividere i due soggetti politici. O forse la distanza che li separa non è così drammatica come si vorrebbe far credere. Per molti, però, la 107 continua ad essere, come dicevamo anche con i colleghi che hanno votato M5S, inemendabile.
Il fatto che il  “superamento” della Buona Scuola, previsto dal contratto, sia affidato ad un docente, dirigente scolastico, funzionario dell’Usr non solo favorevole alla Buona Scuola, ma anche reclutato durante periodo della giunta Maroni e dell’ex assessore regionale Valentina Aprea, rappresenta un possibile scenario futuro: che la riforma Renzi-Giannini, la peggiore della storia repubblicana italiana, che ha cambiato il profilo antropologico di studenti e docenti italiani e il senso della scuola della Costituzione, venga sapientemente “migliorata” nei suoi aspetti scricchiolanti; ma si rafforzi, senza soluzione di continuità, proprio con le proposte Aprea, che hanno cercato nel tempo di determinare il giro di vite più clamoroso sulla privatizzazione della scuola italiana e sul mantenimento di privilegi a livello regionale, in spregio al principio di unitarietà del sistema scolastico nazionale.
Staremo a vedere.