Euro, breve storia di una necessità futileFonte grafici: Banca d’Italia
Brevemente, mi piacerebbe chiarire che se oggi l’euro è probabilmente indispensabile – nel senso che liberarcene potrebbe costarci molto caro – sicuramente non fu così in passato, anzi nulla fu più futile e quindi meno necessario, della decisione di entrare a far parte della moneta unica. Il problema delle nostre classi dirigenti, della loro competenza della loro rettitudine morale. Insomma, la storia dell’euro.

L’Italia, che fino al 1963 aveva mantenuto alti tassi di crescita del Pil e quindi una grande stabilità monetaria, a partire dal 1971 entrò in una spirale negativa, con un progressivo deprezzamento della lira rispetto a tutte le altre valute. Il fatto scatenante certo fu il distacco del dollaro (al quale erano legate tutte le valute) dall’oro deciso da Richard Nixon nel 1971; gli aggravanti furono altri fattori internazionali, la classica pioggia sul bagnato, tipo la crescita incontrollata del prezzo del petrolio.


Lira – Dollaro (1972-1991)
Poi venne la stagione in cui, anziché curare le cause, si cercarono di sedare i sintomi. Così, mentre nei precedenti 25 anni il rapporto di cambio con il marco tedesco era variato di pochissimo – meno del 15% e con il dollaro addirittura inalterato – a partire dal 1972 la svalutazione fu continua, inarrestabile, fino all’ingresso nell’euro, che congelò la situazione del momento. Già nel 1974 c’era stato un primo tentativo di mettere sotto controllo i cambi instabili nell’area dei Paesi europei (Cee), il cosiddetto “serpente monetario“, e in quell’occasione la lira era entrata a far parte del club dei virtuosi, nonostante l’economia italiana già desse segnali di crisi. Ma durò poco. Benché all’Italia fosse concesso di oscillare all’interno di valori superiori a quelli di altri Paesi (5% contro il 2% di Germania e Francia), in breve la divisa italiana dovette abbandonare il gruppo, per manifesta incapacità a reggere le altrui rigidità.

Lira – Marco tedesco (19721999)
Successivamente (1979), nonostante il fallimento del “serpente”, fu la volta dello Sme, in particolare degli Accordi europei di cambio che anticiparono per certe caratteristiche l’euro. L’Italia aderì (insieme a Gb, E, P) potendo oscillare del ± 6% rispetto al ± 2,25% delle altre monete. Poi dal 1989 il nostro Paese avrebbe dovuto rientrare nelle bande di oscillazione più strette, ma fu una via crucis. A parte i regolari riallineamenti, la lira italiana dovette spesso rivedere la sua posizione a livello di parità centrali e continuò così la sua corsa al deprezzamento. Alla fine, nel settembre del ‘92 di fronte a un attacco speculativo, la divisa italiana abbandonò il club. Nel frattempo, tutto il sistema si era sfaldato e con la crisi del franco francese del ’93, di fatto il meccanismo degli Accordi centrali (che avrebbe dovuto obbligare alla stabilità) fu messo per sempre da parte.

Lira – Franco francese (1972-1999)
Osservando i grafici non c’è bisogno di commento per prendere atto della cronica incapacità dell’economia italiana (in assenza di politiche economiche adeguate e correttive) di stare al passo con quelle degli altri Paesi, se non a prezzo di una costante svalutazione monetaria. La coperta è corta e non presenta alternative: o riforme strutturali del mercato (competizione e meritocrazia); o debito pubblico crescente; o, appunto, svalutazione monetaria.
Possiamo quindi tranquillamente ritenere che fin dall’inizio l’euro fu per l’economia italiana una camicia di forza, che nemmeno legandola stretta avrebbe potuto frenare impeti e turbolenze, le nostre complesse, arretrate problematiche economiche. L’euro era (ed è tuttora) una gabbia nemmeno troppo dorata (Eichengreen) in cui rischiamo di morire prematuramente.
Certamente oggi siamo tutti consapevoli che l’euro è divenuto una necessità, ma non per piacere, per dovere. Questo non ci esime dal porci alcune domande. Chi ha deciso contro ogni evidenza di guidare il Paese in quel modo all’interno della moneta unica, fornendo informazioni false o insufficienti? Chi ci ha guadagnato, chi ci ha rimesso? Chi deve pagare per queste scelte? Sempre i soliti? È possibile avviare un dibattito serio su un tema così importante, i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti o dobbiamo continuare a vivere nel mondo del “credere, obbedire, combattere”?
Al momento l’euro è una necessità insostenibile senza responsabili. Mentre tutti furono d’accordo che il fascismo e la monarchia dovevano assumersi le responsabilità della guerra e di altri drammatici errori, oggi non più. La responsabilità è un tabu. È notizia di ieri che gli autori del buco dei derivati nei bilanci pubblici non possono essere perseguiti, nemmeno in sede civile. I politici sono insindacabili, anche nelle scelte sbagliate. No accountability. I buchi ci sono c’è ma non si vedono. Non c’è speranza che un dibattito serio sull’euro possa partire, che chi ha sbagliato in qualche misura venga rimosso e che si adottino al più presto – pur in un contesto di “necessarietà” – tutte le decisioni politiche più adatte per ridimensionare i danni dell’euro e la strutturale incapacità della nostra economia (senza riforme!) di sopravvivere in una gabbia così stretta, prima che sia troppo tardi. Ci vorrebbe una classe dirigente adeguata.