martedì 26 giugno 2018

AIDS. «Io, 16 anni, sono sieropositiva. Ma non sapevo neppure cosa fosse il virus dell'Hiv».

Il racconto di una ragazza che, facendo esami di routine prima di un intervento, ha scoperto di aver contratto il virus. E che ora racconta: «Molti della mia generazione pensano che questo problema non esista più».

«Io, 16 anni, sono sieropositiva. Ma non sapevo neppure cosa fosse il virus dell'Hiv» Al suo fianco una psicologa. La porta sigillata, niente deve fuoriuscire all’esterno. È una storia che vuole raccontare protetta da quattro mura bianche e una scrivania, dove a volte si appoggia, guardando il suo interlocutore negli occhi. Ci vuole un filo di voce per tornare indietro e togliere dalla mente l’attimo in cui all’ospedale le dissero: «Hai il virus dell’Hiv». Ci pensa e poi ci pensa di nuovo, fino a rompere l’imbarazzo con un: «Io non sapevo neanche cosa fosse questo virus dell’Hiv, mi è piombato tutto addosso».
Sedici anni e mezzo e una data fissata nel calendario, quella in cui sarebbe dovuta andare in un centro specializzato per effettuare un’operazione. La data slitta 
di tre mesi, ma nel frattempo una complicazione rischia 
di ucciderla. Viene ricoverata d’urgenza e preparata per l’intervento tempestivo che le salverà la vita. Ma prima 
di entrare in sala operatoria la dottoressa procede con 
le analisi, obbligatorie in queste casi. Ed è dagli esami 
che si scopre che ha contratto il virus dell’Hiv.

«Siamo una generazione poco preparata, ci sono molti adolescenti che non sanno bene neanche come si usa un profilattico». Mentre lo dice sembra arrabbiata. E poi: «In molti pensano che l’Hiv non esista più, cioè sai che esiste, ma che è una cosa così».

E prosegue: «Io non l’avrei mai fatto il test dell’Hiv se non mi fossi operata, magari l’avrei scoperto dopo anni. Questo non posso saperlo». Dice di avere una vita tranquilla e normale, ma «con le amiche non parlo di queste cose. Nessuno sa la mia storia». La psicologa la sprona ad aprirsi, ma lei dondolando il capo, risponde: «È una cosa che ti porti dietro tutta la vita, ti rimane dentro. Ne posso parlare in famiglia. In famiglia e basta».

E se le chiedi come mai ha accettato di raccontare la sua storia, lei risponde con un impeto di coraggio: «Perché i ragazzi devono sapere a cosa vanno incontro, ai rischi che si corrono facendo sesso».

Ha l’indole della ribellione, di chi non accetta le cose imposte, soprattutto quelle non programmate. «Questa cosa del test vietato ai minori è assurda, un controsenso. Dovrebbero imporlo, perché alcuni di loro non usano la testa quando fanno certe cose».

Ci pensa un attimo e aggiunge: «Altrimenti lo devono comprare nei distributori che vendono i profilattici». Il ragionamento di domande e risposte continua: «Non lo so cosa avrei fatto se lo avessi scoperto da sola, magari andando anche io a comprarlo in farmacia. Forse ti viene voglia di scappare».

Adesso però ha un compito, «quello 
di far capire che bisogna starci quando si ha un rapporto 
con qualcuno». E se deve consigliare qualcosa, l’unica raccomandazione che si sente di dare è: «Fare sempre sesso protetto, soprattutto con le persone che pensi di conoscere meglio». Niente di più, ma come dice lei «niente di più importante».

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