La 194 quarant’anni dopo in Italia: “Assassina starai malissimo”, “torna fra un mese”. Le nostre croniste hanno cercato di abortire, ecco cos’è successo

In coda all’alba, in scantinati squallidi e freddi. Numeri di telefono che squillano a vuoto. Attese di settimane. Medici che rifiutano certificati o indirizzano a cliniche private. La volontaria dell’associazione “pro vita” che ti parla di «omicidio». Mentre i consultori cattolici, in crescita, incassano fior di soldi pubblici, ma mettono in chiaro che fra le loro mura la legge sull’aborto non è in vigore.
Era il 22 maggio 1978 quando in Italia fu promulgata la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, dopo un’aspra battaglia che spaccò in due il Paese. Quarant’anni dopo, le donne incontrano ancora molti ostacoli e il loro diritto a scegliere è tutt’altro che garantito. Lo hanno verificato sul campo le giornaliste di Fq Millennium che si sono presentate in ospedali, consultori e farmacie di tutta Italia chiedendo di abortire o di avere la “pillola del giorno dopo” (qui il video).

Il nodo è quello dell’obiezione di coscienza di medici e infermieri. Secondo l’ultimo rapporto del ministero della Salute, con dati del 2016, i ginecologi obiettori nelle strutture in cui si praticano interruzioni di gravidanza sono oltre il 70%, in lieve aumento sul 2015 (+0,4%). Le punte più alte toccano alle regioni del sud, spesso oltre l’80%, con il record del Molise, dove gli obiettori sono al 96,9%. Nell’Italia centrale si va oltre il 70%, a eccezione della Toscana, così come in Lombardia e Veneto, e oltre l’84% nella Provincia di Bolzano. Se a questo si aggiunge che solo in sei strutture con un reparto di ginecologia e ostetricia su dieci si praticano interruzioni volontarie di gravidanza (84.926 nel 2016, in calo del 3,1% rispetto al 2015), in molte regioni il diritto garantito dalla 194 è di fatto negato. Ci sono strutture dove l’obiezione è totale e altre ridotte a catena di montaggio dell’aborto, con singoli operatori che arrivano a praticarne 400 all’anno.
Nel 2016 il Consiglio d’Europa, su ricorso della Cgil, ha richiamato l’Italia sia per le difficoltà di applicazione della legge sia per la «discriminazione» nei confronti del personale sanitario non obiettore. L’anno dopo ha fatto lo stesso il comitato dei diritti umani dell’Onu, sottolineando come questi ostacoli portino a un aumento degli aborti clandestini. Con i suoi rischi e le sue tragedie. È la stessa legge 194, del resto, a imporre che «l’espletamento delle procedure» e «l’effettuazione degli interventi richiesti» debbano essere garantiti, ma nella realtà le cose vanno molto diversamente, come leggerete nella pagine che seguono.
Ci sono donne costrette a “emigrare” perché nella provincia di residenza i tempi di attesa sono troppo lunghi, altre non vengono informate adeguatamente sui loro diritti, altre ancora vengono invitate a rivolgersi ai centri privati. Il tempo si accumula e in molti casi diventa impossibile evitare l’intervento utilizzando la pillola abortiva Ru-486.
E in futuro? «I non obiettori hanno in media 50-60 anni», racconta un medico che abbiamo incontrato a Palermo, mentre gli specializzandi di ginecologia hanno pochissime occasioni di fare pratica. Così «nel giro di dieci anni, la legge 194 potrebbe diventare inapplicabile».