giovedì 21 giugno 2018

L'Aids torna a crescere tra gli adolescenti: e se sei minorenne fare il test diventa un calvario.

Il numero di giovani che contraggono l'Hiv è in crescita, anche a causa dell'assenza di campagne informative adeguate. E per effettuare i controlli sanitari bisogna avere il consenso dei genitori: per questo molti rinunciano.

 

L'Aids torna a crescere tra gli adolescenti: e se sei minorenne fare il test diventa un calvarioOspedale Sacco di Milano, passano alcuni secondi, una dottoressa risponde e, ascoltando la richiesta, dirotta la chiamata al reparto di pediatria. Ad accogliere la domanda è una voce: «Non so se esistono dei modi per poter fare un test dell’Hiv senza chiedere ai tuoi genitori, lasciami il numero di cellulare e ti faccio sapere».

È necessario fingersi un adolescente per comprendere la zona grigia in cui si muove il personale medico quando si parla di minorenni e Aids. Sono circa 500 i ragazzi in Italia che hanno contratto il virus dell’Hiv, un numero che, in base agli ultimi dati, sembra essere in costante crescita. L’Istituto Superiore di Sanità segnala «un’incidenza maggiore» della sindrome nei giovani con un’età compresa tra i 25-29 anni, non escludendo che il virus possa essere stato contratto quando erano ancora minorenni.  
Colpa dell’assenza d’informazione, di una mancata prevenzione ma soprattutto di una diagnosi tardiva, vietata a chi ancora non ha compiuto il diciottesimo anno d’età, se non accompagnato.
Una precauzione, quest’ultima, che, nella verità dei dati, provoca ulteriori contagi e condanna un giovane all’assenza di cure tempestive.
In tutta Italia ogni reparto di malattie infettive ha una propria idea sulla procedura da applicare nel caso in cui un adolescente chieda di sapere se ha contratto il virus dell’Hiv, sottoponendosi a un accertamento senza essere condotto in reparto da un genitore. Obbligo che la legge impone. È questa la barriera che deve superare un adolescente per poter effettuare il test. Ma c’è una via d’uscita. L’avvocato Matteo Schwarz, consulente legale del telefono Verde Aids e Ist, spiega: «In Italia effettuare un test dell’Hiv su un minore è vietato, ma è possibile, qualora vi siano particolari criticità, chiedere di poter procedere tramite l’autorizzazione del giudice tutelare. A farlo sono pochi operatori sanitari, anzi pochissimi». Centralini che non rispondono, chiamate dirottate, medici che non conoscono le norme. I forum si riempiono di richieste d’aiuto e per molti ragazzi i motori di ricerca diventano l’unico approdo possibile, anche psicologico.


Al Sant’Elia di Caltanissetta prima rispondono «è assolutamente vietato senza il permesso dei genitori», ci mettono in attesa, a prendere la telefonata è un assistente sanitario: «Vieni, te lo facciamo quando vuoi, tanto è tutto anonimo». All’ospedale Umberto I di Ancona sanno con chiarezza la procedura e tentano di convincere l’interlocutore con poche frasi: «Se risultassi positivo non potresti comunque nasconderlo ai tuoi genitori, perché la tua vita cambierebbe radicalmente». Alziamo di nuovo il telefono. Trentino Alto Adige, ospedale Santa Chiara, alla richiesta non hanno esitazioni: «Puoi presentarti qui da noi alla stanza numero Sei, reparto dermatologia. Ti facciamo l’esame e anche le analisi per vedere sei hai contratto l’Epatite C, se risulti positivo a qualcosa chiamiamo i tuoi». Al Santa Maria della Misericordia di Perugia parliamo con quattro persone diverse. Siamo costretti a spiegare ogni volta la stessa cosa: «Sono un minore posso fare il test dell’Hiv senza doverlo dire ai miei genitori?». La risposta è un secco no. Il viaggio continua in un elenco di mancanze: nessun servizio di consulenza, nessuna domanda sul perché di tale richiesta, nessuna parola di conforto, nessuna richiesta di presentarsi in reparto e parlarne con tranquillità. Un vuoto che coincide con l’aumento di infezioni da Hiv tra giovani e giovanissimi. Testimoni i dati dell’Istituto Superiore di Sanità che segnala: «Negli ultimi anni si osserva un lieve aumento della quota delle persone con una nuova diagnosi di infezione in fase clinica avanzata». Non fare il test dopo un comportamento a rischio può significare peggiorare l’evoluzione della malattia. Spiega la dottoressa Stefania Bernardi, pediatra infettivologo dell’ospedale Bambino Gesù di Roma: «Oggi è dimostrato che l’infezione da Hiv trattata in fase molto precoce, cioè appena contratta, ha uno sviluppo diverso rispetto a chi inizia le cure in una fase ormai avanzata. I danni al sistema immunitario, se la terapia viene assunta troppo tardi possono essere irreversibili».

L’unica vera cura per la sindrome da immunodeficienza è una diagnosi precoce, ma un report del ministero della Salute lancia l’allarme: «La comunicazione della diagnosi tra gli adolescenti è scarsa e complessa. Gli operatori non sono preparati ed esiste un grosso rischio che la terapia venga interrotta una volta comunicata la diagnosi. Inoltre la comunicazione del proprio stato al partner è rara negli adolescenti».

«Chiedere ai miei? No, mi spaventa»
Analisi, studi scientifici, terapie avanzate che si intrecciano alla fragilità di essere ragazzi. Stefania Bernardi racconta la storia di due minori omosessuali: «Mi hanno confidato di avere una relazione e di essere stati incauti. Ci sono volute alcune ore di pazienza, ma alla fine sono riuscita a farli tornare con la scusa di fare qualche esame di routine insieme ai genitori ed è stato in quel momento che ho proposto di effettuare il test dell’Hiv, fortunatamente era negativo».

