martedì 19 giugno 2018

Migranti. Nessuno diventa rifugiato per sua scelta, la nostra risposta è "come" e non "se" aiutarli.


"Una persona che a causa di un fondato timore di essere perseguitata per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale o opinione politica, è al di fuori del paese della sua nazionalità e non è in grado o, a causa di tale paura, è riluttante ad avvalersi della protezione di quel paese; o chi, non avendo una nazionalità ed essendo al di fuori del paese della sua precedente residenza abituale a seguito di tali eventi, non è in grado o, a causa di tale paura, non è disposto a tornare ad esso".  
Secondo il diritto internazionale, dicesi rifugiato


Il rapporto annuale dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati dettaglia come nel 2017 "guerre, altre violenze e persecuzioni" abbiano spinto "per il quinto anno consecutivo, il dislocamento forzato di persone verso la cifra record di 68.5 milioni di persone".
L'aumento costante è frutto dell'inasprirsi della "crisi nella Repubblica Democratica del Congo, della Guerra del Sud Sudan e dalla fuga verso il Bangladesh di centinaia di migliaia dei Rohingya provenienti da Myanmar"
Nella stragrande maggioranza dei casi i movimenti di massa di persone interessano paesi in via di sviluppo.
Il rapporto dell'Unhcr segnala come 16,2 milioni di persone che siano state costrette a sfollare durante il 2017 per la prima volta o ripetutamente - indicando in 44.500 il numero di persone che vengono spostate ogni giorno - una persona che viene spostata ogni due secondi.

Chi fugge dal proprio paese per sottrarsi a conflitti e a persecuzioni rappresenta meno della metà dei rifugiati, 25,4 milioni dei 68,5 milioni, un aumento di 2,9 milioni rispetto al 2016 e, secondo l'Unhcr, il maggior incremento mai registrato in un solo anno. I richiedenti asilo al 31 dicembre 2017, sono aumentati da circa 300.000 a 3.1 milioni. Le persone sfollate all'interno del proprio paese hanno rappresentato 40 milioni del totale, un po' meno dei 40,3 milioni del 2016.
L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati è un italiano e si chiama Filippo Grandi, chissà quanti parlamentari lo sanno. Nel lanciare il rapporto della sua Agenzia ha detto che siamo a uno "spartiacque, dove il successo nella gestione di spostamenti forzati a livello globale richiede un approccio nuovo e onnicomprensivo, in modo che i paesi e le comunità che ospitano non siano lasciati soli", forse perché non ha modo di ascoltare quanto ci viene vomitato addosso quotidianamente dalle tv nostrane, Grandi ha anche parlato di aver motivo di "qualche speranza" perché "quattordici paesi stanno già sperimentando un nuovo piano per rispondere alle situazioni dei rifugiati e tra pochi mesi un nuovo patto globale sui rifugiati sarà pronto per essere adottato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite".
Nessuno lo dica a Salvini e soci!
Il rapporto sulle "tendenze globali" dell'Unhcr viene pubblicato per la Giornata mondiale per i rifugiati (20 giugno) e traccia i dislocamenti forzati sulla base di dati raccolti dall'Alto Commissario, dai governi e da altri partner, incluse le organizzazioni non-governative. Allo stesso tempo il rapporto non affronta questioni legate all'asilo, ma segnala comunque che nel 2017 si è tornati a vedere casi di rimpatri forzati, politicizzazione e riduzione a capri espiatori dei rifugiati, oltre che rifugiati incarcerati o a cui è stata negata la possibilità di lavorare, mentre diversi paesi si oppongono perfino all'uso del parola "rifugiato".
I dati smontano molta della propaganda vittimista dei paesi ricchi dimostrando che l'85% dei rifugiati si trovi nei paesi in via di sviluppo, molti dei quali sono disperatamente poveri e ricevono scarso sostegno internazionale per assistere tutte quelle persone - quattro rifugiati su cinque rimangono in paesi vicini al loro.
Anche lo spostamento su larga scala oltre i confini è meno comune di quanto suggeriscono i 68 milioni di sfollati. Quasi due terzi di quelli costretti a fuggire sono sfollati interni che non lasciano il proprio paese. Dei 25,4 milioni di rifugiati, poco più di un quinto sono palestinesi affidati all'Unrwa. Di quelli per cui l'Unhcr è responsabile, due terzi provengono da cinque paesi: Siria (6,3 milioni); Afghanistan (2,6 milioni); Sudan del Sud (2,4 milioni); Myanmar (1,2 milioni) e Somalia (986,400). La fine del conflitto in questi paesi potrebbe influenzare in modo significativo i dislocamenti globali.
Anche per l'anno scorso la Siria resta il paese col numero più alto di persone in fuga - 12,6 milioni di persone sfollate forzatamente, comprendenti circa 6,3 milioni di rifugiati, 146.700 richiedenti asilo e 6,2 milioni di sfollati. Allo stesso tempo il 2017 è stato caratterizzato da un aumento significativo degli sfollati dall'America settentrionale e centrale, con un numero crescente di persone in viaggio per chiedere asilo in Messico e negli Stati Uniti - anche se i venezuelani hanno continuato a fluire verso i paesi limitrofi. A scapito delle tendenze globali in crescita gli attraversamenti del Mediterraneo orientale sono invece diminuiti rispetto al 2016.
La maggior parte dei rifugiati vive in aree urbane (58%) non in campi o aree rurali, il 53% è rappresentato da bambini, molti non accompagnati o separati dalle loro famiglie.
Tanto il numero di paesi che "producono" sfollati su larga scala, quanto quello dei paesi che ospitano un gran numero di persone è relativamente basso: la Turchia è rimasta il principale paese ospitante di rifugiati in termini assoluti con una popolazione di 3,5 milioni di rifugiati, principalmente siriani. Il Libano ha ospitato il maggior numero di rifugiati rispetto alla sua popolazione nazionale. Complessivamente, il 63% di tutti i rifugiati sotto la responsabilità dell'Unhcr è in soli 10 paesi.
La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, da cui è stato tratta la definizione in esordio di questo post, è un trattato multilaterale delle Nazioni Unite che oltre a definire chi sia un rifugiato stabilisce i diritti delle persone a cui è stato concesso l'asilo e le responsabilità delle nazioni che concedono asilo. La Convenzione stabilisce anche quali persone non siano da ritenere rifugiati, come per esempio i criminali di guerra.
La Convenzione sui rifugiati si basa sull'articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, che riconosce il diritto delle persone di chiedere asilo in caso di persecuzione in altri paesi. Un rifugiato può godere di diritti e benefici in uno stato in aggiunta a quelli previsti dalla Convenzione.
Tutto questo per dire che, non è il "se" ma il "come" si debbano aiutare queste persone perché è un obbligo internazionale della Repubblica italiana che ha ratificato tutte le Convenzioni internazionali possibili e immaginabili. Per capire, e quindi stabilire, se una persona sia un "rifugiato" occorre salvarlo, accoglierlo e ascoltarne la storia. Le modalità di arrivo o il colore della pelle non sono riconosciuti come motivi validi per violare un obbligo di legge.
Se il ministro competente non dovesse esser laureato, ci sono fior fiore di funzionari pubblici che lo possono aiutare a comprendere l'Abc dello stato di diritto e della legalità costituzionale.

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