mercoledì 30 maggio 2018

Paolo Savona, il più illustre nemico del Trattato di Maastricht

https://ilmanifesto.it

«La Germania non ha cambiato la visione del suo ruolo in Europa dopo la fine del nazismo, pur avendo abbandonato l’idea di imporla militarmente. Per tre volte l’Italia ha subito il fascino della cultura tedesca che ha condizionato la sua storia, non solo economica, con la Triplice alleanza del 1882, il Patto d’acciaio del 1939 e l’Unione europea del 1992. È pur vero che ogni volta fu una nostra scelta. Possibile che non impariamo mai dagli errori?». La velenosa e pesantissima citazione è tratta da Come un incubo, come un sogno, tra pochi giorni in libreria.
L’autore di questo saggio che paragona la politica di Merkel al pangermanesimo hitleriano, che paragona l’euro a «una gabbia» e che addebita «la nascita del populismo all’arroganza tedesca» si chiama Paolo Savona. Per un lungo periodo della sua vita esponente illustre dell’establishment finanziario italiano, poi dagli anni ‘90 il più scettico degli euroscettici, il più illustre nemico del Trattato di Maastricht.

Nato a Cagliari il 6 ottobre 1936, economista e politico, ex direttore di Banca d’Italia quando Guido Carli era governatore, ex direttore generale di Confindustria, studioso del sistema monetario internazionale, autore di numerosi saggi scientifici, collaboratore del padre del liberismo Franco Modigliani, ora Savona è candidato da Matteo Salvini e Luigi Di Maio a diventare il ministro del Tesoro del nascente governo Lega-M5S. Quando ieri pomeriggio ha annunciato le sue dimissioni dal Fondo di investimento Euklid «per sopravvenuti importanti impegni pubblici in Italia», si è capito che la «bomba Savona» era innestata. Malgrado il presidente della Repubblica abbia annunciato che sui ministri è necessaria una riflessione, è molto probabile che sia di Maio che Salvini abbiano assicurato a Savona di tenere duro sul nome dell’economista nemico giurato della nomenclatura di Bruxelles e della perfida Germania.
Rileggendo quell’attacco alla Germania si capisce perché qualche giorno fa l’esponente tedesco del Ppe Manfred Weber ha sferrato un attacco così duro al nascente governo Lega-M5S. E si capisce anche perché al Quirinale guardano con forte preoccupazione al futuro ministro del Tesoro. Sergio Mattarella nelle scorse settimane ha messo in campo tutta la sua moral suasion per far sì che non nascesse un esecutivo euroscettico ma non si sarebbe mai immaginato di dover decidere se nella lista dei ministri che gli consegnerà Conte ci dovesse essere il più anti europeo degli economisti italiani. Ora è difficile che il Quirinale possa bocciare la proposta di nominare ministro Savona, un gesto che suonerebbe come un veto politico.
D’altronde 7 anni fa in un’intervista al Foglio Paolo Savona diceva quello che negli anni successivi Salvini e il Beppe Grillo della prima ora avrebbero ripetuto più volte: «Anche se si fa finta che il problema non esista, il cappio europeo si va stringendo attorno al collo dell’Italia. E’ giunto il momento di comprendere che cosa stia effettivamente succedendo nella revisione del Trattato di cui si parla e nella realtà delle cose europee, prendendo le necessarie decisioni; compresa quella di esaminare l’opportunità di restare o meno nell’Unione o nella sola euro area, come ha fatto e fa il Regno Unito gestendo autonomamente tassi di interesse, creazione monetaria e rapporti di cambio». Ancora più esplicito l’anno dopo: «Chiediamo di chiamare gli italiani a votare se desiderano stare nell’euro e assumersi le relative responsabilità e i conseguenti oneri per eliminare l’incertezza politica di cui si parla e di consolidare il debito pubblico a breve, garantendone il valore reale al rimborso, riconoscendo un interesse pari all’inflazione e, se proprio si vuole incentivare l’operazione, una quota della crescita del pil reale».
In un’altra uscita pubblica Savona si difendeva così dall’accusa di essere un euroscettico: «Io sarei per l’Europa unita, per questo non posso che dire peste e corna di quello che vedo a Bruxelles. Le difficoltà dell’Ue sono colpa delle élite che la guidano: dicono di interessarsi del popolo ma si occupano solo di loro stesse e non ammetteranno mai il fallimento dell’Europa perché significherebbe autocondannarsi. E questo acuisce i problemi. La mancanza di diagnosi comporta l’assenza di terapia. Le élite italiane hanno voluto questa Europa, sbagliando. Si prendano la colpa o qualcuno gliela attribuisca».

Nessun commento:

Posta un commento