Ma sono tanti gli adolescenti che preferiscono evitare il test pur di non dirlo ai genitori. Fuori da un liceo di Roma le opinioni sono diverse. «Io non lo farei mai, dirlo ai miei mi spaventa», dice un ragazzo. «Io ne parlerei con mia madre, ma molti coetanei non hanno la fortuna di avere un buon rapporto con i genitori», risponde un’altra.

C’è chi lamenta l’assenza di educazione sessuale nelle scuole: «Non ci preparano ai rischi che corriamo». Poco informati sulle modalità di trasmissione, disorientati e alcune volte inconsapevoli. Colpa di una strategia assente, come denunciano le associazioni che da anni si battono al fianco delle persone con Hiv e per una corretta prevenzione.

Massimo Oldrini, presidente di Lila, denuncia: «Nel 2017 i soldi a budget per la campagna pubblicitaria contro l’Aids ammontavano a soli 80 mila euro. Ci hanno informato che nel 2018 ci sarà una cifra analoga, e che esistono altri fondi, ma nessuno ha saputo dirci i soldi a disposizione. Certo è che, per un’adeguata informazione, ci vorrebbe molto di più. Altre nazioni europee stanziano milioni di euro». Ma se le campagne progresso appaiono poche e mirate, a risentirne maggiormente sono sempre loro: i giovani. Nel 2015 Miur e ministero della Salute avevano istituito un tavolo di lavoro per dar vita a un “piano di educazione della salute incentrato sull’Hiv”. Il tavolo dal 2015 ad oggi non si è mai incontrato, eppure il Ministero è consapevole dei rischi. Come riporta il report datato 2017: «Negli ultimi anni, gli interventi di prevenzione sembrano aver subito, nella scuola e tra la popolazione giovanile in generale, un processo involutivo, accompagnato da un marcato calo di interesse sia delle Istituzioni, sia tra i giovani stessi».

In Italia sono pochi i centri di consulenza a cui è possibile rivolgersi per chiedere aiuto. E c’è chi in assenza di un luogo opta per il Telefono Verde Aids e Ist (800.861.0.61) dell’Istituto Superiore di Sanità, attivo da oltre trenta anni e raggiungibile dal lunedì al venerdì dalle 13 alle 18. La dottoressa Anna Maria Luzi, responsabile del servizio nazionale, spiega: «Abbiamo giovani che chiamano per chiedere informazioni sul test e noi forniamo con un adeguato intervento di counseling, tutte le informazioni necessarie. Molti si preoccupano quando spieghiamo loro che per potersi sottoporre alle analisi serve il consenso del genitori o l’autorizzazione del giudice tutelare».

Per combattere il virus «servirebbero più efficaci interventi di educazione sessuale e di prevenzione delle infezioni sessualmente trasmesse, nonché l’attivazione di procedure di accesso al test omogenee e mirate ai minori», insiste la dottoressa Anna Maria Luzi, che conclude invitando «a collegarsi al sito www.uniticontrolaids.it che integra l’attività di counseling del Telefono Verde. Il sito attivo dal 2013 presta particolare attenzione ai bisogni informativi dei giovani, non solo in merito all’Hiv, ma più in generale alle altre infezioni sessualmente trasmesse». Ma la verità è che l’Assemblea generale delle Nazione Unite aveva chiesto a tutti gli Stati membri, compresa l’Italia, di eliminare, soprattutto per le generazioni più giovani, ogni barriera, permettendo così una progressiva riduzione delle infezioni. Ad avere abbassato il limite d’età a sedici anni sono stati Danimarca, Estonia, Portogallo, Slovenia e Spagna. In Germania, Svizzera e Regno Unito è invece possibile effettuare il test senza essere accompagnati dai genitori al compimento del quattordicesimo anno d’età. In Lettonia serve avere 15 anni.

L’Italia è rimasta ad ascoltare in silenzio. Nell’ultimo piano nazionale di interventi contro Hiv e Aids c’è una sola riga dedicata al test: «Definire le procedure che permettano l’accesso ai minori, senza obbligo di richiesta del consenso da parte dei genitori, con interventi normativi adeguati». Nulla viene aggiunto sulle possibile tempistiche di attuazione, né su come procedere su base nazionale. Uno stallo normativo che ha del paradosso, se si pensa che l’auto-test è facilmente accessibile. Poco pubblicizzato, comodamente acquistabile in farmacia o nei distributori che vendono profilattici, ne sono provvisti anche i siti internet. Costo dai 20 ai 30 euro, dipende dalla casa farmaceutica produttrice.

Nel foglio illustrativo appare in piccolo la dicitura “vietato ai minori di 18 anni”, ma una volta solcata la linea gialla di riservatezza di una qualsiasi farmacia, in pochi chiedono l’età. Dentro la scatola tutto il kit necessario per procedere alla diagnosi. Se appare una linea il test è negativo. Due è meglio rivolgersi a un medico. Il tutto può essere eseguito dentro un bagno, senza un’assistenza medica, senza sapere che l’auto-test è attendibile solo se il comportamento a rischio risale a tre mesi prima, ma soprattutto solo nel caso in cui sia positivo. Adolescenti, soli senza un aiuto psicologico. Divieti, disinformazione, assenza di centro di counseling, ospedali impreparati: ecco la lista delle mancanze. Mancanze che hanno il marchio del fiocco rosso pronto a tornare più presente di prima.

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