martedì 22 maggio 2018

L’economia circolare mette d’accordo economia e ambiente.

Il 29 maggio al Festival dello Sviluppo Sostenibile a Taranto si discuterà del passaggio dall’economia lineare a un nuovo modello “circolare”, in cui tutte le attività sono pensate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino risorse per altri. Nell’“Atlante Italiano dell’Economia Circolare” le migliori esperienze delle realtà economiche e associative italiane impegnate ad applicarne i principi.




micromega Ilaria Donatio

Nella città, Taranto, dove reddito, ambiente, salute e lavoro faticano a coesistere, dove è appena saltato il tavolo tra governo, sindacati e azienda sul futuro di Ilva, proprio qui, tra pochi giorni - il 29 maggio prossimo - si discuterà di un nuovo modello economico, basato su un tipo di “produzione sostenibile e responsabile”. Si tratta di una tappa del Festival dello Sviluppo Sostenibile dedicata al cosiddetto “Goal 12”, uno degli obiettivi definiti dal Development Programme delle Nazioni Unite, che riguarda il consumo e la produzione responsabili. Il convegno è organizzato da Asvis, Alleanza per lo sviluppo sostenibile: una scelta simbolica che potrebbe avvicinarci al futuro che vorremmo.

Economia circolare: cos’è?


E il futuro presupporrebbe un cambio di “geometrie”: il passaggio - stimolato dall’Europa e dalle sue regole - da un’economia lineare a un’economia di tipo “circolare”. Secondo la definizione che ne dà Ellen MacArthur Foundation, Economia Circolare è un “termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera”. Più chiaramente: in un sistema del genere tutte le attività, a partire dall’estrazione e dalla produzione, sono organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun’altro.

Regole: a che punto siamo

È stato approvato il 18 aprile scorso, in via definitiva, dal Parlamento europeo il “pacchetto sull’economia circolare” - che aggiorna i testi di sei differenti direttive: Rifiuti, Discariche, Imballaggi, Veicoli a fine vita, Pile e Accumulatori a fine vita, RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche).

L’accordo, in sintesi, prevede il 65% di riciclaggio dei rifiuti solidi urbani al 2035, con target intermedi del 55% al 2025 e 60% al 2030. Per gli imballaggi, invece, si prevedono target del 65% al 2025 e del 70% al 2030, con due sotto-obiettivi per gli imballaggi in plastica, che dovranno essere riciclati almeno per il 50% nel 2025 e per il 55% nel 2030. Per le discariche il target è fissato al 10% entro il 2035. Tutti questi target potranno essere rivisti nel 2024. Per la prima volta è stata introdotta la raccolta differenziata obbligatoria per l’umido e gli scarti organici (entro il 2023), i materiali tessili (dal 2025) e i rifiuti pericolosi domestici, come le vernici, i pesticidi, gli oli e i solventi (entro il 2022).

Ora i testi dovranno andare in Consiglio per un’approvazione formale e poi saranno pubblicati sulla Gazzetta ufficiale dell’Ue. A quel punto i governi avranno due anni per recepirle.

Europa circolare
Una transizione completa all’economia circolare, in Europa, potrebbe generare risparmi per circa 2 mila miliardi di euro entro il 2030; un aumento del 7% del PIL dell'UE, con un aumento dell'11% del potere d’acquisto delle famiglie e 3 milioni di nuovi posti di lavoro supplementari.

L'economia circolare rappresenta una grande opportunità economica e occupazionale per l'Italia, dove da Nord a Sud, non mancano gli esempi virtuosi, ma il suo sviluppo è frenato da ostacoli burocratici e normativi.

Secondo gli esperti, occorrerebbe fissare criteri tecnici e ambientali (specifici) per stabilire quando, “a valle di determinate operazioni di recupero, un rifiuto cessi di essere tale e diventi una materia prima secondaria o un prodotto”, non più soggetto alla normativa sui rifiuti. Occorrono quindi disposizioni normative specifiche che stabiliscano i criteri e i requisiti specifici per dichiarare il cosiddetto “End of waste”: un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto ad un'operazione di recupero e soddisfa criteri specifici da adottare nell'ambito delle seguenti condizioni.

L’Atlante delle buone pratiche

Ci sono “Avanzi Popolo 2.0” - progetto dell’associazione barese Farina 080 Onlus - che si occupa di innovazione nel contrasto allo spreco di cibo; c’è “Re-Bello” dell’azienda RB MORE srl che, in provincia di Bolzano, produce e commercializza i propri capi con materiali sostenibili (eucalipto, faggio, cotone biologico, ma anche PET riciclato, Nylon riciclato); e poi ad Ancona, c’è Matrec nata per sostenere le imprese nella ricerca di materiali circolari, nel tracciare trend e scenari di mercato, nel costruire lo sviluppo di nuovi prodotti e misurare la circolarità. Sono solo alcuni esempi di prodotti di aziende virtuose raccolte nel primo Atlante Italiano dell’Economia Circolare.

Scarpe in affitto: perché comprarle?

