lunedì 21 maggio 2018

Proposta per un nuova e spregiudicata alleanza sociale del lavoro.


Il lavoro nel novecento si era iscritto in una contraddizione che le istituzioni della società industriale si sono impegnate a governare non senza far registrare straordinari effetti emancipativi. Da un lato il lavoro circoscriveva lo spazio dello sfruttamento e della eterodirezione, dall'altro, lo spazio della costruzione della solidarietà sociale e dalla fuoriuscita dalla miseria. È nello spazio dialettico di questa contraddizione che si è prodotto lo sviluppo economico-sociale di quel periodo. Il portato della gestione di questo rapporto è stato infatti lo sviluppo di forme avanzate di protezione e assicurazione sociale; la nascita cioè di sistemi di welfare e una redistribuzione della ricchezza capaci di contrastare la diseguaglianza che il capitalismo, se lasciato funzionare senza freni, produce inesorabilmente.

Il lavoro ha svolto in questo processo una funzione fondamentale. È infatti a partire dalla organizzazione collettiva e solidaristica del lavoro che si è trovata la forza politica di contrattare e realizzare l'orizzonte della sicurezza sociale fordista. L'esito di questa progettazione è stata cioè il frutto dei conflitti e delle lotte che la classe lavoratrice ha durante il '900 avuto la forza di muovere contro la "cupidigia" (permettetemi questo riferimento a Marx vista la celebrazione per il suo bicentenario) della classe proprietaria e che ha permesso di scrivere alcuni diritti sociali fondamentali, diritti che parevano acquisiti per sempre. Dico parevano perché l'umiliazione e il ricatto del lavoro che abbiamo oggi sotto gli occhi hanno prodotto un arretramento che apre davanti a noi un periodo di "incertezze crescenti".
Dobbiamo accettare il fatto che il lavoro così come lo abbiamo conosciuto in passato non esiste più. Globalizzazione e dominio neoliberale dei mercati, processi di automazione di quarta generazione, debolezza delle organizzazioni di rappresentanza del lavoro, e tanto altro ancora, hanno tolto al lavoro quella centralità nella produzione della identità sociale che abbiamo appena descritto. Come trasformare allora quella che sembra diventare una drammatica tragedia collettiva?
La soluzione a mio avviso c'è. Ma bisogna avere il coraggio di lasciare andare la nostalgia che tutti noi proviamo nei confronti del lavoro salariato. Questa opportunità si chiama reddito di base incondizionato (da distribuire a tutti coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà relativa). La credenza diffusa che questo dispositivo possa indurre passività sociale o che non ci siano le risorse economiche per sostenerne l'applicazione è al limite del risibile.
Basterebbe andarsi a vedere quanta ricchezza pubblica è stata spesa in tutto il mondo per salvare le banche o per finanziare negli ultimi anni programmi di "workfare" totalmente inutili. Inoltre è inconcepibile oggi non provare a realizzare nuovi e più efficaci regimi di fiscalità capaci di distribuire la ricchezza prodotta e attraverso le spropositate rendite finanziarie e dallo sfruttamento incessante della "operosità sociale". È doveroso, in altre parole, trovare risorse per remunerare chi oggi produce valore a profitto di imprese che si arricchiscono attraverso internet e i preziosismi "dati" (pensate ad esempio allo scandalo di Cambridge Analytica) che ciascuno di noi produce ogni giorno.
Il reddito di base, oltre a contrastare le sempre più drammatiche condizioni di povertà, avrebbe soprattutto, a parere di chi scrive, la funzione di sostenere la progettazione sociale di un lavoro, o di una attività cooperativa sociale, capace di ricucire lo strappo tra progetto individuale e progetto collettivo cui oggi drammaticamente assistiamo. Il reddito di base fornirebbe il sostegno per progettare percorsi di inserimento sociale adeguati ai tempi. Percorsi in cui la formazione e la sperimentazione, l'innovazione sociale e culturale devono poter tornare a giocare un ruolo da assoluti protagonisti.
Propongo dunque di pensare il lavoro del futuro, contro la precarietà e le sempre più diffuse prestazioni professionali gratuite o semi gratuite, come a uno spazio che accolga la scommessa di una nuova e collettiva progettazione sociale, dove non trova alloggio il timore verso le nuove tecnologie automatiche ma anzi potendo contare su di esse come alleate per diminuire l'impatto della produzione sull'ecosistema, la diseguaglianza sociale e la brutale fatica mentale e muscolare del nuovo lavoro salariato. Affinché questo sia possibile è però necessario che il lavoro trovi oggi un nuovo alleato nel dispositivo del reddito di base. A partire da questa alleanza, tanto spregiudicata quanto a mio avviso irrinunciabile, potremo tornare a riscrivere il legame sociale che si sta sgretolando sotto i nostri attoniti occhi.
(Questo post di Fondazione G. Feltrinelli è a cura di Federico Chicchi, Professore Associato presso il Dipartimento di Sociologia e Diritto dell'Economia, dell'Università di Bologn

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