Per il popolo palestinese, 70 anni di Nakba si traducono in
sette decenni di oppressione, colonialismo e apartheid da parte di
Israele; di indifferenza da parte di una comunità internazionale che ha
scelto di ignorare i propri obblighi e le proprie responsabilità ai
sensi del diritto internazionale; di un processo di pace inconsistente e
iniquo.
Nonostante 70 anni di Nakba, tuttavia, il popolo palestinese
non ha rinunciato a chiedere il rispetto dei propri diritti fondamentali
– il diritto al ritorno alle proprie terre, e il diritto
all’autodeterminazione.
Oggi,
su una popolazione complessiva di 12.7 milioni, almeno 8.26 milioni di
palestinesi sono “forcibly displaced” (sfollati forzati) in tutto il
mondo. Fin dalla propria costituzione, lo Stato israeliano ha messo in pratica politiche
di annessione territoriale, colonizzazione e trasferimenti forzati di
popolazione, negando agli sfollati palestinesi le riparazioni dovute a
fronte delle gravi violazioni di diritti umani e di diritto umanitario
subite (in particolare, il diritto al ritorno, alla restituzione delle
proprietà perdute, e al risarcimento monetario). Il
rimanente terzo, coloro che non sono sfollati forzati, sparsi su tutto
il territorio della Palestina Mandataria, è soggetto a continue
politiche di trasferimento forzato da parte di Israele.
Negli
ultimi anni Israele e Stati Uniti hanno promosso una dura campagna
contro UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e
l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente), la
principale agenzia internazionale incaricata di fornire assistenza
umanitaria ai rifugiati palestinesi, chiedendo di porre termine al suo
mandato. Non è la prima volta che assistiamo al tentativo, da parte di
Israele, di delegittimare UNRWA. Così come non è la prima volta che
l’amministrazione Usa applica, o minaccia di applicare, drastici tagli
ai finanziamenti della stessa agenzia come forma di ricatto politico.
UNRWA è finanziata quasi esclusivamente da contributi volontari: in
questo modo, l’efficacia dei suoi progetti è subordinata alla volontà e
al beneplacito dei suoi finanziatori, esponendo pericolosamente
l’Agenzia a interferenze e pressioni politiche esterne. Ciò è tanto più
evidente se si guarda all’atteggiamento degli Usa e Israele a partire
dal processo di Oslo in poi, in cui risulta plateale la sistematica
messa in atto di una strategia finalizzata, sul piano generale, ad annichilire
i diritti fondamentali del popolo palestinese e, nello specifico, i
diritti dei rifugiati e degli sfollati interni palestinesi. La scomparsa
di UNRWA, la cui sola esistenza testimonia il fallimento della comunità
internazionale di fronte alla più longeva e numerosa crisi di
rifugiati, è uno degli obiettivi di tale strategia: ad oggi, UNRWA sta
affrontando una grave crisi finanziaria, che ha significativamente
compromesso le capacità dell’Agenzia di soddisfare anche i bisogni
umanitari più basilari.
Gli
attacchi statunitensi non si sono limitati a UNRWA. Oltre ad Israele
stesso, gli Stati Uniti sono stati l’unico paese a riconoscere
ufficialmente Gerusalemme capitale di Israele, quando il presidente
Donald Trump ha annunciato, il 6 dicembre 2017, l’imminente
trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Negli
ultimi 70 anni, l’intera comunità internazionale ha respinto le pretese
sovraniste israeliane su Gerusalemme, negandone ogni legittimità –
coerentemente con quanto affermato da numerose risoluzioni ONU. Le
dichiarazioni di Trump non solo sono contrarie al diritto
internazionale, ma rappresentano anche l’espresso appoggio statunitense
all’illegittima annessione israeliana di Gerusalemme Est e delle colonie
illegalmente costruite attorno alla città. Le recenti politiche Usa
riguardo ai rifugiati, a UNRWA e allo status di Gerusalemme non fanno
che dimostrare l’inadeguatezza degli Stati Uniti a svolgere il ruolo di
mediatore nel processo di pace, a causa del proprio sostegno
incondizionato nei confronti di Israele.
Di
fronte al mancato rispetto dei propri diritti, i palestinesi hanno
reagito organizzando, dagli anni Novanta in poi, la “Marcia del
Ritorno”, che ogni anno si svolge in un diverso ex-villaggio palestinese
spopolato durante la Nakba (oggi territorio israeliano). La Marcia del
Ritorno è diventata un punto di riferimento per i palestinesi
cittadini israeliani e ha visto la sempre più crescente partecipazione
di persone di ogni appartenenza politica e di ogni provenienza
geografica, in particolare dei giovani Palestinesi. Questa iniziativa
ha influenzato la più recente Marcia del Ritorno nella
Striscia di Gaza, a cui hanno partecipato centinaia di palestinesi
gazawi e brutalmente repressa da parte delle forze di occupazione
israeliane. Dal 30 marzo 2018, Israele si è reso responsabile della
morte di 51 palestinesi e del ferimento di oltre 5.000 palestinesi, in
violazione della Convenzione di Ginevra e dello Statuto della Corte
Penale Internazionale. Ancora una volta, si rende evidente la necessità
di assicurare protezione alla popolazione palestinese e chiarire le
responsabilità di Israele.
La
mancanza di soluzioni giuste e durevoli per i rifugiati palestinesi è,
inoltre, di importanza fondamentale nel quadro dei sanguinosi conflitti
che stanno attraversando il Medio-Oriente, in particolare in Siria. Dei
560.000 rifugiati presenti sul territorio, 400.000 sono sfollati
(120.000 hanno lasciato il paese, mentre altri 280.000 sono sfollati
interni) e necessitano di immediata assistenza umanitaria.
I
diritti inalienabili del popolo palestinese, primi fra tutti il diritto
all’autodeterminazione e il diritto alle riparazioni per i torti
subiti, non possono che essere frustrati di fronte all’approccio
politico e umanitario adottato dalla comunità internazionale. È più che
mai necessaria l’adozione di un “rights-based approach”, ossia una
strategia che ponga al centro il rispetto di tali diritti fondamentali.
Ignorare tale necessità significa mantenere uno status quo dove manca
ogni forma di protezione internazionale e significa condannare i
palestinesi a un destino di esilio forzato. La passività e
l’indifferenza della comunità internazionale non riguardano solo coloro
che sono già stati cacciati dalle proprie case, ma rappresentano un
incoraggiamento nei confronti di Israele a conquistare altro territorio
ed esiliare altri palestinesi, nella più totale impunità.
PHROC
ritiene che una soluzione giusta e durevole non possa essere raggiunta
senza l’adozione di una strategia basata sulla giustizia, sul diritto
internazionale, e sugli atti internazionali rilevanti – tra tutti, la
risoluzione 194 dell’assemblea generale ONU e la risoluzione 237 del
consiglio di sicurezza ONU. Ancora una volta, è più che mai necessario
che la comunità internazionale:
-
Assuma tutte le misure per assicurare il rispetto da parte di Israele dei propri obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale dei diritti umani;
-
Faccia adeguata pressione per assicurare protezione internazionale ai rifugiati palestinesi, anzitutto per garantire la realizzazione del diritto al ritorno alle proprie case d’origine e il diritto all’autodeterminazione;
-
Assicuri un finanziamento regolare a UNRWA, al fine di garantire assistenza umanitaria e protezione a tutti i palestinesi in stato di bisogno.
Nessun commento:
Posta un commento