Matrec ha creato il primo Osservatorio Internazionale per l’innovazione Sostenibile di materiali e prodotti come servizio alle imprese. Un esempio del lavoro svolto riguarda la possibilità di aderire a un modello di consumo che, dall’acquisto di un prodotto vada verso “l’acquisto di un servizio”: l’indagine realizzata per conoscere la preferenza degli italiani a non acquistare calzature ma a prenderle in affitto ha permesso di scoprire che, ogni anno, sono acquistate 200 milioni di scarpe nel mondo. E che ben il 42% delle persone interpellate - su un campione di mille italiani - opterebbe volentieri per prendere scarpe in affitto, mentre il 71% si dice disposto a pagare un fee di 50 centesimi per avere la certezza di un riciclo delle proprie scarpe.

“Il passaggio dal prodotto al prodotto-servizio”, spiega Marco Capellini, amministratore delegato di Matrec, “indentifica da sempre strategie di economia circolare per favorire la salvaguardia, il recupero e il riuso delle risorse naturali impiegate: la possibilità, infatti, di allungare il ciclo di vita di un prodotto e aumentare le percentuali di raccolta di quei beni giunti a fine-vita, sono solo due dei benefici ambientali che ne derivano”.

Per tornare al progetto dedicato alle scarpe e targato Matrec: che fine fanno queste scarpe a fine vita? Gran parte è destinata alla discarica, con materiali nobili come pelle, cuoio, gomma, sughero trattati come rifiuti e non come prodotti da riutilizzare.

“Si tratta di nuovi modelli di mercato basati sui principi dell’economia circolare, e dove al centro non ci sono tanto la proprietà e il prodotto in quanto tale, ma la sua funzione e il suo utilizzo”, concude Capellini.

Circolare, buona ma anche conveniente


Per diventare un modello realizzabile e dominante l’economia circolare dovrebbe naturalmente garantire ai diversi soggetti economici una redditività almeno pari a quella attuale: non basta che sia “buona”, deve diventare conveniente: “Nel modello lineare, in linea teorica”, spiega Eleonora Rizzuto, presidente Aisec - Associazione Italiana per lo Sviluppo dell’Economia Circolare - “per il produttore non è importante ciò che avviene dopo, durante l’uso del bene, e dopo la fine della vita del prodotto, cioè all’atto della sua dismissione. Alla fine della sua vita utile, di fatto, esso è divenuto a valore scarso o nullo restando a carico della collettività e in definitiva del nostro ambiente. I principi della Economia circolare vogliono scardinare proprio questo modello, andando a creare delle relazioni di circolarità tra ciò che si produce e ciò che si lascia nell’ambiente a carico della collettività”.

I vantaggi della circolarità

Sebbene il modello dell’economia circolare ambisca a realizzare un “ciclo” completo dei flussi di materia, difficilmente sarà un ciclo chiuso o un modello perfetto: sarà necessario un adattamento che richiede tempi medio-lunghi. Perché i principi della circolarità sollecitano soluzioni complesse e lo sviluppo di connessioni e condizioni di contorno che vanno create. Lo spiega bene Rizzuto.

“Oltre a fornire un vantaggio per l’ambiente e per tutti i portatori di interesse”, questo modello procura vantaggi diretti alle imprese che ne adottano lo spirito e i principi: in termini di “competitività”, spiega, “in quanto i “modelli di business meno legati all’utilizzo di materie prime consentono di sviluppare una struttura di costi meno esposta al rischio di volatilità dei prezzi sia per dinamiche di mercato sia per interventi normativi”.

In termini di “innovazione”, perché il ripensamento dei “modelli di business in un’ottica circolare rappresenta una forte spinta all’innovazione nei processi produttivi”. Dal punto di vista ambientale, ovviamente, dato che “l’impegno concreto di un’impresa nel limitare l’impatto ambientale, rappresenta un importante contributo per la riduzione sia dei rifiuti sia dell’inquinamento atmosferico e, inoltre, contribuisce al riutilizzo di materie prime sempre più scarse”.

Infine, in termini di “occupazione, in quanto la riduzione della quantità di materie prime utilizzate e la crescita di servizi a valore aggiunto dovrebbero comportare uno spostamento dei costi dalle materie prime al lavoro, cioè da settori più automatizzati, a settori prevalentemente legati al lavoro umano, con una conseguente crescita dell’impatto occupazionale”.

Per l’Italia, sarebbero risolutive alcune azioni concrete: incentivi fiscali per tutte le buone pratiche di riciclo, insieme a forme di tassazione per chi non ricicla soprattutto nel campo delle risorse idriche; la destinazione di aree specifiche per il riciclo in ciascun Comune, lo sviluppo dell’eco-design e dei mercati di materie prime-secondarie, infine, la cooperazione tra Regioni sul riciclo e sull’ottimizzazione dei rifiuti. Se alla chiarezza dei principi corrispondesse uno sforzo coerente e univoco di tutti gli attori in campo, nel mettere d’accordo le ragioni delle imprese e della produttività con quelle della salute e dell’ambiente, avremmo un futuro radioso davanti. E non solo alle nostre spalle.


(21 maggio 2018)

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